Con lo sguardo fisso su di Lui Il Volto del dolore e dell’amore

Omelia, Basilica Cattedrale, Domenica delle Palme, 5 aprile 2009

Inizia la settimana santa. Perché “santa”? Perché è la settimana che ci rende santi. Ma è possibile diventare santi in una settimana, quando non ci è bastata una quaresima a convertirci? Sì e no. No, se la apriamo oggi e l’archiviamo tra otto giorni. Sì, se ci decidiamo una buona volta a prenderla per quello che è: una sorta di corso-base di cristianesimo, che poi riprenderemo giorno per giorno fino a quando arriverà la nostra ora nona, e potremo anche noi ascoltare la sua voce: “Oggi sarai con me in paradiso”.

Ma perché questo avvenga, dobbiamo resistere allo scandalo della croce, dobbiamo reggere all’urto dell’orrore e dell’amore. Non possiamo abbassare gli occhi, dobbiamo avere l’umiltà e il coraggio di tenere fisso lo sguardo sul Crocifisso e dire: Ecco l’uomo! In quel volto tumefatto e intriso di sangue, che  si affaccia dal balcone della storia, siamo provocati a riconoscere la misura dell’amore più grande. Quante volte invece io l’ho incontrato mezzo morto sulla Gerusalemme-Gerico, sui sentieri insicuri del dolore, nei vicoli ciechi della desolazione, e ho avuto paura di avvicinarmi.

Ecco l’agnello di Dio! Ci aspettavamo un messia muscoloso e imbattibile, lo immaginavamo travolgente. indomabile, ruggente come un leone, e ce lo ritroviamo come un candido agnellino, imbrattato dalle nostre lordure, condotto al macello per i nostri peccati.

Ecco il nostro re! Senza armate invincibili, senza trono, senza scettro e senza corona. Un re nudo, che ha scelto di stare dalla parte dei perdenti e degli sconfitti, e dunque anche dalla mia parte, ma io non l’ho riconosciuto e non gli ho detto: “Ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”.

Ecco il Figlio di Dio! Il centurione romano, un esperto di condanne a morte, l’ha visto spirare in quel modo orribile, e in quella morte ha visto Dio: “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!”. Solo Dio è capace di morire così: non scende dalla croce, non salva se stesso. Hanno ragione quegli scalmanati che urlano come ossessi inferociti: «non può salvare se stesso». E’ vero: non “sa” salvare se stesso, non perché non ne abbia il potere, ma perché vi ha rinunciato per amore.

Ecco il Salvatore del mondo! Saulo, prima di incontrarlo sulla via di Damasco, lo giudicava percosso da Dio e umiliato, maledetto e scomunicato, perché questa era la terribile sentenza della santa Toràh: “Maledetto colui che pende dal legno!”. Ma poi c’è stata la folgorazione: quel Nazareno era passato dall’esperienza dell’abbandono di Dio (“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”) all’abbandono a Dio (Padre, nelle tue mani abbandono il mio spirito”), e dunque Dio non l’aveva potuto abbandonare al potere della morte. Saulo si è arreso disarmato all’Amore e ha detto: “Ecco chi mi ha veramente amato e ha dato se stesso per me!”.

Questa è la fede di buona lega, che fa rotolare la pietra dei nostri sepolcri.

Sia di questa lega la nostra fede!