Un ‘martire’ del Vangelo umile e fedele

In memoria di don Fausto Lanfranchi

Lo sappiamo: nella storia di don Fausto Lanfranchi si è verificato un evento che l’ha determinata e ‘convertita’ tutta: l’incontro con il giovane Alberto Marvelli. Per il giovanissimo Fausto l’ingegner Marvelli è stato più che il ‘mitico’ leader del gruppo dei giovani riminesi di Azione Cattolica. E molto più di un premuroso protettore, che lo ha accolto in casa in tempo di guerra, per risparmiargli di “andare sotto le armi”, e quindi esponendosi al rischio della fucilazione, se il rifugio segreto e il ragazzo rifugiato fossero stati scoperti. A cambiare la vita del futuro don Fausto è stata l’esperienza del suo incontro con quell’autentico testimone di Cristo, un Gesù risorto e vivo, qual è stato il nostro amatissimo beato.

1. Che la vita di don Fausto sia stata fortemente intrecciata con quella di Marvelli, posso testimoniarlo anch’io, personalmente. Conservo infatti il ricordino funebre del giovane Marvelli, morto prematuramente il 5 ottobre 1946, a soli 28 anni, che lo stesso Mons. Lanfranchi mi donò in uno dei nostri primi incontri nell’episcopio di Rimini. In quel ricordino, che custodisco gelosamente nel portafoglio, si chiedeva al Signore la grazia che, per intercessione dell’allora, appena defunto, Alberto Marvelli, la schiera dei suoi giovani continuasse a fiorire e a generare frutti di limpida testimonianza cristiana. Ora che il Padre dei cieli ha chiamato al ‘santo viaggio’ il nostro carissimo don Fausto, possiamo dire, senza timore di andare sopra le righe, che, ancora una volta la testimonianza dei santi ha contagiato santità. Don Fausto è stato fondamentalmente un cristiano che, dalla fiamma viva della fede del futuro beato Alberto, ha acceso la propria lampada di vero credente credibile, di coerente, generoso e coraggioso testimone del Vangelo del Signore Gesù. E quindi possiamo iscrivere don Fausto nell’albo dei ‘martiri’, appunto dei ‘testimoni’ del vangelo, visto che in greco ‘martire’ è detto chi è stato un autentico ‘testimone’ della fede.

Se lasciamo specchiare la vita di don Fausto nel vangelo dei due di Emmaus e nella pagina di quella sorta di “quinto vangelo” qual è stata la vita del beato Alberto, ci rendiamo conto che il testimone è uno che ha visto, che ricorda e racconta. Vedere, ricordare e raccontare sono i tre verbi, che ne precisano il profilo e ne configurano il comportamento.

Il testimone è uno che ha visto, ma non ha guardato da una postazione neutra né con occhio impassibile e distaccato. Ha visto con sguardo libero e disponibile, e si è lasciato sconvolgere e intensamente coinvolgere dall’accaduto.

E perciò il testimone è uno che ricorda, non tanto perché sa ricostruire per filo e per segno la successione materiale di fatti nudi e crudi, ma perché quei fatti gli hanno parlato, e lui ne ha colto la polpa del senso, sotto la spessa scorza dell’evento.

Pertanto il testimone è uno che racconta, ma non come un foto-reporter, magari in modo chiaro e distinto,  però freddo e distante, quanto piuttosto come uno che si è lasciato mettere in questione, e da quel giorno ha deciso di cambiare vita. Il testimone racconta prendendo posizione e compromettendosi. E parla, ma non in modo spento e ripetiticcio, bensì “facendo vedere”, anche a chi non ha visto, quello che i suoi occhi hanno contemplato e le sue mani hanno palpato. Il testimone non dimostra un teorema o una teoria. Mostra una storia, facendo cogliere la differenza che in essa è stata prodotta dall’evento testimoniato.

Inoltre l’oggetto o contenuto della testimonianza cristiana non è un complesso sistema di pensiero né un ingarbugliato codice di precetti e divieti, ma un messaggio di salvezza, un evento puntuale e tangibile. E’ una persona, il Cristo risorto e vivente. Se non è un freddo concetto, l’oggetto della testimonianza è in realtà un soggetto: Gesù, Messia crocifisso e unico Salvatore di tutti. Gesù non è un personaggio del passato, ma una persona vivente. Un personaggio lo si può incorniciare. Una persona la si può abbracciare. Questo questa persona umano-divina qual è l’individuo Gesù può essere testimoniata solo da cristiani che hanno fatto personalmente l’esperienza della sua salvezza.

2. Insomma, ecco il testamento spirituale e pastorale di don Fausto: “Tu, fratello, sorella, puoi testimoniare che Cristo è risorto e vivente, solo se è risorto in te ed è vivente nella tua vita concreta, particolare e specifica. Quando sperimenti la sua presenza e la sua consolazione. Quando ti dà la forza di ricominciare, di donare e perdonare. Quando ti fa piangere con chi piange e gioire con chi gioisce, allora capisci che Lui è davvero risorto e vivente, e tu sei in grado di mostrarlo agli altri. Allora tu non sei più come uno che passa nozioni e informazioni su di Lui o racconta qualcosa di Lui, ma ti lasci diventare la persona in cui Lui stesso si racconta. Senza mai dimenticare che il verbo della testimonianza va declinato sempre al plurale: “noi siamo i testimoni”. Solo due o tre cristiani risorti con Cristo e riuniti nel suo nome, possono rendere testimonianza alla sua presenza, in questi tempi di raggelante individualismo.

Oggi, noi tutti ci sentiamo interpretati dalla preghiera struggente dei due di Emmaus: “Resta con noi, perché si fa sera”. La sera del dubbio, Signore, quando annaspiamo alla ricerca di una briciola di comprensione, di un tentativo di risposta. La sera della delusione, di fronte a sogni traditi, a desideri spezzati, a durissimi abbandoni. La sera di giorni amari, senza senso e senza speranza… Che non arrivi mai per noi l’ultima sera della vita senza aver incontrato la verità più certa, più radiosa e raggiante: “Davvero il Signore è risorto!”.

Sì, grazie, caro e amato don Fausto. Grazie di cuore perché questo è il centro focale della fede: credere che Gesù è risorto e che ha già cominciato a far risorgere anche noi.

Ma tu ora, mi raccomando, chiedi al tuo e nostro dolcissimo Signore di non ammetterti alla festa del cielo fintanto che non vi sarà entrato l’ultimo dei tuoi alunni a cui hai fatto scuola; l’ultimo dei seminaristi e dei preti che hai servito come rettore del seminario e da vicario generale.

Aspetta, per entrare nella sala del Regno fintanto che non sarà entrato l’ultimo dei tuoi amati parrocchiani dei Padulli, come pure dei tuoi cari e dei tantissimi amici.

Aspetta, fintanto che non avrà bussato alla porta del cielo l’ultimo dei penitenti che hai incontrato nel sacramento della confessione, come il sottoscritto, o che ha partecipato a una delle tantissime celebrazioni eucaristiche da te presiedute.

Perciò oggi noi non ti diciamo “addio”, ma “a Dio”, carissimo don Fausto!

Rimini, Basilica Cattedrale, 16 marzo 2023

+ Francesco Lambiasi
Vescovo Emerito