Il regno della morte non prevarrà

Omelia del Vescovo per la s. Messa in memoria della morte di d. Luigi Giussani e del riconoscimento di C.L.

I discepoli ne hanno sentite di tutti i colori su Gesù di Nazaret. Il loro insuperabile Maestro è una persona discussa e molto chiacchierata, ormai sulla bocca di tutti. Nell’immaginario collettivo Gesù emerge come un personaggio fuori del comune, ma sempre incasellato dentro schemi consueti e consunti. Per lo più viene considerato un profeta redivivo. Straordinario, certamente. Anche eccezionale, perché no? Ma, in breve, un Gesù umano, troppo umano.

1. Poi, quasi come due pannelli di un solo dittico, il dialogo si restringe ai due interlocutori protagonisti: Gesù e Simon Pietro. Uno di fronte all’altro: Io-Tu. Pietro, come nessun altro prima, sfiora il mistero di Gesù. E Gesù intaglia il volto di Pietro, lo sbalza, quasi a colpi di scalpello, con tre immagini forti: la pietra, la porta degli inferi e le chiavi del regno dei cieli. La pietra ci dice che Pietro fa corpo con Gesù e con lui forma la pietra angolare della nuova comunità di salvezza, cementata con la roccia del Signore della storia. La terza immagine, le chiavi, sta a dire che Gesù poggia sulle rocciose, eppure fragili, friabili spalle di Pietro le chiavi pesanti del potere di legare e di sciogliere, un potere che trova puntuale ratifica in cielo. La seconda immagine, le porte degli inferi, ci consegna un messaggio rassicurante: le potenze del male non prevarranno sul nuovo Israele, il santo popolo di Dio. La potenza della morte non riuscirà a distruggere la nuova comunità, la Chiesa di Gesù e di Pietro. La Chiesa pertanto può essere sicura del proprio avvenire. E’ appunto sul messaggio, significato dalla metafora delle porte degli inferi, che ora vorrei soffermarmi.

2. Sorelle, Fratelli, chiediamoci: come fa la Chiesa a non lasciarsi frammentare e frantumare dalla forza devastante del male e del peccato, dalla potenza usurante del tempo, dall’energia esplosiva e dirompente della morte? Il vostro fondatore, il servo di Dio, Don Giussani ha scritto:

“Siamo qui per costruire la Chiesa, secondo la spinta che lo Spirito ci ha dato e che chiamiamo ‘movimento’, secondo l’obbedienza, cioè l’ascolto e l’adesione allo Spirito di Cristo, che l’autorità della Chiesa fa propria”.

Ecco come fa la Chiesa a resistere agli attacchi e ai contraccolpi delle forze degli inferi: grazie alla potenza dello Spirito Santo, citato ben due volte nel rapido frammento appena riportato. Lo Spirito Santo contribuisce alla resistenza e alla vitalità della Chiesa, prima di tutto agendo come principio della sua unità, come leggiamo in san Paolo:

“Uno solo è il corpo, uno solo è lo Spirito, come una sola è la speranza, alla quale Dio vi ha chiamati. Uno solo è il Signore, una sola è la fede, uno solo è il battesimo. Uno solo è Dio, Padre di tutti, al disopra di tutti, che è presente e agisce in tutti” (Ef. 4,4-6).

Ma lo Spirito Santo non è una forza uguale e contraria allo spirito del maligno. E’ una forza infinitamente superiore, che schiaccia e ‘straccia’ le potenze degli inferi. Con il coraggio di san Bernardo, potrei dire anch’io così:

“Il demonio teme poco coloro che digiunano, coloro che pregano anche di notte, coloro che sono casti, perché sa bene quanti di questi ne ha trascinati all’inferno. Il demonio  teme coloro che sono concordi e che vivono nella casa di Dio con un cuore solo, uniti a Dio e fra di loro nell’amore: questi producono al demonio dolore, timore e rabbia”.

Due sono i pericoli più insidiosi, diametralmente contrapposti, che possono aggredire l’unità della Chiesa. Hanno nomi grigi e tristi: centralismo e individualismo. Il centralismo si riscontra là dove uno, un singolo membro del corpo ecclesiale, vuole essere il tutto. L’individualismo invece si verifica quando ognuno nel corpo ecclesiale vuole essere il tutto. Nel primo caso si afferma talmente l’unità da far morire la diversità. Nel secondo caso avviene il contrario. Il centralismo assorbe, soffoca e fagocita. L’individualismo divide, frammenta e disperde. Occorre pertanto coltivare un’autentica spiritualità della comunione, che permetta di respingere le tentazioni egoistiche che continuamente ci insidiano e causano competizione, carrierismo, diffidenza, gelosie. E’ lo Spirito del Cristo risorto che ha il carisma di unificare senza omologare, di riunire senza trattenere, di abbracciare senza mai soffocare.

Auguriamoci e preghiamo di non avere paura di tendere all’unità perfetta, in un solo Spirito e in un solo Corpo, perché non si dà unità più feconda di quella che non spegne le differenze, ma le tiene in vita. Non le fa scontrare in una scomposta, assordante dialettica, ma riesce a farle confluire nella melodia polifonica di un solo coro, di un solo corpo. Preghiamo e auguriamoci di assecondare l’opera unificante dello spirito, il quale ci rende uniti a priori nell’essenziale, capaci di convergere anche nell’opinabile, verso scelte ponderate e condivise, senza che le diverse legittime ‘visioni’ degenerino in ‘divisioni’ laceranti e conflittuali.

3. Veniamo ora all’altro tratto del profilo evangelico della Chiesa. Un tratto del tutto incancellabile. La sua indefettibile santità. Questo è il mistero più impenetrabile e impareggiabile della Chiesa. Come si fa a parlare ancora di santità nella Chiesa, quando siamo stati messi di fronte alla drammatica realtà dei suoi scandali, delle sue debolezze morali, al punto di fare apparire realistica l’ardita immagine della ‘casta prostituta’ (casta meretrix)? Immagine usata da alcuni Padri della Chiesa, sia per evidenziare il mistero del male che si annida nella sposa di Cristo, sia ancor di più per mettere in risalto la vitalità di cui la riveste continuamente lo Sposo.

Anche oggi, in mezzo a noi, lo Spirito fa udire la voce del Crocifisso di san Damiano: “Francesco, va’ e ripara la mia Chiesa”! La risposta di s. Francesco illumina bene la via da seguire per fare della prostituta una sposa fedele e bella. E’ la regola di “essere come Cristo in tutto”, individuando gli idoli, i quali sono gli amanti che allontanano dallo Sposo, il Signore Gesù. E’ idolo il desiderio di affermarsi senza gli altri, sopra gli altri, contro gli altri. E’ idolo la tirannia del piacere egoistico, con tutto il suo corteo di permissivismo, di amore degenerato in schiavitù dell’altro, o divenuto schiavitù per l’altro. E’ idolo il denaro, la cupidigia di possedere, il servire il denaro come scopo della propria vita. Sono idoli che si combattono e si vincono se non ci indigniamo tanto per l’idolatria dilagante, ma ci impegniamo in prima persona, invece di accusare sempre gli altri.

La carità fraterna è il dono tipico dello Spirito Santo. “Se non ho la carità, sono come un trombone che fa solo chiasso e fracasso” (cf. 1Cor 11, 13). Ascoltiamo piuttosto s. Ignazio di Antiochia: “Ciascuno di voi si studi di fare coro”!

Rimini, San Giuseppe al Porto, 22 febbraio 2022

+ Francesco Lambiasi