Carità è missione: mai l’una senza l’altra

Omelia per l’ordinazione sacerdotale di p. Luca Torsani

Rimini, Cattedrale, 6 settembre 2008

Tra i tanti, dolci ricordi di questa luminosa e toccante liturgia che il tuo cuore sta automaticamente registrando, caro, carissimo Luca, sono sicuro che non tu dimenticherai mai che diventi sacerdote nel corso di questo anno paolino, da noi felicemente iniziato in questa stessa cattedrale il 28 giugno scorso, con l’ordinazione di tre nuovi presbiteri. E tra le molte parole che compongono, per così dire, la “colonna sonora” del “filmino” che la tua memoria starà via via girando per fissare anche i fotogrammi più minuti del rito in corso, mi è caro augurarti di ricordare a lungo, fino alla tua ultima Messa, almeno l’espressione con cui si  chiude la seconda lettura – una frase-lampo, firmata da Paolo e “controfirmata” dallo Spirito Santo che gliel’ha suggerita: “La carità non fa alcun male al prossimo: pienezza della Legge infatti è la carità” (Rm 13,10). Perché si stampi nel cuore di noi tutti e vi resti “fissato” per almeno un po’ di tempo, mi permetto di rendere questo versetto in un italiano più sciolto: “Chi ama il suo prossimo, non gli fa del male. Quindi chi ama, compie tutta la Legge”.

Mettiamoci allora alla scuola di s. Paolo, il più grande missionario di tutti i tempi, e cerchiamo di vedere l’intreccio davvero intrigante tra due parole che appartengono alla stessa costellazione semantica: l’una è sillabata dalla liturgia della Parola che stiamo celebrando, ed è appunto amore; l’altra è dettata dalla tua appartenenza alla famiglia saveriana, ed è missione.

1. Non c’è nessuna delle lettere paoline in cui la parola “amore” non abbia un peso specifico determinante, un posto fondamentale, preminente. Per s. Paolo l’amore è tutto e dice il tutto della rivelazione cristiana: ne dice la base e il vertice, il volume e lo spessore, la porta e la chiave, la meta e la strada. Amore è parola bilingue: appartiene alla lingua divina, perché Dio non ha mai fatto, non fa e non farà mai altro che amare. Appartiene anche alla lingua più universale degli umani, perché – abbiamo appena ascoltato – tutta la Legge “si ricapitola in questa  parola: <<Amerai il tuo prossimo come te stesso>>”.

Ma che cosa intende s. Paolo per amore? non certo quello che una delle autrici più lette ed amate del mondo ha lasciato scritto in un romanzo postumo, che in poche settimane è balzato in vetta alla classifica dei best-sellers di questi mesi: l’amore è quel “sentimento misterioso, inspiegabile, imprevedibile, incontrollabile, cieco, e spesso inopportuno, che chiamiamo Amore” (O. Fallaci).

L’amore nel senso paolino del termine non è neanche quel brivido a pelle di cui si parla nei talk-show televisivi o nei messaggini sul cellulare. Per s. Paolo l’amore non è né un’idea impalpabile né una più o meno esaltante emozione: è una storia, la storia singolare e irripetibile di Gesù crocifisso, che egli riassume in una frasetta tanto semplice a scriversi quanto sconcertante a leggersi: “mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal 2,20). Una proposizione che, in buona analisi logica, Saulo di Tarso non potrebbe attribuire ad alcun altro soggetto, se non a Gesù Cristo: non ad Abramo, a Mosè o ad Elia, ma neanche a Socrate, Budda o Maometto.

Il brano della seconda lettura di oggi è un breve frammento del grande capolavoro paolino, la lettera ai Romani. In tutti i sedici capitoli della lettera l’Apostolo non fa altro che lottare contro il legalismo farisaico. Sa bene quanto quel legalismo puntiglioso e opprimente lo abbia imprigionato in un tunnel asfissiante: lo ha indotto a perseguitare i cristiani. Lo ha salvato la scoperta dell’amore misericordioso del Signore. La fede nell’evento del Calvario infatti determina la morte del vecchio Saulo e la risurrezione del nuovo Paolo. E il ghiaccio del cuore inflessibile di quel fariseo intransigente e implacabile si scioglie al sole ardente della croce. Ma questa vera “rivoluzione copernicana” operata dall’ex discepolo di Gamaliele conviene esprimerla con le sue stesse parole: “Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Rm 5,8). “Che diremo dunque di queste cose? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui? (…) Chi ci separerà dall’amore di Cristo?” (Rm 8,31ss).

2. Cosa c’entri questa storia d’amore con la missione, lo sappiamo già, ed è presto detto, ma io vorrei provare ora a ridirlo, Luca carissimo, con le parole della tua giovane vita. Io non so quando e come, ma ad una determinata svolta del tuo cammino, tu hai fatto la scoperta fatta da s. Paolo: hai incontrato l’amore di Cristo, e hai capito che nella croce Dio si gioca tutto, a fondo perduto, fino a dirsi e a darsi tutto. Tu hai capito che non potevi più tenere questa scoperta per te, e hai sentito diretta proprio a te la parola rivolta ad Ezechiele, nella prima lettura (e che tu hai voluto scrivere nel ricordino della tua ordinazione): “Così dice il Signore: Ascolterai una parola dalla mia bocca e tu dovrai avvertirli da parte mia” (Ez 33,7).

Tu hai scoperto che il modo più bello, perché tutto e solo tuo, di vivere la vita, non poteva che essere quello di spenderla tutta intera per andare a dire e a dare l’amore di Cristo a chi senza di te non potrebbe mai incontrarlo. E questa è stata la tua scelta di vita: donarti fino a consumarti, senza progetti e senza rimpianti, per andare a comunicare il messaggio dell’Amore misericordioso a quelli che non sono ancora cristiani.

Certo, anche tu ti sei posto le domande che oggi si pongono tanti cristiani: ma perché andare in terre lontane ad “esportare” il vangelo di Cristo Signore? non è forse vero che quei fratelli possono salvarsi seguendo la loro religione? e non bisogna rispettare la loro coscienza e la loro identità storica?

Ma la tua scelta della missione è nata da una ferma convinzione: Cristo è il salvatore di tutti gli uomini, anche di quelli che non lo conoscono; è la sorgente originaria dei valori che già possiedono; è la meta nascosta a cui inconsapevolmente tendono, perché tutti sono creati in lui e orientati alla comunione con lui. Certo, è vero che i non cristiani di buona volontà sono già aperti al suo amore, in modo da poter ricevere la salvezza, ma questo orientamento non costituisce una valida obiezione alla legittimità e alla impreteribile necessità della missione; è piuttosto una ragione in più perché quei fratelli conoscano il nome di Cristo e il suo santo volto, e vivano consapevolmente e pienamente il rapporto con lui.

Tu, Luca, sei già stato in missione e hai vissuto in qualche modo l’esperienza che, durante una notte, Paolo fece quando gli apparve in visione un macedone il quale lo supplicava di andare ad evangelizzare il suo paese. E fu così che una prima scintilla di fede cristiana arrivò per la prima volta nel nostro continente europeo…

Tu, in Africa, hai capito che le religioni contengono preziose verità, come germi del Verbo divino pronti a ulteriori sviluppi, ma hai capito pure che esse contengono errori, lacune e non poche deviazioni. Solo l’incontro esplicito, pieno e cosciente con Cristo nella sua Chiesa – poiché è l’unico incontro integralmente liberante – afferma e conferma i valori e gli elementi positivi delle varie religioni, purificandoli dalle incrostazioni dell’errore e del peccato, e li porta a piena maturazione.

3. Caro Luca, tu hai sentito come rivolta proprio a te la parola del Signore nel vangelo di stasera, e l’hai riletta come se il Signore ti dicesse: “Se un tuo fratello segue una via che non è Cristo, tu va’ da lui, anche se stesse in uno sperduto villaggio africano, e ammoniscilo, per guadagnare quel tuo fratello”. Per te infatti è diventato insopportabile il solo pensiero che anche un solo fratello possa vivere tutta la vita senza mai poter conoscere e abbracciare l’unico Salvatore di tutti, senza mai poter entrare in una comunione consapevole e personale con lui.

Dunque è per amore e solo per amore che tu hai fatto la scelta della missione, non per un trionfalismo esaltato e presuntuoso; non per un  colonialismo ingordo e vorace che riduce gli uomini di altre religioni e culture ad oggetti, buoni solo da saccheggiare; non per un fondamentalismo forsennato che tratta gli altri solo come potenziali proseliti da conquistare o, in caso contrario, come irriducibili condannati all’eterna perdizione.

Per amore, solo per amore: infatti, se il vangelo è un messaggio d’amore, può essere comunicato solo attraverso il linguaggio dell’amore. Siamo così ritornati al punto di partenza, indicato da s. Paolo: la pienezza di tutto – non solo della Legge, ma anche del vangelo – è la carità. Tutto il cristianesimo si ricapitola nel vangelo della carità: il regno di Dio è carità. La Pasqua di Cristo è evento di carità. Dio è mistero trinitario di carità. La Chiesa è comunione di carità, raccolta intorno all’eucaristia. La vita cristiana è la perfezione della carità. La meta ultima del nostro pellegrinaggio terreno è la felicità della comunione perfetta con Dio nella carità. Perciò anche la missione, in definitiva, non è altro che il dilatarsi della carità: da Dio a noi, da noi agli altri.

Non è allora giusto dire, adattando s. Paolo che “pienezza della missione è la carità”? La carità è la radice, e il frutto è la missione: senza la carità la missione non sarà mai credibile; con la carità non sarà mai sterile

Auguri di cuore, Luca carissimo: “Dio ha riconciliato il mondo in Cristo, affidando a noi la parola della riconciliazione”, abbiamo proclamato nel canto al vangelo. Ora quella parola di riconciliazione e di pace sta per essere affidata anche a te, e diverrà vera anche per te la promessa indefettibile di Gesù ai suoi discepoli, i primi missionari del vangelo: “Tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo”.

Nello stesso vangelo Gesù ha detto pure: “In verità io vi dico: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà”. Noi ora siamo molto più di due, e siamo qui riuniti, tutti d’accordo, per chiedere per te due grandi doni: lo stupore, perché non si spenga mai nel tuo cuore la gratitudine per il dono che stai per ricevere; la fedeltà, perché tu non ti penta mai delle promesse che stai per fare.

E che Maria, la stella dell’evangelizzazione, ti sorrida con gli occhi suoi misericordiosi, ti guidi e ti accompagni, lei, la clemente e pia, la dolce vergine Maria!