Omelia del Vescovo in occasione della solennità di santa Chiara

Fragile come tanti, felice come pochi

Chiara d’Assisi: fragile come tanti, felice come pochi. E’ impossibile imprigionare l’imponderabile mistero di una vita in una frase schematica e comprimerlo in una formula scheletrica. Eppure quella che ho appena ‘lanciato’ riguardo a sorella Chiara, a me sembra una formula che, se non ci permette di definire al minuto dettaglio la trama e l’ordito del suo carisma, ci può però aiutare ad avvicinarci con buona approssimazione al cuore della sua vicenda, al nucleo pulsante della sua attualissima ‘profezia’.

1. In Chiara noi riscontriamo anzitutto una fragilità che potremmo definire ’antropologica’, legata cioè al suo essere fondamentale: quello di essere una persona pienamente e semplicemente umana. Come ogni essere di questo mondo, Chiara è un essere finito, segnato però da un desiderio lancinante, umanamente insaziabile, costitutivamente infinito. Il desiderio sconfinato di un Bene immenso, inesauribile, come un mare senza fondo e senza sponde. Il desiderio di un ‘Vero’ assoluto, totale, senza se e senza ma. E di un Bello immacolato, come l’incanto di neve al sole. In una parola questo “Bene-Vero,-Bello” si chiama Dio. Lo esprimeva con parole inarrivabili s. Agostino: “Ci hai fatti per te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finche non trova quiete in te”.

Sappiamo però che questo desiderio infinito di un Bene-Vero-Bello Infinito, a seguito del cosiddetto ‘peccato originale’, non è stato completamente cancellato, né si è del tutto corrotto, ma si è però come ‘incurvato’. Si è ripiegato all’indietro, verso l’Io stesso. Si è ribaltato e  “autocentrato”. Ciò avviene all’ennesima potenza quando l’uomo si mette al posto di Dio, insomma quando il dio dell’uomo diventa il suo proprio Io. Lo vediamo nelle tre tentazioni di Gesù nel deserto, che si potrebbero chiamare le tentazioni delle tre ‘P’: profitto, prodigio, potere.

Fa’ che le pietre diventino pane”. E’ la tentazione dell’avere. Ridurre tutto ai minimi termini: numeri, conti, calcoli, colonne. Convertire tutto in soldi. Convertire anche segni e sogni in assegni circolari. Niente fiori, solo denari. Niente poesia, solo ricchezza. Niente musica, solo produzione. E’ la strumentalizzazione delle cose.

“Gettati giù: ti salveranno gli angeli in picchiata”. E’ la tentazione del prodigio. La tentazione dell’apparire e del piacere. E’ il distorcimento della religione a spettacolo. La deviazione della fede a sceneggiata. Un Dio utile. Un dio-bankomat: tanto ti do, tanto mi devi. E’ la strumentalizzazione di Dio, di cui ci si serve a proprio piacimento. Funzionale ai miei progetti. Che legittimi le mie follie. Che mi sostituisca nelle mie decisioni. Che ratifichi i miei disimpegni.

Ti darò in mano tutti i regni della terra”. E’ la tentazione del potere. La strumentalizzazione dell’uomo. Crescere salendo sulle spalle degli altri. Schiavizzare il prossimo perché mi deve servire. Togliergli l’aria perché la deve prendere dalle mie bombole. Negargli la dignità perché sia io a conferirgliela col contagocce.

Conosciamo l’opzione fondamentale di Gesù. E’ quella del completo capovolgimento di Dio. Gesù ci rivela un Dio rovesciato, che dice No all’avere, sì al dare. No al piacere, sì all’amare. No al potere, sì al servire. Il tutto si può riassumere nel passo di s. Paolo ai cristiani di Corinto: “Conoscete la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà” (2 Cor 8,9).Sconcertante capovolgimento di Dio! Rovesciamento sorprendente, mozzafiato! Da ricco si è fatto povero. Ha assunto la nostra fragilità per amore nostro, per farci ricchi con la sua povertà. E’ la ‘rivoluzione’ di Dio.

2. E’ questo capovolgimento che rapisce il cuore di Chiara e che lei vede rivissuto da Francesco. La storia della figlia di donna Ortolana era cominciata con quel gesto border-line, compiuto da Francesco quando, trascinato in giudizio dal padre davanti al vescovo Guido, aveva restituito soldi e vestiti a messer Pietro di Bernardone, rimanendo nudo sull’affollatissima piazza del vescovado. Certamente lo scalpore prodotto da quel ‘colpo di testa’, a dir poco spiazzante, deve esser penetrato dentro le mura della casa di Chiara, allora dodici-terdicenne, peraltro non distante dalla cattedrale di san Rufino. Ma di Francesco e delle sue gesta si dev’essere continuato a parlare nell’ambiente familiare della futura “pianticella di Francesco. In effetti altri giovani, anch’essi appartenenti alla buona società assisana erano corsi dietro al figlio del ricco mercante, fornendo ulteriore, succosa materia alle cronache piccanti, alle chiacchiere pettegole, ai sussurri bisbigliati e alle alte grida cittadine.

Qualche anno dopo Chiara, ormai diciottenne, mentre i parenti facevano pressioni perché una ragazza bella, ricca e nobile come lei, si decidesse ad accettare una delle non poche allettanti proposte di matrimonio, la giovane invece cercava di entrare in contatto con Francesco, ma sempre in gran segreto, per non venire adocchiata dai parenti. Fino a quando la notte delle Palme, nel quasi plenilunio della Pasqua imminente, Chiara, fuggì nottetempo e si rifugiò presso Francesco a santa Maria degli Angeli. Con quel gesto inaudito Chiara sapeva di dichiarare guerra a una intera città., come se dicesse: “La vita è mia e ne decido io”.

Eppure lei era una donna che nell’ambiente maschilista del tempo non poteva che essere una fragile donna. E’ la fragilità culturale sperimentata da Chiara, ma che lei ha vissuto non in modo succube e ripiegato, né amaro o risentito. Eppure la sua famiglia apparteneva ai maiores di Assisi, ma quando ha deciso di vivere con i minores della città fino alla fine, Chiara, fragile come tanti ha sperimentato la felicità come pochi. Non solo perché aveva scelto la fragilità delle incombenze più umili, ritenendo ad esempio con santa ostinazione che toccasse a lei “lavare i sedili delle inferme” e lavare e baciare i piedi infangati delle sorelle che tornavano dalla questua. Ma anche quando nella Regola chiedeva l’obbedienza alle sue figlie e sorelle, esigeva dalla badessa la capacità di farsi obbedire “piuttosto per amore che per timore” (Test. 61). Più per il contagio del suo esempio che per riguardo del suo ruolo.

Ed ecco le sue ultimissime parole, rivolte alle sorelle “Tra gli altri benefici che ogni giorno riceviamo dal nostro Donatore per i quali dobbiamo maggiormente rendere grazie, c’è la nostra vocazione”. E poi, rivolgendosi a se stessa: “Va’ in pace, perché averai bona scorta; pero’ che Quello te creò, infuse in te lo Spirito Santo; e poi te ha guardata come la madre lo suo figliolo piccolino”. Aveva appena baciato la Bolla con cui il papa di Roma aveva finalmente approvato la sua Regola nella quale Chiara aveva tenacemente riaffermato la scelta radicale della povertà. Se ne va incontro al suo divino-umanissimo Sposo, povera e fragile come tanti. Lieta, anzi beata e felice come pochi.

Rimini, Chiesa di san Bernardino, 11 agosto 2022

+ Francesco Lambiasi