Un pieno di gioia

Saluto di indirizzo del Vescovo alla Convocazione nazionale del Rinnovamento nello Spirito

Lo accolse pieno di gioia. Zaccheo era capo di una banda di ladri matricolati, cordialmente detestato da una intera città. E per colmo di ironia portava un nome che secondo Wikipedìa significa “puro”, proprio lui che era sporco di peccati fin sopra i capelli. La sua “divina commedia” cominciò quel giorno a Gerico, quando si alzò di buon mattino con il prurito di una irrefrenabile curiosità, vogliosa di vedere Gesù, senza farsi vedere. Una curiosità che lo rese perfino ridicolo, perché era basso e tracagnotto, e gli venne la brillante idea di gattonare sopra un sicomoro, come un ragazzetto irrequieto e sbarazzino. Da quell’albero Zaccheo scenderà di lì a poco, con il cervello del tutto resettato, con il cuore felicemente riavviato, con una vita radicalmente trasformata: ‘convertita’. Incontrare Gesù – insegna Zaccheo – è come trovare la perla preziosa, a lungo cercata, per la quale vale la pena di vendere tutto, con incontenibile gioia, persuasi di non rimetterci affatto. Anzi convinti e stracontenti di aver fatto un affare favoloso, megagalattico.

In questi giorni voi siete qui per mettere il cuore sotto carica e fare un pieno di gioia. Ora vorrei provare a pennellare rapidamente almeno tre note di una gioia cristiana di buona lega.

La prima è la gioia della filialità: “Oceano di gioia! Figlia mia! L’ha detto il mio Dio: Figlia mia!” (s. Margherita di Cortona). E’ lo Spirito Santo che ci fa sentire – non soltanto  sapere – che non siamo schiavi, condannati a vivere sotto l’implacabile minaccia del sibilo terrificante della frusta del padrone. Non siamo orfani, abbandonati a un destino cinico e baro. Ci era stato detto che Dio era un gelido monarca, ombroso e irascibile, che governa e impera da lontani, gelidi spazi stellari. Ci era stato detto che “Dio Padre” era il nemico della nostra libertà, un giudice inflessibile, un boss accanito, un padre sadico, uno spietato castratore. Ma Gesù ci ha detto che Dio è, sì, l’onnipotente, e però è Padre, e per amore si è reso ‘onni-impotente’. Ricordiamo? “Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre, per essere chiamati figli di Dio e lo siamo realmente!” (1Gv 3,1). Abbiamo un Dio per padre! Abbiamo un padre per Dio! Con Gesù, nel suo impalpabile Soffio, noi possiamo balbettare: “Abbà, Padre”. Una parola d’infinita dolcezza, un sospiro di inaudita confidenza, stracolma di tenerezza, traboccante di incontaminato candore.

La seconda nota è la gioia della fraternità/sororità. Gesù ci ha detto ancora che in lui, crocifisso e risorto, Dio ci si è fatto vicino, è l’Emmanuele. E noi lo possiamo guardare negli occhi, possiamo udirne il respiro, auscultarne il battito del cuore. Possiamo accarezzarne le carni straziate, baciarne le piaghe gloriose. Ci avevano detto che l’uomo discende dalla scimmia e va verso il nulla. Ci avevano detto che ognuno di noi è un pacco postale spedito dall’ostetricia all’obitorio. Ma Gesù ci ha detto che siamo figli teneramente e tenacemente amati dal Padre suo e Padre nostro. Ci ha detto che noi non siamo stati fatti per morire, ma per vivere. Ci ha detto che siamo stati creati per amare e cantare per sempre, non per sopravvivere. Ci avevano detto che siamo poveri grumi di cellule, sperdute in un pianetino sperduto, dove non c’è più né alto né basso, dove fa sempre più freddo. Ma Gesù ci ha detto che siamo figli, e perciò siamo fratelli e sorelle, con il genoma della comunione nel nostro DNA. Così, la gioia straripante della filialità si riversa nella gioia non meno straboccante della fraternità/sororità.

La terza nota è la gioia della contemplazione. Gesù ci ha insegnato a pregare il Padre nostro “che è nei cieli”. Per Gesù i ‘cieli’ evocano il carattere verticale del mistero del Padre, ne misurano la dimensione sconfinata, ne sondano l’abissale profondità. Ma perché è proprio il cielo a veicolare il senso della trascendenza? Senza dubbio perché l’azzurro del cielo – e perciò ‘celeste’ – è nello stesso tempo irraggiungibile e onnipresente, avvolge tutto e tutto pervade della sua limpida luce. Bisogna saper contemplare l’azzurro profondo, il celeste squillante. Bisogna farsene accendere gli occhi, lasciarsene invadere il cuore. Perché tanti giovani, che non vanno mai in chiesa, scalano le montagne, se non per nuotare in qualche modo nell’azzurro? Bisogna saper ascoltare il silenzio, assaggiarne il sapore delicato, accoglierne la quiete rigenerante, fin nelle pieghe più riposte dell’anima. Può essere un momento di calma in casa, nella penombra di una chiesa, nella frescura del bosco, nella brezza del mare. Può accadere sostando sul Vangelo, lasciandosi ferire da una domanda, lasciandosi intercettare da una parola che ci risuona nelle fibre più intime dello spirito. Allora scocca la scintilla del contatto, e zampilla il fiotto della sorgente interiore: “Un’acqua viva mormora dentro di me, e mi dice: Vieni al Padre!” (s. Ignazio di Antiochia).

Dovremmo qui parlare ancora di altre note e colori della gioia cristiana come la gioia della vocazione, la gioia della comunione, la gioia della evangelizzazione, la gioia della festa, del perdono e del servizio. Ma se questo doveva essere un saluto di indirizzo, lo spazio disponibile mi si è ormai esaurito. Comunque ritengo che queste gioie appena scandite siano strettamente addentellate alle tre che ho cercato di declinare più diffusamente: filialità,  fraternità, contemplazione.

Oggi noi siamo davanti a un bivio drammatico: o imbocchiamo il sentiero della gioia, o non ci rimane che affondare nelle sabbie mobili della noia. Sì: o la gioia o la noia. Ma come fa un cristiano spento e triste a portare un messaggio di gioia? Non è forse una contraddizione in termini? Vengo perciò a concludere con un augurio che mi lascio suggerire dal profeta Isaia: “Mostri il Signore la sua gloria, e voi fateci vedere la vostra gioia!” (66,5).

Grazie di cuore perché siete tornati a Rimini. Vi auguriamo e ci auguriamo che, della vostra presenza nella nostra città in questi giorni – come avvenne in casa di Zaccheo e nella città di Gerico quel giorno – rimanga una scia di profumo: il buon profumo di Cristo,  attraverso il fragrante profumo della vostra gioia!

Rimini, PalaCongressi, 6 aprile 2019

+ Francesco Lambiasi