Lettera sulla tenerezza

Cari giovani amici di Azione Cattolica,

quest’anno per il vostro Campo-scuola, non potevo accontentarmi di una semplice predica. Allora ve ne faccio due? “Per carità – mi pare di sentire i vostri mugugni – no, due prediche, proprio no!”. D’accordo, di predica ne basta – e voi aggiungete, “e ne avanza” – una sola. Però il tema che state trattando – “Dio è amore” – è talmente enorme ed esplosivo che ho pensato di scrivervi due righe. Veramente sono più di due, ma state sereni: in tutto fanno una paginetta appena.

In effetti, quello che vorrei dirvi si potrebbe riassumere in questo sillogismo (calma: non è una parolaccia!): Dio è amore. E l’amore è tenerezza. Dunque Dio è tenerezza. Ma, allora, cos’è questa benedetta tenerezza? Non è certo il tenerume…

Tenerezza è dolcezza. E’ la dolcezza di quanti, strappati alla durezza del cuore, non usano mai il linguaggio inquinato dalla gelosia o dall’invidia. Tenerezza è la mitezza della non-violenza, che non brama vendette e rivalse, ma scusa e perdona sempre. Perché senza perdono l’amore si eclissa, la fraternità si appanna, la comunione si sbriciola. L’amore vero non calcola mai quanto dà e quanto riceve. E comunque “c’è più gioia nel dare che nel ricevere”: parola di Gesù.

Tenerezza è bellezza: ossessionati talora dall’immagine del nostro corpo, delle sue misure, del suo peso, del suo aspetto esteriore, ci dimentichiamo l’essenziale: è un corpo chiamato a partecipare alla gloria di Dio, trasformato da ogni sentimento di gratuità e gesto di gratitudine. Così possiamo guardare a un corpo bello non con l’occhio vorace dei predatori, ma con uno sguardo limpido come acqua di sorgente. Dire grazie a Dio per la bellezza che brilla attorno a noi è il modo più bello di stare al mondo.

Tenerezza è purezza, quella di chi non ha imparato a dire: “Ti amo perché ho bisogno di te”, ma piuttosto: “Ho bisogno di te perché ti amo”. E’ rispettare il proprio e l’altrui corpo come la tenda dove Dio può sentirsi a suo agio. L’amore umano è vero quando viene donato senza secondi fini, senza egoistiche aspettative di “rendita”, perché l’altra o l’altro risulta amabile per quello che è, non per quanto mi può “rendere”. L’amore non è conquista e avido sfruttamento: non è dire a lei/lui: “Tu sei mia/o”. Al contrario è dono; è l’incontenibile gioia di poter dire: “Io sono tua/o”. Ma questo non è realmente possibile finché non si è impegnati davvero con tutto se stessi, compreso il futuro, cosa che per i cristiani avviene nel sacramento del matrimonio.

Tenerezza è fortezza: è scrivere sulla roccia il bene che si riceve, e sulla sabbia il bene che si fa. E’ la fortezza di sentirsi sempre abbastanza ricchi per poter dare, e abbastanza poveri per dover ricevere. E’ non trattare mai nessuno come oggetto di consumo, come cosa usa e getta, come un chewing-gum, che più si mastica e più perde sapore. E’ accettare di soffrire noi pur di non far soffrire gli altri. E’ ricordare sempre che la nostra debolezza non è la misura del bene e del male, e che l’amore esiste per mostrare quanto sia forte la nostra capacità di alleviare il dolore degli altri.

Capite allora perché faccio tifo per papa Francesco quando vi scuote: Giovani, non lasciatevi rubare la tenerezza!

Ora vi saluto con tutta la tenerezza che meritate e di cui sono capace

Cadore, 8 settembre 2015, Natale di Maria

+ Francesco Lambiasi