“Vedendo la loro fede” Credere è farsi carico degli altri

Anniversario del riconoscimento di C.L.

1. Con il vangelo non si può mai andare “in automatico”… Anche con i brani letti e riletti, basta prenderli per quello che sono – non cronache riferite per soddisfare le nostre superficiali curiosità, ma “ricordi” stesi con commozione dai primi discepoli per farci incontrare con la Persona che ha cambiato la propria vita – insomma basta sfogliare anche le pagine evangeliche più risapute con un briciolo di tenerezza, per provare a pelle il brivido di coloro che hanno visto da vicino il Verbo della vita, che lo hanno ascoltato, sfiorato, palpato. Per questa sensazione di “immediatezza”, può essere sufficiente a volte posare lo sguardo su un particolare, a prima vista marginale, che, se messo a fuoco con la lente sovrapposta di una ragione illuminata dalla fede, brilla di luce nuova e sprigiona un messaggio sorprendente.

Così è per quell’inciso contenuto nel brano odierno dell’evangelista Marco, il quale ci racconta che Gesù, quando si è trovato davanti il povero paralitico, calato giù dal tetto dai quattro barellieri, “vedendo la loro fede”, disse al poveretto: “Figlio, ti sono perdonati i tuoi peccati”. “Vedendo la loro fede”: è un dettaglio tutt’altro che banale e irrilevante se ricorre pari pari anche nei racconti paralleli degli altri due sinottici, Matteo e Luca. In effetti questa è l’unica volta in tutti e quattro i vangeli in cui un miracolo di guarigione, operato da Gesù, risulta connesso in modo interdipendente – come causa o come effetto – non alla fede della persona che viene guarita, ma ai quattro accompagnatori del paralitico, i quali con il loro stratagemma hanno dimostrato, agli occhi di Gesù, di nutrire nei suoi confronti una fiducia davvero superiore alla norma.

2. E’ su questo particolare della fede di quei quattro amici che vorrei soffermarmi, cari fratelli e sorelle di CL. I quattro compagni ci dicono che la fede è figlia dello stupore e dell’audacia: i “nostri” sollevano il loro parente o amico sulle loro spalle, by-passano la folla, lo portano in alto sul tetto, danneggiano la casa d’altri, unicamente armati del coraggio e dell’incoscienza di chi ama e per amore osa l’impensabile. Questa “compagnia della fede”, questa catena di cuori, questa sintonia di braccia e di gambe smuove il cuore di Gesù e lo induce prima a perdonare e poi a guarire l’uomo paralizzato.

In questa scena voi vi rispecchiate. Infatti, una volta che vi siete lasciati incontrare da Gesù e lui vi ha guardati, vi ha guariti e perdonati, non vi siete forse sentito incendiare il cuore dalla commozione per questo povero mondo affetto da paresi multipla? e non cercate voi continuamente di camminare insieme – in comunione – per portare a Gesù quanti vivono una esistenza bloccata e impedita, perché lui li possa restituire ad una vita degna del suo destino?

Sì, la fede vi ha afferrato il cuore e vi ha cambiato la vita. Ma che cosa è fede?

In quello che lui stesso ha definito “uno strano approccio all’esistenza cristiana” e ha intitolato Si può vivere così?, Don Giussani ricostruisce la dinamica della fede in cinque caratteristiche.

La prima caratteristica della fede cristiana è che parte da un fatto, un avvenimento che ha la forma di un incontro. I primi discepoli di Gesù, come Andrea e Giovanni, ci hanno “impastata in questa esperienza tutta la loro vita”. Anche i quattro anonimi portantini del paralitico dovevano certamente averlo già incontrato in qualche modo quell’eccezionale rabbi Galileo, almeno dovevano averne sentito parlare se sono arrivati a pensare che per il loro parente o amico paralizzato non c’era altra soluzione che Gesù e che per farlo incontrare con Gesù non c’era altro espediente per bypassare tutta quella folla che scoperchiare il graticcio del tetto e calarlo giù davanti a lui, con corde e barella.

La seconda caratteristica – prosegue Don Giussani – è l’eccezionalità del fatto: l’incontro per cambiarmi deve essere eccezionale, ed è tale quando corrisponde alle esigenze più profonde del cuore umano, per le quali viviamo o ci muoviamo. E nulla è più eccezionale di ciò che è “divino”: nulla corrisponde all’umano più del divino, cioè di qualcosa di “inimmaginato, di inimmaginabile, di mai provato”.

La terza caratteristica è lo stupore. Il vangelo di Marco è stato definito il vangelo della meraviglia. Il vocabolario del secondo evangelista, in effetti, è molto povero, ma utilizza ben otto vocaboli per tradurre la reazione di stupore, suscitata da Gesù, dalle sue parole inaudite, dai suoi gesti strabilianti, dal suo stile di vita così “fuori serie”. Al termine del brano odierno, l’evangelista racconta che al vedere il paralitico alzarsi e andarsene bell’e guarito sotto i loro occhi sbalorditi, “tutti si meravigliarono e lodavano Dio, dicendo: Non abbiamo mai visto nulla di simile!”.

Il quarto “fattore” della fede è la domanda: “Chi è costui?”. Anche questa domanda percorre tutto il vangelo di s. Marco. Se la pongono i demoni: “Che vuoi da noi, Gesù Nazareno?”. Se la pone la gente: “Che è mai questo (che succede)?”. Se la pongono i discepoli: “Chi è costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?”. Il vostro fondatore ricordava a proposito l’episodio di Pietro, il quale alla domanda di Gesù: “Ve ne volete andare anche voi?”, risponde deciso e forse sorpreso dalle sue stesse parole: “Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna”. Di fronte a questa domanda non è possibile né il compromesso conciliante né la trattativa diplomatica, anzi ci si ritrova inesorabilmente nella morsa di una alternativa drammatica – o si crede o non si crede:

“E’ la grande vera, reale alternativa – commentava martellante Don Gius -: o il niente in cui tutto va a finire – il niente di ciò che ami, il niente di ciò che stimi, il niente di te stesso e degli amici, il niente del cielo e della terra, il niente, tutto è niente perché tutto va a finire in cenere – oppure quell’uomo lì ha ragione, è quello che dice di essere”.


L’ultimo elemento è la responsabilità di fronte al fatto, è la risposta. E la risposta più razionale è il sì della fede. Perché? Perché – risponde Don Giussani –


“la realtà che si propone corrisponde alla natura del nostro cuore più di qualsiasi nostra immagine, corrisponde alla sete di felicità che noi abbiamo e che costituisce la ragione del vivere, la natura del nostro io, l’esigenza di verità e di felicità”.

3. Cari amici di CL, nella seconda lettura Cristo ci viene presentato da s. Paolo come il di Dio all’umanità: in lui tutte le promesse di Dio sono state “sì”. In Gesù Cristo Dio ha detto “sì” all’uomo e alla sua vita, all’amore umano, alla nostra intelligenza e alla nostra libertà. Al sì di Dio a noi, sale dal cuore della vita il nostro sì a lui. Dobbiamo tenere presente che nella lingua di Gesù e di Paolo la stessa parola amen serve per dire insieme la fedeltà di Dio alle sue promesse e la fiducia dell’uomo nel suo amore paterno. Amen è perciò il sì della fedeltà divina e il sì della nostra fede nel Signore.

Come non ricordare a questo punto il messaggio di Benedetto XVI al Convegno ecclesiale di Verona dell’ottobre 2006, con il suo forte appello a “rendere visibile il grande sì della fede”? E il Papa declinava questa chiamata sul piano dell’educazione, della testimonianza della carità, delle responsabilità civili e politiche dei cattolici – tutti campi che vi trovano particolarmente sensibili e impegnati – e indicava la condizione sine qua non per assumerci compiti e responsabilità tanto grandi e molteplici:


“Prima di ogni attività e di ogni nostro programma, deve esserci l’adorazione, che ci rende davvero liberi e ci dà i criteri per il nostro agire”.


E’ per questo che ho sentito di chiamare la nostra Chiesa diocesana ad un rinnovato impegno nella contemplazione del volto del Signore: “Vogliamo vedere Gesù – Contemplare il suo volto per mostrarlo a tutti”.

Aiutateci nel dimostrare che la contemplazione non è…tempo sprecato. Permettetemi di ripetere qui quanto già ebbi modo di affermare nell’Assemblea Diocesana dello scorso ottobre:


“La contemplazione senza la missione è sterile; la missione senza la contemplazione potrà al massimo risultare efficiente, ma non sarà mai realmente efficace”.


Cari fratelli e sorelle di CL, grazie perché ci siete. Grazie per quello che siete. E grazie per quello che, con l’aiuto del Signore, certamente sarete: sempre più fedeli alla voce dello Spirito e al vostro carisma; sempre più uniti a Pietro, al vostro Vescovo e a tutti fratelli della chiesa diocesana, a cominciare da quelli presenti nelle parrocchie e nelle altre aggregazioni ecclesiali; sempre più disponibili al grido dei poveri, soprattutto dei poveri di fede, la povertà più grande; sempre più impegnati sul fronte dell’educazione e della comunicazione del vangelo. Lasciate ora che io preghi per voi e con voi, servendomi delle parole della liturgia odierna:

“Dio della libertà e della pace, che nel perdono dei peccati ci doni il segno della creazione nuova, fa’ che tutta la nostra vita riconciliata nel tuo amore diventi lode e annuncio della tua misericordia”.

Che il Signore vi benedica. Che la Madonna vi sorrida. Che la memoria del vostro amato Fondatore vi sostenga.