Lettera natalizia alle Autorità

Gentili Signore e Signori,

questa mia, scritta nell’imminenza del Natale, è indirizzata a tutti Voi, rispettabili Autorità e Persone impegnate nell’ambito politico e sociale e nella pubblica Amministrazione. È ispirata dalla recente enciclica di papa Francesco, Fratelli tutti, dedicata alla fraternità e all’amicizia sociale.

  1. L’Italia della pandemia

Ma prima di provare ad entrare nel cuore dell’enciclica, vorrei partire da un breve cenno all’indagine Censis sull’Italia di questo 2020, l’anno della “paura nera”. Il Covid-19 – vi si legge – ha solo squarciato il velo. Sotto, permangono le cronicità del Paese, a cominciare dalle enormi disuguaglianze sociali, dalle carenze storiche della sanità, della scuola, del mondo del lavoro. L’immagine scelta dal rapporto per l’Italia è quella di una “ruota quadrata” che non gira. Annaspa a fatica, con un disumano sforzo per ogni quarto di rotazione compiuto. Così la nazione si è ritrovata “spaventata, dolente, indecisa tra risentimento e speranza”. Il 73% degli italiani, infatti, indica nella paura dell’ignoto e nell’ansia conseguente il sentimento predominante.

Abbiamo imparato da papa Francesco a dire che “nessuno si salva da solo”. Ma non a farlo per davvero. Anche se la forza elementare e letale del virus è servita a ricordarci una verità dimenticata: la malattia dei miei simili è la mia. E io sono vulnerabile finché l’umanità resta vulnerabile. Tuttavia, persino sotto i colpi di maglio che il Covid va assestando al vecchio e iniquo sistema globale, non facciamo ciò che diciamo. I vaccini dovrebbero arrivare, ma nel Sud del pianeta, nel 2021, solo il 10% verrà immunizzato. Un male terribile per gli esseri umani più poveri, e un male per il mondo intero. Perché fin quando sulla terra ci saranno paura, guerra, dolore e morte, la pandemia e le paralisi che provoca, non saranno finite. Purtroppo il 2021 sarà ugualmente l’anno di una ulteriore vertiginosa ingiustizia: la disuguaglianza vaccinale.

  1. La politica di cui c’è bisogno

Mi introduco in questo passaggio con tutto il rispetto che Voi meritate e con tutta la delicatezza di cui sono capace. In sintonia con papa Francesco, mi permetto di condividere questi pensieri come umile apporto alla riflessione comune, perché, nel contesto drammatico del flagello di questa pandemia che continua ad affliggerci, siamo in grado di reagire con un nuovo sogno di fraternità e di amicizia sociale, che non si limiti a sterili parole di circostanza. Certo, come vescovo, non posso prescindere dalle mie convinzioni cristiane, che mi illuminano e mi alimentano, ma cerco di farlo in modo che la riflessione si apra al dialogo con tutte le persone di buona volontà.

Chiediamoci: quale politica ci occorre?
Ci occorre una politica che non sia sottomessa all’economia, e questa non lo sia al paradigma efficientista della tecnocrazia.
Ci occorre una politica sana, capace di riformare le istituzioni, di coordinarle e di dotarle di buone pratiche, per respingere la corruzione e l’inefficienza.
Ci occorre una politica mirata al bene comune, pensato a lungo termine, per il presente e il futuro. valorizzi i giovani e abbia il coraggio di farli diventare protagonisti attivi della vita pubblica”
Ci occorre una politica aperta a riconoscere ogni essere umano come un fratello o una sorella, e disponibile a ricercare un’amicizia sociale che includa tutti e non ‘scarti’ nessuno.
Ci occorre una politica che faccia progredire verso un ordine sociale e politico, e sia orientata a costruire un’autentica civiltà dell’amore, la cui anima sia la carità sociale.
Ci occorre una politica impegnata a riconoscere i poveri, li apprezzi nella loro immensa dignità, li rispetti nel loro stile proprio e nella loro cultura, e li integri nella società.
Ci occorre una politica vissuta dai ‘politici’, come una vocazione a servire il bene comune e non intendano l’attività politica come una mera ricerca del potere.

  1. La fraternità che ci occorre

Ci occorre una politica capace di sognare e di promuovere una fraternità aperta, gratuita, solidale.
Con alcune attenzioni.
Non c’è fraternità senza prossimità. La triste storia di Caino e Abele ci dice che la fraternità non garantisce nessuna amicizia, e che il fratello può essere addirittura il primo assassino del fratello.
Non c’è fraternità senza solidarietà, senza che noi pensiamo e operiamo in termini di bene comune, di priorità della vita di tutti sull’appropriazione dei beni da parte di pochi.
Non c’è fraternità senza responsabilità. Il virus dell’individualismo ci ha inoculato l’equivoco che la libertà si identifichi unilateralmente con l’autonomia del soggetto, dimenticando che libertà è anche responsabilità verso gli altri e verso se stessi.
Non c’è fraternità senza corresponsabilità, senza assumere in solido la cura della casa comune: il pianeta. La pandemia ci ha fatto capire che non possiamo salvarci da soli, ma solo insieme.
Non c’è fraternità senza convivialità. Ci deve entrare in testa e nel cuore che il pane quotidiano, se non è ‘nostro’, se non è condiviso con i fratelli, non può essere ‘mio’.
Non c’è fraternità senza gratuità, senza la capacità di fare il bene solo perché è bene, e non perché ci procura dei beni da goderci a nostro uso e consumo.
Non c’è fraternità senza interculturalità, senza tenere costantemente presente che le differenze non sono una minaccia, ma una preziosa risorsa. Pertanto non siamo costretti a spogliarci delle rispettive appartenenze, ma a viverle senza chiusure e senza fanatismi.
Solo se ci decidiamo a vivere da fratelli, tutti, con tutti, tra tutti, ce la potremo fare a non sprecare la dura lezione di questa cruda pandemia.
Prego perché Dio ispiri un’alta e chiara vision e ci chiami ad una mission coerente, condivisa, efficace.
Ce lo auguriamo di cuore

+ Francesco Lambiasi

Rimini, 15 dicembre 2020