Amare è portare la sofferenza dell’altro

Omelia del Card. Marcello SEMERARO nella beatificazione di Sandra Sabattini

 1. Tra I racconti dei chassidim narrati da Martin Buber ce n’è uno che riguarda Moshe Löb di Sasow, uno dei primi rabbini della tradizione polacca. Dice: «Come bisogna amare gli uomini, l’ho imparato da un contadino. Questi sedeva in una méscita con altri contadini e beveva. Tacque a lungo come tutti gli altri, ma quando il cuore fu mosso dal vino, si rivolse al suo vicino dicendo: “Dimmi tu, mi ami, o non mi ami?”. Quello rispose: “Io ti amo molto”. Ma egli disse ancora: “Tu dici: io ti amo e non sai cosa mi affligge. Se tu mi amassi in verità, lo sapresti”. L’altro non seppe che rispondere, e anche il contadino che aveva fatto la domanda tacque come prima. Ma io compresi: questo è l’amore per gli uomini, sentire di che cosa hanno bisogno e portare la loro pena» (ed. Garzanti, Milano 1979, 406).

Ho iniziato la mia omelia con questa storia per due ragioni. La prima è perché oggi, nella proclamazione della Parola di Dio, abbiamo ascoltato il meraviglioso Inno all’amore di san Paolo (cf. 1Cor 13,1-13): un testo che pure stilisticamente è ai vertici della letteratura religiosa antica. L’altra ragione sta nel fatto che in una esperienza analoga possiamo riconoscere anche il cammino spirituale percorso da Sandra Sabattini, la giovane che da oggi la Chiesa onora come beata. Quando, a 13 anni, cominciò a frequentare la «Comunità Papa Giovanni XXIII» fondata dal Servo di Dio don Oreste Benzi, alla sua mamma, riferendosi all’esperienza vissuta coi ragazzi disabili, confidò: «Ci siamo spezzate le ossa, ma quella è gente che io non abbandonerò mai».

Era solo un inizio. In Sandra, come ha annotato il vostro vescovo Francesco Lambiasi, «il desiderio di servire i poveri non scattava da una semplice spinta emotiva a fare beneficenza, ma scaturiva da una sorgente spirituale: l’amore di Dio. Man mano che il suo cuore si immergeva nel mare – senza fondo e senza sponde – dello sconfinato amore di Dio per i poveri, sperimentava che la vera soluzione di ogni problema è la risurrezione di Gesù, unica autentica proposta di liberazione» (Scelgo Te e basta. Sandra Sabattini, il Ponte, Rimini 2019, 29).

2. Dicevo dell’Inno alla carità. Nel suo svolgimento l’apostolo offre alcuni confronti che ci permettono di scoprire l’eccellenza dell’amore, che ha la capacità di aprirci al vero senso di tutti i doni, anche i più eclatanti, magniloquenti e appariscenti: la glossolalia, ossia le lingue degli angeli e degli uomini; la profezia, cioè la conoscenza dei misteri; la fede taumaturgica, ovvero capace di compiere opere di bene che lasciano stupiti… Tutto è qualificato e misurato dalla carità. Se non l’avessi, scrive san Paolo, «sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita». «Gran cosa è la carità – commentava sant’Agostino – che se manca è inutile tutto il resto; se c’è tutto diventa utile» (In Io. Evang. Tr., IX, 8: PL 35, 1462).

Per altro verso l’Apostolo ci presenta alcune caratteristiche della carità: è magnanima, benevola… lo abbiamo ascoltato. Ben quindici verbi per dircene la qualità; più del doppio dei colori che la scienza riconosce nell’arcobaleno e delle note nella scala musicale. E Sandra, il linguaggio dell’amore – con i suoi colori e la sua musica –l’ha appreso molto bene. Sotto questo aspetto è stata un’autentica artista. È stata una santità, la sua, vissuta in tutti gli ambiti della propria vita, nell’aprirsi alla condivisione con gli ultimi, nel mettere al servizio di Dio tutta la sua giovane esistenza terrena, fatta di entusiasmo, semplicità e una grande fede. È stato rilevato pure che Sandra è la prima fidanzata santa ammessa agli onori degli altari!

Su lei, il suo papà, Giuseppe, ha offerto questa testimonianza: «Incominciai a vedere mia figlia capace di una attenzione verso gli altri che sorprese me e mia moglie quando per esempio notammo che di nascosto dava dei soldi presi dal suo stipendio lavorativo ai bisognosi che bussavano alla nostra porta. Ho visto Sandra donare anche degli indumenti a chi gliene faceva richiesta, a volte erano suoi, a volte riusciva a procurarli […]. Mia figlia non offriva solo aiuto materiale ma donava a chi ne aveva bisogno l’accoglienza senza giudizio perché desiderava comunicare l’amore del Signore» (Relatio et vota, p. 11).

3. Leggendo le pagine del suo Diario ci è facile scoprire quanto, in Sandra, la carità sia stata creativa e concreta, attenta al dramma della povertà e considerata come strada verso la santità: «Povertà è povertà, e non è sufficiente fare il voto di povertà per essere poveri in spirito. Se veramente amo, come posso sopportare che un terzo dell’umanità muoia di fame, mentre io conservo la mia sicurezza e stabilità economica? Facendo così, sarò un buon cristiano, ma non certamente un santo ed oggi c’è inflazione di buoni cristiani, mentre il mondo ha bisogno di santi» (Diario, 4 marzo 1983).

Il prossimo 14 novembre noi celebreremo la quinta Giornata Mondiale dei Poveri. Nel suo Messaggio per quest’occasione Papa Francesco ha scritto: «Non possiamo attendere che [i poveri] bussino alla nostra porta, è urgente che li raggiungiamo nelle loro case, negli ospedali e nelle residenze di assistenza, per le strade e negli angoli bui dove a volte si nascondono, nei centri di rifugio e di accoglienza… È importante capire come si sentono, cosa provano e quali desideri hanno nel cuore» (n. 9). È un po’ quello che diceva il rabbino chassidico che ho citato all’inizio: amare qualcuno è sentire di cosa ha bisogno e portare la sua pena.

Sandra, a sua volta, nel suo diario spirituale, alla data del 7 settembre 1982 ha lasciato scritto questa preghiera: «Signore, fa’ che ogni mia azione sia determinata dal fatto di volere il bene dei ragazzi, ogni minuto è un’occasione d’amore da prendere al volo». Ed io, considerando queste parole, ripenso a quanto scriveva san Bernardo nei suoi Discorsi sul Cantico dei cantici: «Dovunque parla l’amore». Aggiungeva che se qualcuno vuole comprenderne il linguaggio, deve necessariamente amare. Come chi non conosce una lingua non può comprendere chi la parla, «così la lingua dell’amore, a colui che non ama sarà una lingua barbara, e come un bronzo che risuona e un cembalo tintinnante» (Sermones in Cant. Cant., LXXIX, 1: PL 183, 1163).

Rimini, Basilica Cattedrale di Santa Colomba, 24 ottobre 2021

 Marcello Card. Semeraro