Vedere il Bambino nei bambini Siamo venuti dall’oriente per adorare il Signore

Omelia tenuta dal Vescovo nella 14.a celebrazione della Messa dei Popoli Basilica Cattedrale, S. Epifania 2010

Dio in un bambino: questo è il Natale. E’ l’Infinito in una greppia, l’Immenso in un grembo di donna, l’Onnipotenza nella fragilità della carne, lo splendore della Gloria nella povere e nel fango della storia. L’Epifania non è tanto un evento che si aggiunge al Natale, né una sua appendice di contorno: è piuttosto l’esplosione della sua luce, per illuminare le genti, per attirare le carovane di tutti i secoli, di tutti i popoli. L’Epifania è la rivelazione della Parola nella carne di un neonato, la manifestazione del tutto nel frammento: la trasparenza del tutto di Dio in quel frammento di umanità qual è il piccolo di Maria.

“Oggi i Magi, che lo ricercavano splendente fra le stelle, lo trovano che vagisce nella culla. Oggi i Magi vedono chiaramente, avvolto in panni, colui che tanto lungamente si accontentarono di contemplare oscuramente negli astri. Oggi i Magi considerano con grande stupore ciò che vedono nel presepio: il cielo calato sulla terra, la terra elevata fino al cielo, l’uomo in Dio, Dio nell’uomo, e colui che il mondo intero non può contenere, racchiuso in un minuscolo corpo” (S. Pietro Crisologo, Disc. 160).

1. Che cosa dice l’esperienza dei Magi a noi qui convocati in santa assemblea per questa 14.a edizione della Messa dei popoli? Ci dice che Cristo è l’unico Salvatore di tutti. Ci dice che in lui e grazie a lui saltano tutte le barriere: come quella antica, tra ebrei e pagani, così oggi le barriere di razza, di lingua e nazione. Ci dice che nella Chiesa cattolica nessuno è lontano, nessuno è escluso, nessuno deve essere chiamato e tanto meno trattato da “extra-comunitario”: infatti nella comunità cristiana non vi sono “né stranieri né ospiti, ma concittadini dei santi e familiari di Dio” (cfr Ef 2,19). In particolare questa festa ci dice che è troppo facile e fin troppo comodo riconoscere il piccolo Gesù in un bambinello di gesso, tutto bello, roseo e paffutello. Occorre piuttosto riconoscerlo in ogni bambino, specialmente se povero e bisognoso – come sono i minori migranti e rifugiati – perché Gesù da adulto esprimerà il suo amore preferenziale per loro, quando affermerà: “Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me” (Mc 9,37). E nel giorno del giudizio ci dirà: “Venite… ricevete in eredità il Regno… perché ero straniero e mi avete accolto” (Mt 25,34-35). Gesù stesso da bambino ha vissuto l’esperienza del migrante perché, come narra il vangelo secondo Matteo, subito dopo il brano odierno dei Magi, per sfuggire alle minacce di Erode dovette rifugiarsi in Egitto insieme a Giuseppe e Maria.

Ed è precisamente sulla situazione dei bambini migranti che vorrei riflettere insieme con voi, partendo da alcuni dati forniti dalla Caritas diocesana. Nel Riminese i minori stranieri sono oltre 5mila, un quinto degli stranieri totali, un numero che supera la percentuale di nuovi nati riminesi. Tra il 2007 e il 2008, infatti, la variazione di nascite della popolazione locale è stata del solo 2,3% contro il 36,7% di quella straniera. Nell’anno scolastico passato sono stati oltre 3mila i minori stranieri iscritti nelle scuole riminesi, rappresentando il 9% degli iscritti totali.

Riferendosi proprio ai bambini stranieri, il 1 gennaio scorso, nell’omelia per la Giornata della pace, il Papa ha affermato:

“Più sono piccoli questi bambini, e più suscitano in noi la tenerezza e la gioia per un’innocenza e una fratellanza che ci appaiono evidenti: malgrado le loro differenze, piangono e ridono nello stesso modo, hanno gli stessi bisogni, comunicano spontaneamente, giocano insieme… I volti dei bambini sono come un riflesso della visione di Dio sul mondo. Perché allora spegnere i loro sorrisi? Perché avvelenare i loro cuori?”. E accennando alle classi scolastiche multietniche, il Papa ha proseguito: “Ormai è sempre più comune l’esperienza di classi scolastiche composte da bambini di varie nazionalità, ma anche quando ciò non avviene, i loro volti sono una profezia dell’umanità che siamo chiamati a formare: una famiglia di famiglie e di popoli”.

Va notata la delicatezza dell’inciso “anche quando ciò non avviene”, che tiene conto del carattere disputato della questione. Il Papa cioè esprime una chiara preferenza per le classi miste, altrimenti il suo accenno non avrebbe senso. Ma papa Benedetto sa bene che sulla materia vi è divisione politica; perciò precisa che “anche quando ciò non avviene” – cioè anche quando le classi miste non si realizzano – quella “profezia” dell’umanità futura ci raggiunge attraverso la compresenza, in altri momenti della nostra vita associata, di bambini provenienti da diverse parti del mondo.

La scuola rappresenta una palestra di straordinaria potenzialità educativa per allenare i minori al riconoscimento e al rispetto dell’altro, anche quando è differente da noi. E ci si educa fin da piccoli a questo, non attraverso l’azzeramento di ogni identità, ma puntando su un fruttuoso incontro di civiltà; non nel vuoto di una tolleranza neutra, ma nel quadro aperto di una condivisione serena, fruttuosa e intelligente.

2. E’ dunque la strada dell’educazione all’accoglienza e all’integrazione quella che il Papa ci ricorda come l’unica praticabile ed efficace perché si realizzi la “parabola” dell’infanzia anticipatrice dell’umanità futura. La strada della integrazione, oltre che nella scuola, va percorsa anche in altri due laboratori di autentica civiltà dell’amore: la famiglia e la parrocchia.

Vorrei mostrarlo attraverso il linguaggio della testimonianza, riportando qualche esperienza concreta, di cui sono venuto a conoscenza in questi giorni. Una famiglia riminese si è resa disponibile ad accogliere un bimbo di due anni, figlio di marocchini mussulmani, insieme al fratellino che ha un handicap gravissimo, per cui si richiede un ricovero in ospedale. Una mamma cinese di un bimbo di due anni aveva bisogno di un appoggio – e l’ha trovato presso una famiglia di una nostra parrocchia – il sabato e la domenica, quando il nido è chiuso e lei deve fare i turni al lavoro. Un bimbo africano di due anni, quando l’asilo chiude, la mamma che lavora non potrebbe andare a prenderlo, e così una nostra famiglia si è resa disponibile a tenerlo in casa con i propri bambini, dalla chiusura della materna fino all’ora in cui la mamma termina il lavoro.

Di esperienze come queste è punteggiata la nostra città. Del resto basta ricordare quanto fanno in questo campo associazioni come la PGXXIII, la Comunità di Montetauro, l’Operazione-Cuore, l’Associazione Arcobaleno e tanti volontari.

In questo impegno il Centro Educativo della Caritas è molto attivo. E’ un centro per italiani e stranieri, aperto dal lunedì al sabato. Per la maggior parte è frequentato da immigrati che hanno bisogno di sostegno scolastico e non riescono a trovare aiuto nella propria famiglia. Molti poi vengono per interagire con altri bambini, perché il pomeriggio, finiti i compiti, non hanno nulla da fare e lì riescono a trovare altri coetanei per parlare e giocare.

Anche le parrocchie sono molto impegnate nel campo della integrazione sia con l’offerta dei cammini di iniziazione cristiana, sia con l’apertura degli oratori parrocchiali anche a minori di etnie e religioni diverse. Non possiamo neanche dimenticare la scuola interetnica di Taybe, in Terra Santa, sostenuta anche con il contributo della nostra diocesi.


3. Fratelli e Sorelle, tra qualche giorno dovremo disfare o riporre il presepe, visto che – come si dice dalle nostre parti – “l’Epifania tutte le feste se le porta via”. Ma prima permettiamo a Gesù, Giuseppe e Maria di assegnarci una specie di compito a casa da svolgere nel corso del nuovo anno. Per loro a Betlemme non ci fu posto quella notte nella città di Giuda. Poi, qualche tempo dopo, si verificò l’esperienza consolante e perfino esaltante dei Magi: la notte ne che seguì non poteva che essere davvero… “magica”. Ma si trasformò fin dalle prime ore in notte tragica per quell’ennesima visita dell’angelo del Signore che strattonò dal giaciglio il povero Giuseppe con l’ordine, strano ma indiscutibile, di migrare in Egitto per trovare lì asilo politico. Il compito da fare a casa la santa Famiglia di Nazaret ce lo formula quest’anno con le parole pungenti di s. Ambrogio, il quale era attanagliato da problemi non meno assillanti di quelli del suo attuale successore, il mite e saggio cardinale Tettamanzi. Ecco dunque le parole del tema da svolgere a casa in questo anno appena incominciato:


“Quelli che escludono i forestieri dalla città non meritano certo approvazione… Noi non sopportiamo che i cani siano digiuni mentre mangiamo, e poi scacciamo gli uomini”.


Che la santa Famiglia ci aiuti a svolgere questo tema non con dichiarazioni rimbombanti, ma con concreti, palpabili “fatti di vangelo”. E non potrebbe essere proprio Rimini, la capitale del turismo, a rivendicare a sé l’onore di presentarsi all’Italia e al mondo come la “capitale della solidarietà”, dove si sono cominciate a svolgere le prove generali di una nuova umanità planetaria?

+ Francesco Lambiasi