Vita consacrata, vita illuminata Consacrate e consacrati, “professionisti” del servizio alla Verità

Omelia pronunciata in Basilica Cattedrale, in occasione della festa della Presentazione di Gesù al tempio e della XIII Giornata per la vita consacrata – 2 febbraio 2009 –

Collocata idealmente alla fine delle celebrazioni natalizie, la Presentazione del Signore ci si propone come gioioso preludio che preannuncia e anticipa le feste pasquali. La luce di Cristo, simboleggiata dai ceri accesi che abbiamo portato in processione, è già brillata la notte di Natale, e splenderà sfolgorante la notte di Pasqua. In quella veglia, la madre di tutte le veglie, Cristo, celebrato oggi come “luce per illuminare le genti”, verrà esaltato come luce del mondo, perché con la sua morte “ha vinto la morte” e con la sua risurrezione “ha reso luminosa la vita” (2Tm 1,10). Anche nell’immaginario collettivo il nome della “candelora” evoca il suggestivo simbolismo delle candele accese: come la cera si consuma nella fiamma e consumandosi diffonde la luce, così è avvenuto per Gesù: nella Pasqua, si è lasciato consumare dal fuoco dell’amore, e nel sacrificio della croce la sua umanità è stata innalzata per attirare tutti gli sguardi, come luce traboccante dell’amore che si dona.

Gesù che ha detto di sé: “Io sono la luce del mondo”, ha detto pure a noi suoi discepoli: “Voi siete la luce del mondo”. La luce di Cristo si è accesa, per la prima volta nella nostra vita, al momento del battesimo, chiamato anche “illuminazione”, come esprime bene il simbolismo della candela che, al termine del rito, si accende al cero pasquale e viene presentata a genitori e padrini come “luce di Cristo, fiamma che sempre deve essere alimentata”. Per voi, sorelle e fratelli consacrati, questa luce si è rinvigorita e intensificata  – come “luce da luce” – il giorno della vostra professione. Ed è su queste due illuminazioni, quella battesimale e quella della consacrazione religiosa, che vorrei ora riflettere insieme con voi.

1. Nell’antichità i lunghi esorcismi pre-battesimali trovavano il loro momento ricapitolativo nel rito, quanto mai eloquente, della rinuncia, che si svolgeva al tramonto del sabato santo: con la mano alzata in segno di giuramento solenne, ogni battezzando si volgeva prima verso occidente (là dove le tenebre ingoiano la luce) per denunciare il patto con Satana e il potere delle tenebre sancito dal primo Adamo. Poi si voltava verso oriente (il luogo da cui sorge il sole all’indomani) ed esprimeva l’alleanza con Cristo, nuovo sole per una vita nuova.

“Mettiamo dunque fine – scriveva un padre della Chiesa, Clemente Alessandrino –  mettiamo fine all’oblio della verità: deponiamo l’ignoranza e l’oscurità che ci impediscono di vedere come in una caligine, poi contempliamo colui che è veramente Dio ed eleviamo a lui questa esclamazione: Salve o luce!”.

La luce per il cristiano è la verità di Cristo su Dio, sull’uomo, sulla vita, sulla morte. Le tenebre da cui veniamo riscattati con l’illuminazione della fede raffigurano l’idolatria, che non è stata vinta una volta per sempre, quando il cristianesimo si è affermato sul paganesimo antico. L’idolatria è tentazione permanente, e continua a celebrare i suoi trionfi anche nella nostra vita di cristiani.

Solo la fede nella rivelazione portataci da Gesù fa piazza pulita di tutti gli “dei falsi e bugiardi”. La rivelazione cristiana è come un potente fascio di luce proiettato sul cielo, che ci permette di vedere qual è il vero volto di Dio: non è il volto del nostro più irriducibile nemico – questo è piuttosto Satana, il padre di tutti gli idoli – ma il volto del nostro più fedele e affidabile alleato. Anzi Gesù è venuto a recapitarci la splendida notizia: Dio è Padre-Abbà, non è il predatore della nostra libertà, ma il salvatore della nostra più vera e più piena felicità. Se Dio è Padre, allora il mondo non è uno sterminato orfanotrofio, triste e desolato, in cui si accalcano sei miliardi di solitari. Se Dio è Padre, allora la storia non è in balia di un fato avverso e implacabile, e la vita non è alla mercé di un destino ineluttabile o di una fortuna bendata e bizzarra. Se Dio è Padre, allora la morte non è il “buco nero” del nulla; non si può immaginare come un muro invalicabile che si innalza fino al cielo, ma è come il grande ponte che ci fa transitare nella vita eternamente felice.

2. La luce della fede ci aiuta in particolare a leggere i tre grandi libri che ci sono affidati: il libro del creato, quello delle sante Scritture, quello della storia.

Il libro del creato, letto con le lenti di una ragione illuminata e “dilatata” dalla fede, ci consente di aprire quel “grande angolare” qual è il cielo, oltre che sull’uomo, anche su Dio. Guardando il cielo stellato sopra di sé, il credente non solo si domanda incantato e stupefatto “che cos’è l’uomo perché Dio se ne prenda cura”, ma si chiede pure chi debba essere Dio per prendersi tanta cura dell’uomo. Infatti “i cieli narrano la gloria di Dio e l’opera delle sue mani annuncia il firmamento” (Sal 19,1). Da milioni e miliardi di anni luce continua ad arrivarci il messaggio della immensa “armonia cosmica”. Il messaggio è questo: Dio c’è, ed è infinitamente buono, sapiente e potente. Infatti chi fa sì che la sterminata schiera dei corpi celesti non precipitino ad ogni istante nel caos? che i pianeti, nelle loro rivoluzioni, siano abbastanza veloci da sfuggire all’attrazione fatale del sole, ma non tanto da sgusciare dalla loro orbita, finendo per perdersi nelle estreme periferie dell’universo? Quale viaggiatore in transito in un aeroporto, vedendo tanti aerei partire e arrivare ad ore programmate, solcare contemporaneamente i cieli senza scontrarsi, penserebbe che tutto ciò avviene a caso, senza che nessuno abbia prima stabilito rotte, pianificato orari, programmato strumentazioni precise e abbia impiegato del personale adeguato? Ma che cos’è il traffico aereo rispetto a quello che avviene, per stelle e galassie, nello sconfinato spazio dell’universo?

Anche e soprattutto per leggere il libro della sacra Scrittura, non basta la luce della sola ragione. Occorre la luce della fede; altrimenti ci si ferma alla buccia del testo sacro, senza coglierne la polpa del messaggio. La Chiesa non ha paura dell’approccio razionale, della ricerca critica, del metodo storico, ma accostato unicamente con queste chiavi, il libro delle Scritture resta sigillato e circoscritto al passato. Solo la chiave ermeneutica della fede spezza l’ultimo sigillo, e permette di aprire la Bibbia come un libro che respira, contemporaneo a chi legge, disponibile a dischiudere il suo tesoro segreto: la rivelazione del progetto di Dio sul mondo e il suo disegno salvifico sulla storia.

In terzo luogo, neanche il libro della storia, per essere correttamente e pienamente compreso, può fare a meno, per così dire, di passare “ai raggi x” della fede, perché alla luce della Rivelazione si riesce a scorgere in ogni fatto, anche nei più ordinari e quotidiani, non solo il livello della cronaca, che noi vediamo e normalmente registriamo. Per chi crede, questo livello non è mai l’unico. Nella vicenda dell’uomo è sempre coinvolto il Figlio di Dio. Dal giorno in cui il Figlio di Dio si è fatto uomo, dietro ogni uomo c’è sempre Gesù. Sotto la trama delle vicende che l’uomo coglie, c’è sempre la mano benevola e provvidente di Dio che tesse una storia di salvezza: sempre e su ogni riga della storia dell’uomo, anche sulle righe più storte, Dio scrive la storia del suo amore che salva.

3. In questa XIII Giornata mondiale della vita consacrata non può mancare da parte del Vescovo una parola rivolta specificamente a voi, sorelle e fratelli religiosi. Vi rilancio un passaggio tratto dal messaggio della CEI, perché mi aiuta a ricollegarmi al tema della luce e a quello del nostro cammino diocesano, improntato quest’anno alla contemplazione del Volto del Signore:  “Nella luce abbagliante dell’incontro con Cristo, il consacrato è chiamato a vivere tutta la sua esistenza fino a poter dire: ‘Cristo vive in me’; a lasciarsi coinvolgere in un rapporto interpersonale tanto appassionato da non vedere altro se non il Cristo crocifisso e risorto, conformandosi a Lui fino a portare nel proprio corpo le sue stimmate”.

Nel nostro contesto culturale si registra una allarmante congiura contro la verità. Viene ritenuto per vero ciò che serve, conviene e fa comodo. Viene emarginato chi o ciò che non è funzionale al sistema. Al massimo si preferisce parlare di sincerità, al posto della verità. Dappertutto poi stravince l’effimero, dilaga l’appariscente: a fronte dei “fuochi d’artificio” di festival, premi, sfilate, audience, nomination, hit-parade e quant’altro, si riscontra un diffuso, deprimente black-out dei valori spirituali. In questo clima ammorbante, da “civiltà al tramonto”, la vita consacrata, oltre a collocarsi come signum fraternitatis, si pone e si deve porre sempre di più come servitium veritatis. Se si accetta l’analisi che la crisi della società occidentale deriva fondamentalmente dall’aver “deciso che non c’è nulla al di sopra dell’uomo, e che ciò che conta è solo il calcolo dei vantaggi” (Solgenitzin), allora una vita religiosa, vissuta ad alta tensione spirituale, assume una elevata carica profetica, fatta di contestazione critica dei modelli dominanti e di efficace controproposta culturale.

La vita consacrata contesta i pilastri su cui poggia l’ordine (o il disordine) costituito, e che consistono nel pretendere una libertà senza responsabilità, nell’anteporre a tutto sempre e comunque il benessere materiale, nel rincorrere il piacere col minimo sforzo e il massimo godimento. In questa ottica, possiamo vedere i voti religiosi come un no radicale alla tirannia delle idolatrie imperanti del possedere, del piacere, del potere, e un deciso e gioioso a un “pieno” di umanità. I voti infatti fanno crescere l’uomo nuovo, e contribuiscono efficacemente a far nascere la civiltà dell’amore.

Contro un materialismo avido di possesso, disattento verso le sofferenze dei più deboli, una povertà evangelica, umilmente testimoniata più che narcisisticamente esibita, costituisce una sfida decisiva, portata al cuore di un economicismo sfrenato e virulento e di un utilitarismo esasperato che punta ad eliminare i poveri, piuttosto che eliminare, anzi aumentando, le povertà.

Contro un edonismo disinvolto e irresponsabile, una castità lieta e matura, non ridotta a zitellonaggio acido o ad arcigno scapolaggio, offre una testimonianza tangibile della potenza dell’amore di Dio nella fragilità della condizione umana.

Contro una concezione della libertà svincolata dal suo costitutivo rapporto con la verità, l’obbedienza, mentre mette in guardia verso ogni assetto privo di solidarietà, sprovvisto di senso di responsabilità verso gli altri, aiuta a fondare un tipo di convivenza in cui si punta ad una libertà intesa come capacità di allacciare legami, non come facoltà di sottrarsi ai doveri.


4. In una cultura marcata dall’individualismo, dall’utilitarismo e dal relativismo, i religiosi rischiano di passare per dei rinunciatari patetici e retrogradi. La luce della fede invece ce li fa vedere come l’avanguardia profetica dell’umanità liberata, come le sentinelle di un mondo nuovo di cui avvertiamo le doglie del parto e che non può essere assolutamente abortito, se vogliamo che il nostro cammino non si riduca a un vagabondaggio inconcludente e alla fin fine frustrante, ma sia ciò che deve essere: un pellegrinaggio verso la casa del Padre, la meta più esaltante per uomini che vogliano essere degni di questo nome.

Perciò, sorelle e fratelli religiosi, mantenete accesa e tenete sempre alta la fiaccola della fede, perché arda per voi, brilli per gli altri: perché quanti vengono dietro di voi non inciampino negli ostacoli dell’errore e della menzogna, non cadano nei trabocchetti del pregiudizio, del dubbio e del sospetto, e non smarriscano mai la via della vera vita.

Con voi vogliamo ora condividere questa preghiera di s. Colombano, abate:


“Dégnati, o Cristo, dolcissimo nostro Salvatore, di accendere le nostre lucerne: brillino continuamente nel tuo tempio e siano alimentate sempre da te che sei la luce eterna; siano rischiarati gli angoli oscuri del nostro spirito e fuggano da noi le tenebre del mondo.

Dégnati, amato nostro Salvatore, di mostrarti a noi che bussiamo, perché, conoscendoti, amiamo solo te, te solo desideriamo, a te solo continuamente pensiamo, e meditiamo giorno e notte le tue parole.

Dégnati di infonderci un amore così grande, quale si conviene a te che sei Dio e quale meriti che ti sia reso, perché il tuo amore pervada tutto il nostro essere interiore e ci faccia completamente tuoi”.

Che santa Maria, la giovane vergine, povera, obbediente, vi rassicuri interiormente che dalla povertà consacrata può venire al mondo solo una enorme ricchezza spirituale, dalla verginità per il Regno solo amore gratuito e generoso, dall’obbedienza evangelica solo autentica libertà.

Che Maria di Nazaret vi sorrida, vi prenda per mano e vi conduca all’unico Amore della vostra vita.

A lui siano rese grazie, lui solo sia glorificato, lui sia sempre fedelmente e sommamente amato.