Omelia del Vescovo per il 60° di professione religiosa di Sr Carla Rughi, Sr Miranda Canaletti, Sr Romana Belli, Sr Adriana Bianchi nella Congregazione delle Suore Francescane Missionarie

Spose eternamente e teneramente amate

Noi lo crediamo: Gesù risorto ha fatto della fine della vita l’inizio di una vita senza fine. Questa certezza però non basta a placare la raffica di domande che ci si agitano in cuore. Ma cosa c’è dopo questa vita? Ma come è fatto l’aldilà? Ma ritroveremo i nostri cari che ci sono mancati, e come saranno? E noi come saremo: giovani, vecchi, ‘ibernati’ per sempre nell’età del trapasso? E avremo lingua e orecchie per parlarci e braccia per stringerci e cuore per amarci e occhi per sorriderci? E che faremo per tutto quel lunghissimo tempo senza fine? Sembrano domande ingenue, fatte da bambini al termine di una fiaba raccontata per conciliare sonni e sogni. E invece queste domande continuano a ritmare i nostri giorni, e nascondono la grande, ineliminabile questione: cosa c’è al termine del tunnel? il nero abisso del nulla o un bellissimo parco fatato?

1. Al tempo di Gesù c’era divisione tra sadducei e farisei. I primi – che, ricordiamo, appartenevano all’ala dell’alta borghesia – negavano la fede nella risurrezione, che invece era affermata dai farisei. Alcuni, tra questi ultimi, però, concepivano la risurrezione in forme molto grezze e materiali: “I defunti risorgeranno nella loro corporalità originaria, così come furono seppelliti, affinché li si possa riconoscere. Risorgeranno con i loro vestiti, con le stesse malattie e infermità: i ciechi, i sordi, i muti risorgeranno ciechi, sordi e muti, e verranno guariti solo più tardi”.
La domanda dei sadducei è tendenziosa: raccontano una storiella grottesca per mettere in ridicolo la possibilità stessa della risurrezione. E chi la pensa diversamente, verrà sepolto da una grassa risata. Ma rabbi Jeshù spiazza completamente i suoi interlocutori. Li smarca, contraddicendo quell’idea grossolana dell’aldilà che i sadducei vorrebbero attribuirgli. Non ci sta proprio a farsi rinchiudere in quella ridicola caricatura: nell’aldilà non ci si marita né ci si ammoglia: punto! L’aldilà non è una sorta di aldiquà prolungato all’infinito: è un mondo diverso, con una vita diversa. Non un’altra vita, ma una vita altra, con una ‘pienezza strapiena’ all’ennesima potenza.
Subito dopo Gesù prende i sadducei in contropiede: poiché essi riconoscono come sacra Scrittura solo i cinque libri del Pentateuco, allora lui scende nel campo dell’avversario e cita a sorpresa proprio un passo di quei libri, anzi il passo che è il centro del centro di tutte le Scritture, Esodo 3,6: se Dio si è rivelato a Mosè come il Signore che ama i suoi figli con un amore inesauribile, non li può assolutamente abbandonare in potere della morte. Dio è Padre solo se ha dei figli vivi! E se è solo Padre, come può creare dei figli per poi condannarli a morte, e a morte eterna? La riprova è data dal fatto che quando IHWH si è rivelato a Mosè nel roveto ardente, si è presentato come il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Ma a quel tempo i patriarchi erano morti da più di oltre un millennio. Se il Signore – argomenta Gesù – si è rivelato come il Dio dei padri, è segno che questi padri dovevano essere vivi, alla sua presenza. Il Dio vivente è necessariamente il Dio dei viventi. A meno che non si voglia fare del Signore della vita un gelido monarca che regna, triste e solitario, su una squallida, sterminata necropoli.

2. Ecco, allora, il ‘vangelo’, la lieta, bella, buona notizia che oggi Gesù ci consegna. Noi risorgeremo e se saremo da Lui riconosciuti come discepoli appassionati e fedeli, Lui ci spalancherà le porte della Vita. E saremo felici per sempre. La felicità di tutti i beati sarà in ognuno di noi, e la felicità di ognuno di noi sarà in tutti i beati. Così il Nuovo Testamento smentisce l’Antico: nel libro del Cantico dei Cantici si legge: “Forte come la morte è l’amore” (Ct 8,6). No, l’Amore vince la morte, perché più forte della morte è l’Amore!
Perché “l’Amore è da Dio. Dio è Amore” (1Gv 4,7.16). Qui ci agganciamo al messaggio della seconda lettura, che però vorrei declinare al femminile, rivolgendolo direttamente a voi, Sorelle amate, che celebrate oggi il vostro 60° di professione: “Noi dobbiamo sempre rendere grazie a Dio per voi, sorelle amate dal Signore, perché Dio vi ha scelte come primizia per la salvezza (…) e vi ha chiamate, per entrare in possesso della gloria del Signore nostro Gesù Cristo” (2Ts 2,13-14). Ecco la vostra carta d’identità: spose amate, scelte, chiamate. Al traguardo del vostro 60°, voi siete ormai arciconvinte che il vostro cuore è fatto per la pienezza. La creatura è fatta per il Creatore. Il cuore per l’Amore. La vita che passa per la vita che la sorpassa.
Come non attendere l’amato vostro Signore che vi sazierà in ogni vostro desiderio?
Amare è attenderlo, oltre le cose e le persone. Dietro ogni cosa e ogni persona. Anzi, dentro ogni cosa e ogni persona.
Amare è attenderlo in fondo al tempo e sentire il soave, incalzante rimbombo dei suoi passi che avanzano nelle stagioni che si alternano, nelle ore che corrono e scorrono, perché è Lui che avanza, lo Sposo che viene per le nozze, per l’abbraccio definitivo.
Amare è attenderlo dicendo, gridando, cantando a tutti che è Lui il perché della vita, il fine di ogni cosa, il termine di ogni sudore e di ogni dolore, il terminal di ogni percorso.
Amare è attenderlo nelle notti insonni come la quiete bramata, nello sconforto angosciato come la consolazione sospirata, nell’aspra lotta come la pace spasimata.
Amare è attenderlo come la ricompensa quando nessuno vi apprezza per il vostro duro impegno, e non vi degna neanche di uno sguardo nel vostro sforzo spossante, nel vostro logorante dovere.
Amare è attenderlo perché non si può attendere che Lui. Chi dopo di Lui? Chi senza di Lui? Chi al di fuori di Lui?

Sorella cara e buona – permettetemi ora di rivolgermi singolarmente a ognuna di voi – se Lui è il tuo amore più vertiginoso, se è Lui il tuo più lancinante desiderio, Lui la tua più spasmodica attesa, allora anche la morte, da gelida, spietata falciatrice, cambierà il suo aspetto. E ti si farà sorella, come per Francesco d’Assisi. Non sarà più l’addio straziante a tutte le cose belle della vita, o l’atroce commiato dalle cose più care e più dolci. Ma sarà l’incontro con il Desiderato di tutta una vita. Il tuo non sarà più un perdere, ma un guadagnare. Non più un lasciare tutto, ma un trovare il Tutto. Sarà l’indissolubile abbraccio con Colui che il tuo cuore ha da  sempre atteso. Non sarà più la parola ‘fine’, ma l’inizio di una intimità a lungo sognata, tenacemente inseguita, ardentemente bramata. C’è da morire di felicità. Anzi c’è da vivere, sazi ed ebbri di felicità.
“Là riposeremo e vedremo. Vedremo e ameremo. Ameremo e loderemo. Ecco ciò che sarà alla fine senza più fine”. Così canta stupendamente s. Agostino.
Così sarà. E così sia.

Rimini, Cappella della Congregazione, 6 novembre 2022

+ Francesco Lambiasi

06/11/2022