I tre regali dello Spirito alla Sposa Verità, Libertà, Fraternità

Omelia, Basilica Cattedrale, Festa della Chiesa Diocesana, 31 maggio 2009

Che cosa sarebbe Dio senza lo Spirito Santo? La domanda non è impertinente, né blasfema e nemmeno oziosa. Un padre della Chiesa, Gregorio di Nissa, abitualmente molto controllato nel linguaggio, rispondeva brutalmente: “un cadavere”! E cosa sarebbe Gesù? senza lo Spirito Santo, sarebbe tutt’al più un eroe religioso, da collocare nel pantheon degli “immortali” della storia – ovviamente “immortali” per un patetico modo di dire – ma non sarebbe certo il salvatore del mondo, dall’inconfondibile volto divino. E che cosa sarebbe il mondo senza lo Spirito, senza la sua irruzione trasfigurante nella storia? La sacra Scrittura lascia immaginare il rovescio di un mondo senza lo Spirito di Dio: sarebbe un mondo… alla rovescia! una Babele divisa e rissosa. E l’uomo cosa sarebbe senza il soffio divino dello Spirito? Non è difficile immaginarlo: sarebbe tristemente, paurosamente un uomo poco umano, per non dire disumano, un bruto vorace e violento.

Ma la Chiesa – ecco la domanda che ora prendiamo di petto – senza la sua anima interiore, lo Spirito Santo, senza il “silenzioso respiro della santità” (de Lubac), cosa sarebbe? Sarebbe una comunissima istituzione umana, e neanche la più organizzata ed efficiente. Il profeta la rassomiglierebbe a uno sterminato ammasso di scheletri…Chiediamoci allora, in positivo: quali regali di nozze fa lo Spirito Santo alla sposa di Cristo, la Chiesa? Sono tre doni, simmetrici rispetto ai tre grandi simboli con cui lo Spirito santo alza il velo sull’abisso della sua misteriosa identità: i simboli sono la luce, il vento, il fuoco. Lo Spirito è luce di verità; è il gran vento della libertà; è il fuoco inestinguibile della carità. Ecco i tre doni, che lo Spirito fa alla Chiesa: verità, libertà, fraternità.


1. La luce della verità

Fosse stato per noi, la prima associazione di idee che ci sarebbe venuta in mente, non sarebbe stata certo quella di abbinare lo Spirito Santo alla verità. Probabilmente lo avremmo associato alla libertà, alla carità o forse alla santità. E, invece, la Scrittura ci sbilancia, definendo quasi con martellante ostinazione lo Spirito del Risorto proprio come “Spirito della verità”. E’ Gesù stesso ad operare questo collegamento: “Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità”. Questo fa lo Spirito del Signore, dalla Pentecoste in poi, e continua a fare ancora oggi con incessante, infaticabile determinazione: condurre la famiglia dei credenti alla verità tutta intera. Ed è grazie alla luce chiara e mai intermittente o appannata dello Spirito di verità che la Chiesa viene costituita come “colonna e sostegno della verità” (1Tm 3,15). Anche in questa affermazione registriamo una sconcertante, ma salutare sorpresa. Noi ci saremmo aspettati di sentirci dire il contrario: che è la verità la colonna e il sostegno della Chiesa. E sarebbe stata affermazione teologicamente ineccepibile: la Chiesa non è la signora della verità, ma la sua serva; non possiede la verità, ma ne è posseduta. E’ la verità la sorgente della vita della Chiesa e il suo continuo nutrimento. Eppure nel passo appena citato ci si dice pari pari – con espressione davvero audace – che la casa della verità sta o cade finché non crolla il suo pilone centrale, appunto la Chiesa. Chesterton rendeva questa certezza con il suo solito linguaggio lampeggiante: “La Chiesa è il luogo dove tutte le verità si danno appuntamento”.


2. Il vento della libertà

E’ perché è innanzitutto Spirito della verità che il Paraclito è anche lo Spirito della libertà. Infatti il primo frutto della verità è la libertà, come Gesù stesso aveva detto: “La verità vi farà liberi”. Rivelandoci il vero volto di Dio come Padre nostro, lo Spirito Santo opera in noi un’autentica “sanatio in radice”: sradica la radice velenosa dell’egoismo e trapianta in noi la radice sana dell’amore. Ci fa convincere del male, quale è rappresentato dal vivere “per se stessi”, e ci fa vincere quel male portandoci a vivere “per il Signore” (cfr. 2Cor 5,15; Rm 14,7-8). “E perché non viviamo più per noi stessi, ma per Lui che è morto e risorto per noi, (Cristo) ha mandato, o Padre, lo Spirito Santo, primo dono ai credenti”. Così lo Spirito guarisce la radice avvelenata del nostro cuore: estirpa la visione negativa di Dio, come di un padrone dispotico e ostile, e radica in noi “gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù”. La conseguenza di questa operazione “cardiaca” dello Spirito Santo è farci passare dal regime della legge alla legge dell’amore: non siamo più schiavi che eseguono gli ordini per costrizione, né per convenienza come mercenari unicamente preoccupati del proprio tornaconto, ma siamo figli che agiscono per attrazione, interiormente attirati e calamitati, come Gesù, dall’amore per Dio Padre e per tutti i suoi figli, nostri fratelli. Questa è la legge nuova dello Spirito Santo, che si riassume nella vertiginosa espressione agostiniana: “Ama e fa’ quello che vuoi”. Ci sentiamo amati e viviamo da “innamorati”.


3. Il fuoco della carità

Il Padre e il Figlio hanno voluto che noi fossimo uniti tra di noi per mezzo di quello stesso vincolo che unisce loro due, e cioè l’amore che è lo Spirito Santo. A partire dal quinto secolo, nella liturgia latina, la funzione unificante dello Spirito Santo, nella Trinità e nella Chiesa, è stata racchiusa in una breve formula: “nell’unità dello Spirito Santo”.

E’ il tema della Pentecoste. A Gerusalemme quel giorno si è verificato il miracolo delle lingue, una vera antiBabele. Come mai – si chiedeva s. Agostino – oggi il cristiano, pur avendo ricevuto lo Spirito Santo, non parla tutte le lingue? E rispondeva: ma certo, anche oggi ogni cristiano parla tutte le lingue! Infatti appartiene a quel corpo, la Chiesa, che parla tutte le lingue, e in ogni lingua annuncia la verità del vangelo. Non tutte le membra del nostro corpo vedono, non tutte camminano, eppure noi non diciamo: il mio occhio vede, il mio piede cammina, ma diciamo: io vedo, io cammino, perché ogni membro agisce per tutti e tutto il corpo agisce in ogni membro.

Così fa lo Spirito Santo nel corpo di Cristo che è la Chiesa. Egli si comporta, nel corpo mistico, come l’anima nel nostro corpo. E’ il principio motore e ispiratore di tutto. Qual è allora il segno certo che si è ricevuto lo Spirito Santo? Parlare in lingue, operare prodigi? No, è amare l’unità, tenersi saldamente uniti alla Chiesa e nella Chiesa. Ed ecco la conclusione del ragionamento di s. Agostino: “Ognuno possiede tanto Spirito Santo, quanto amore ha per la Chiesa”.

4. Che cosa succederebbe a Rimini, se…?

Cosa succederebbe nella nostra Diocesi, cosa sarebbero le nostre comunità cristiane, cosa saremmo noi, se spalancassimo le “porte chiuse” dei nostri cenacoli per accogliere l’irruzione dello Spirito Santo?

Non ci sono dubbi. Sperimenteremmo di meno la stupida paura di dare le nostre cose e proveremmo di più la gioia impagabile di dare noi stessi. Si registrerebbe tra le nostre file meno voglia di gettare la spugna e di leccarci le piaghe, e più spinta a faticare e a strapazzarci per il vangelo. Meno depressione e più audacia. Meno vittimismo amaro e piagnucolone, ma più capacità di leggere le parole diritte di Dio anche sulle nostre righe storte. Saremmo meno preoccupati dell’immagine e dell’audience, ma più occupati con l’annuncio del vangelo. Ci sarebbero meno miopie bloccate sui difetti degli altri e sulle rughe della madre Chiesa, ma più coraggio e cordialità nell’andare incontro a quelli che non credono. Meno settarismo acido, meno indici puntati sugli altri, ma più misericordia. Meno tenerume da una parte e meno aggressività dall’altra, ma da una parte e dall’altra più grinta e più tenerezza. Più mani pulite nella città e più mani unite nelle nostre comunità. Meno pigrizia sull’agenda del rinnovamento post-conciliare, e più santità come frutto visibile della fantasia dello Spirito. Insomma, se lo lasciassimo “scatenare” per davvero – se lasciassimo risplendere la sua verità, sprigionare il vento della sua libertà, avvampare il fuoco del suo amore – riusciremmo a dire forte a tutti, in modo credibile e convincente, che è impossibile essere cristiani senza la sua luce, ed è quantomeno improbabile essere umani senza la sua forza.

In una parola, solo con una rinnovata Pentecoste possiamo essere una Chiesa più “una”.

Ecco perché ritengo di dover indicare al cammino del prossimo anno pastorale – l’anno di grazia 2009-’10, che, ricordo segnerà l’inizio della visita pastorale – non un’altra direzione rispetto a quella della contemplazione, ma uno scatto in avanti sulla stessa traiettoria. Pertanto il prossimo sarà, a Dio piacendo, un anno dedicato alla testimonianza della comunione fraterna. La formulazione di questo orientamento è ispirata a un versetto che si trova negli Atti degli Apostoli: “…e di Me sarete testimoni” (At 1,8). E la prima testimonianza che il Signore ci domanda e ci consegna è appunto quella della comunione, come recita il sottotitolo: “Mille voci, un solo coro”.


Ora preghiamo:


Carità di Padre e Figlio / fonte sacra d’ogni bene, / Spirito Paraclito!

Dagli abissi trinitari/ scendi fiume dell’amore,/ invadici nell’intimo.

Dolce fiamma qui trascorri,/ tocca il nostro cuore di pietra,/ disperdi il triste gelo.

Come un vento, lieve irrompi/ e col soffio ci riaccendi / del tuo amor divino.

Per te, a te, uniti siamo / e tra noi ci amalgamiamo, / con vincolo d’amore.

(Antica Sequenza Medievale)