Se Dio è amore, perché il dolore? L’obiezione del male e la risposta della croce

Omelia pronunciata in Cattedrale, nella IV Domenica di Quaresima, il 22 marzo 2009, in occasione del conferimento dei ministeri

Immaginiamo per un istante che, per una qualche catena di devastanti cataclismi o per una violenta vampata di furore iconoclasta, andassero distrutte tutte le copie della Bibbia esistenti sulla faccia della terra, e che se ne salvasse una sola; e anche questa copia fosse così danneggiata da rimanerne intera una sola pagina; e che anche questa pagina fosse così spiegazzata da poterne leggere a malapena una sola riga…Se quella riga coincidesse con le  parole del vangelo di oggi: «Dio ha tanto amato il mondo…», potremmo dire che tutta la Bibbia sarebbe salva, poiché tutto il suo messaggio è come concentrato in quel solo versetto.

«Non è tanto importante – scriveva Kierkegaard – sapere se Dio c’è; è importante sapere se Dio è amore». Sì, Dio lo è, e senza alcun limite da parte sua, senza alcuna possibilità di dubbio da parte nostra. Abbiamo ascoltato la rivelazione del Signore Gesù, nel dialogo notturno con Nicodemo: «Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui». Qui è contenuto tutto il vangelo; qui è racchiusa tutta la nostra fede. La croce è la prova del nove, che dimostra la verità dell’amore folle di Dio. Il Crocifisso è il compendio di quel catechismo divino che si riassume in questa verità solare: siamo figli, sproporzionatamente amati dal Padre, perché totalmente incapaci, con le nostre sole forze, di salvarci dalla marea nera dell’amore pervertito che soffoca la vita.

1. A questo punto la strada della nostra riflessione si biforca in due vie: una prima variante è quella che consiste nel mostrare tangibilmente – più che nel dimostrare teoreticamente – che Dio è amore, e di farlo ripercorrendo il palinsesto del grande dramma sacro della storia della salvezza.

Da dove incominciare? Ci verrebbe da dire, dal primo atto del dramma, quello della creazione. Scatta, però, subito una domanda: forse che Dio ha cominciato ad amarci quando ci ha creati? e prima di crearci, forse che non ci amava? Impossibile, perché se Dio è Dio e se è amore, il suo amore è eterno, infinito, perfettissimo, e quindi non può subire salti di qualità: non può né crescere né diminuire. Non c’è mai stato un tempo in cui Dio-Amore non ci abbia amato: altrimenti non sarebbe più stato l’Amore! Dobbiamo cominciare il nostro cammino da prima dell’inizio della storia della salvezza: dalla… “preistoria”, dall’eternità! E’ vero: noi siamo stati da lui amati e chiamati da sempre; siamo stati «scelti prima della creazione del mondo» (Ef 1,4). Prima di venire creati, noi eravamo già pensati, “programmati” in Cristo, «predestinati ad essere conformi alla sua immagine» (cfr Rm 8,29). E quando Dio ci ha chiamati all’esistenza, lo ha fatto non per un suo bisogno di qualche quota supplementare di gloria o per godersi un surplus di felicità, ma solamente e unicamente per avere dei figli da far felici.

Il secondo atto del dramma ha per titolo l’elezione di Israele: Dio ha stabilito la sua alleanza con il popolo eletto, non perché Israele se lo meritasse, ma per amore puro, totalmente gratuito, e non per un ingiusto privilegio, ma come segno della sua volontà di salvezza per tutti i popoli.

Il terzo atto di questo dramma sacro è la redenzione di tutta l’umanità. Abbiamo ascoltato dalla seconda lettura: «Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo». La croce è la prova suprema dell’amore di Dio per noi: Gesù ci ha amato “fino alla fine”, cioè non solo fino all’ultimo istante della sua vita terrena, ma fino all’estremo limite dell’amore. Non possiamo sfiduciare Dio. Non possiamo sospettare della sua affidabilità.


2. Eppure si è sospettato e si continua a sospettare dell’affidabilità di Dio: non è questo che ci hanno insegnato coloro che sono stati chiamati appunto i “maestri del sospetto” (Marx, Freud, Nietzsche)? Diciamo la verità: chi di noi, di fronte al dramma di un bambino che nasce paraplegico non ha sentito prepotente salirgli dal cuore la domanda: «Perché, Signore?». E come non rimanere inorriditi di fronte alla bestialità della pedofilia, alla enormità delle cifre a più zeri di quella moderna strage degli innocenti qual è la morte di milioni di bambini per fame, denutrizione e malattia?

Ecco l’altra pista per mostrare l’amore di Dio: prendere di petto l’obiezione più tenace e aggressiva, la madre di tutte le obiezioni, quella del male, definita la “roccia dell’ateismo” – se Dio è amore, perché il dolore? – e vedere se la fede ci aiuta o meno nel by-passare quel macigno pesante che ci sbarra la strada verso Dio. La croce è l’unica risposta valida che sia stata data sotto il cielo, per liquidare il sospetto sull’amore di Dio. Di fronte al volto sfigurato e dolente del Crocifisso, ci sgorga la preghiera accorata: «Signore, fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi» (Sal 80,4). In questo anno dedicato alla contemplazione del Volto, teniamo fisso lo sguardo su Gesù. La sua croce diventa la chiave di accesso a tre messaggi, chiari e finalmente decisivi per placare il nostro cuore in tumulto.

Il primo messaggio è questo: Gesù non è venuto a spiegare il dolore, ma a prenderlo su di sé, per riempirlo della divina pienezza del suo amore. Certo, non ha cancellato la sofferenza, come non ha cancellato la morte, ma l’ha cambiata di segno: le ha tolto il segno meno (-) e le ha messo davanti il segno più (+). L’ha trasfigurata: la sofferenza – dopo di lui e con lui – non è soltanto un momentaneo scacco in attesa della riabilitazione definitiva, ma è come un germe e un pegno di quella riabilitazione. La sofferenza, nata come figlia della colpa, rinasce in Gesù come madre della redenzione.

Ma non è proprio la croce del Figlio che costituisce l’obiezione fatale contro la giustizia del Padre, lo scacco matto alla fede nel suo amore? Dov’era il Padre quando il Figlio lo invocava gemendo e si sentiva da lui abbandonato? Ecco il secondo messaggio della croce: il Padre era là, anche lui sulla croce, non davanti o accanto al Figlio, ma dentro il suo cuore e lo aiutava a rimanere fedele alla sua libera scelta di amare con l’amore più grande. Anche il Padre soffriva con il Figlio: la croce non è un peso che egli impone a Gesù, e che rifiuterebbe di portare lui stesso: c’è per un padre un prezzo più alto dell’immolare l’unico figlio anziché immolare se stesso? Il Golgota ci dice che Dio non ce la fa a vedere se stesso felice e noi suoi figli perduti, come naufraghi sballottati nell’oceano del dolore, in preda alla continua paura di venire inghiottiti dai tremendi marosi del male. Tutt’altro: il Padre ha considerato il mondo e ogni uomo ben più importante di se stesso, al punto da mettere nelle nostre mani il suo tesoro più caro: la vita di suo Figlio. Questo fa Dio Padre: con Gesù crocifisso, si mette a fianco delle vittime, degli oppressi, degli umiliati. E’ l’ultima risposta di E. Wiesel dinanzi al bambino impiccato dalle SS in un campo di sterminio: “Dov’è il buon Dio? Dov’è?”. La voce che rispondeva da dietro non era molto lontana dalla verità: “Dov’è Dio? Eccolo: è appeso lì, a quella forca”.

Ma la croce gloriosa di Cristo ci dice pure – è il terzo messaggio – che il dolore non ha l’ultima parola sulla nostra vita e sulla storia dell’umanità. E’ il messaggio di Pasqua. Dio Padre farà a noi come ha fatto al nostro Fratello maggiore: asciugherà ogni lacrima dai nostri occhi e trasformerà la sofferenza in felicità, attraverso l’amore.


3. Questi tre messaggi trasmessi dalla… “stazione della croce”, sono stati poeticamente trascritti da G. Bernanos nel suo celebre Diario di un curato di campagna, dove il grande scrittore cattolico riporta una drammatica conversazione tra il giovane curato e la castellana del paese che, dopo aver perduto l’unico figlio in giovanissima età, vive nell’odio e nella ribellione a Dio. Il curato osa timidamente di parlarle della rassegnazione. «Se non fossi rassegnata — replica, glaciale, la contessa — sarei morta». Appena consapevole delle sue parole, il curato prosegue: «Con Dio non si fa mercato; bisogna darsi a lui senza condizioni. Dategli tutto, vi renderà ancora di più». Indomabile la contessa grida: «Se vi fosse da qualche parte, in questo mondo o nell’altro, un luogo in cui Dio non esistesse, vi porterei il mio (morticino) e direi a Dio: Appàgati! Schiacciaci!». Il curato pensava ai singhiozzi, ai rantoli strappati alla nostra povera umanità divorata dal cancro del male. Le dice: «Signora, se il nostro Dio fosse quello dei pagani o dei filosofi potrebbe rifugiarsi nell’alto dei cieli, e la nostra miseria precipiterebbe. Ma voi sapete che il nostro Dio ci è venuto incontro. Potete mostrargli i pugni, sputargli in faccia e infine inchiodarlo a una croce: che cosa importa? È già stato fatto, figlia mia… L’inferno è non amare». Allora, allo stremo delle forze, spossata da una lotta interiore che durava da undici anni, la contessa si arrende. Con un rapido gesto getta nel fuoco la ciocca di capelli biondi del piccolo, che conservava in un medaglione come prova contro Dio. Era appena sfuggita alla spaventosa solitudine: aveva incontrato il volto dell’Innocente sfigurato. E improvvisamente nel cuore le si era aperta una breccia. Nello sguardo di Cristo aveva ritrovato la pace. La notte seguente, stremata da un’agonia durata lunghi anni, la contessa moriva riconciliata con l’Amore. Due cuori stritolati sotto lo stesso torchio: ma l’amore aveva avuto la meglio sull’odio.


4. Prima di concludere, vorrei affidare un ultimo, breve messaggio a voi sorelle e fratelli, che state per ricevere il ministero straordinario della comunione eucaristica e i ministeri istituiti del lettorato e dell’accolitato. Mi introduco con una domanda che riguarda anche me: ma noi ci crediamo veramente – senza alcuna riserva mentale – che Dio ci ha amati e ci ama? Se lo credessimo davvero! E’ più facile credere in un Dio lontano, da temere e da tenere a “rispettosa” distanza, anche per poter poi dire: «Ti ho servito a dovere». Ma davanti all’Amore crocifisso, chi può dire: «Ti ho amato a sufficienza»?

Voi lo sapete: se, per Gesù, non c’è amore più grande del dare la vita, è anche vero che in bocca a lui il “dare la vita” appartiene al dizionario dei sinonimi dell’amore, e precisamente alla stessa famiglia del verbo più umile e concreto: “servire”. Ricordate: «Il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita» (Mc 10,45).

Ecco il mio, il nostro augurio, sorelle e fratelli carissimi: che il vostro servizio ministeriale emani sempre il “profumo di Cristo” (2Cor 2,15), il buon odore del chicco di grano che dona la vita marcendo.