E’ acceso il fuoco per la missione?

La scintilla è sempre l’eucaristia

E’ imminente la pubblicazione di un sussidio per la celebrazione eucaristica, per il quale il Vescovo ha scritto la seguente prefazione            

Guidati, animati, sostenuti dallo Spirito Santo: è così che noi cristiani “celebriamo il culto”. Lo ricordava san Paolo ai Filippesi (3,3). Ma l’aveva già detto a Gesù alla Samaritana: che i verdi adoratori avrebbero “adorato il Padre in Spirito e verità” (Gv 4,23). Tra parentesi: mi si scusi la pignoleria, ma perché la Bibbia CEI continua a tradurre in questo versetto il vocabolo Spirito con la s minuscola? Comunque, ci siamo mai soffermati su questi versetti?

E’ vero, indiscutibilmente vero: senza lo Spirito del Risorto la divina liturgia – la santa eucaristia – si riduce a nostalgica rievocazione. Mentre invece in – e con – lo Spirito Santo “che è Signore e dà la vita” la liturgia eucaristica è efficace attualizzazione del passato: è memoriale che non lo ‘rappresenta’ ma lo ‘rende-presente‘ qui, oggi, ora, per noi. Ed è feconda, fruttuosa anticipazione del futuro: annunciamo la morte del Signore, proclamiamo la sua risurrezione, nell’attesa della sua venuta.

Ma quand’è che la celebrazione eucaristica “avviene” nel segno dello Spirito? Quando non la subiamo come un antipatico precetto da soddisfare, ma ci raduniamo per “fare assemblea” con il Padre nostro che è nei cieli, e per vivere in comunione tra di noi, nello Spirito di Cristo, come vera e santa famiglia di Dio. Quando non la riduciamo a narrazione informativa di cose sapute, dette e ridette, o a pedante rappresentazione scenica o a una sorta di pesante, barboso talk-show. Quando non ne usciamo sbadigliando per sfinimento, ma con lo slancio di un cuore che arde, con tutto il fuoco e la grinta che ci occorrono per andare in missione. Perché una eucaristia sia effettivamente così, c’è bisogno che sia seria, non soporifera; che sia insieme dignitosa ed espressiva, semplice e solenne, ma mai sciatta né pomposa o ingessata. Insomma ci vuole un’assemblea eucaristica che sia trasparenza del mistero. Detto in una parola, ci vuole una liturgia bella. Punto.

Ma per una liturgia che sia veramente, semplicemente bella, occorre vigilare in modo particolare sulla qualità della Messa domenicale e festiva.

Occorre equilibrio tra Parola e Sacramento; serve cura intelligente e molto diligente dell’azione rituale; necessita un’attenta valorizzazione dei segni, per saldare il legame tra liturgia, fede e vita. Recita un antico aforisma, che mi permetto di citare in latino (talmente è bello) e che subito traduco: “Lex orandi, lex credendi, lex vivendi” (La legge che regola la preghiera è quella che regola anche la fede e la vita).

La Parola, nella proclamazione e nell’omelia, va presentata rispettando il significato dei testi e tenendo conto delle condizioni dei fedeli, perché ne alimenti la vita nella settimana.

Il rito va osservato con delicatezza e intelligente fedeltà, senza variazioni stravaganti o indebite intromissioni, evitando sia il rischio di un meticoloso cerimonialismo sia quello di un “fai-da-te” arbitrario e narcisistico. Non bisogna confondere la legittima creatività – e una sapiente possibilità-capacità di scelta e di adattamento – con la novità che deve fare colpo a tutti i costi. I segni e i gesti siano autentici, decorosi e significativi, perché si colga la profondità del mistero; non vengano sostituiti da espedienti artificiosi e sofisticati; parlano da soli e non ammettono il prevaricare delle spiegazioni. Così si salvaguarda la dimensione simbolica dell’azione liturgica.

La celebrazione ha un ritmo, che non tollera né fretta nervosa e convulsa né insopportabili lungaggini, e chiede equilibrio tra parola, canto e silenzio. Il silenzio è componente essenziale della preghiera ed efficace educazione ad essa. Si dia valore al bel canto, quello che unisce l’arte musicale con la proprietà del testo.

Va curato il luogo della celebrazione, perché sia accogliente e la fede vi trovi degna espressione artistica.

In ogni parrocchia ci sia una preparazione accurata, che coinvolga varie ministerialità, nel rispetto di ciascuna, a cominciare da quella del sacerdote presidente, senza mortificare quelle dei laici. Perché le celebrazioni siano dignitose e fruttuose, se ne valuti il numero, gli orari, la distribuzione nel territorio. Si promuovano altre forme di preghiera, liturgiche o di pietà, consegnateci dalla tradizione, per prolungare nella giornata festiva, in chiesa e in famiglia, il dialogo con il Signore.

Non c’è niente da fare: la prima responsabilità è quella del presidente. Ci siamo mai soffermati su quest’altro versetto di san Paolo: “Chi presiede, presieda con diligenza” (Rm 12,8). Non vale anche per la presidenza liturgica? E, tanto per non rimanere nel superattico dei grandi principi, ma per scendere al pianoterra dell’essenziale e assolutamente indispensabile, abbiamo mai – noi pastori – letto quelle parole infiammate che si trovano ne La gioia del vangelo di Francesco: “Il predicatore che non si prepara per l’omelia, non è ‘spirituale’, è disonesto e irresponsabile” (n. 145)?

Questo libretto non è indispensabile, ma vorrebbe essere un valido aiuto e uno strumento utile, innanzitutto per il presidente dell’assemblea liturgica, ma anche per tutti coloro – diaconi, accoliti, lettori, salmisti, cantori, membri di gruppi liturgici – che devono e vogliono aiutare le nostre assemblee eucaristiche a diventare vere assemblee celebranti, attivamente partecipi e pienamente consapevoli del mistero che si compie. Così ogni celebrazione sarà esperienza di fede che si comunica, stimolo di speranza che si conferma, esercizio di carità che si diffonde.

Ditemi voi, sorelle e fratelli, se per un anno interamente dedicato, per la seconda volta (!) all’eucaristia come fuoco per la missione, tutto questo vi sembra poco…

Rimini, Solennità di Cristo Re, 2014

+ Francesco Lambiasi