Omelia del Vescovo nell’anniversario della morte della beata M. Rosa PELLESI

Avvento: l’evento del “Dio-che-viene”

            Dio è “Colui che è, che era e che viene”. Lo troviamo scritto in quella sorta di ‘biglietto da visita’ con cui il Signore si autopresenta all’inizio dell’Apocalisse (1,4). Stupefacente, davvero! Ci saremmo aspettati non “Colui-che-viene”, ma “Colui-che-sarà”. E invece Dio si autoidentifica proprio così: come “ Colui-che-viene”.

1. Se siamo cristiani, non possiamo che aspettare la venuta di Cristo. “Perciò anche voi tenetevi pronti, perché nell’ora che non immaginate, il Figlio dell’uomo verrà”: sono le ultime parole del Signore nel brano del vangelo di oggi. Il Figlio dell’uomo verrà: ma non è già venuto? Sì, è venuto, e ce ne rallegriamo ancora. La parola avvento in latino significa non attesa, ma arrivo, venuta. Il più grande evento della storia – la venuta del Figlio di Dio in mezzo a noi – si è verificato duemila anni fa, e ha tagliato la storia in due tronconi: prima di Cristo, dopo Cristo.

L’Avvento è innanzitutto un evento: in Gesù Dio si è rivelato, e si è manifestato come un Dio veramente e pienamente umano. “Dio nessuno l’ha visto mai – proclama desolato l’evangelista Giovanni, ma poi subito aggiunge, felice – proprio il Figlio unigenito che è nel grembo del Padre, è lui che lo ha rivelato”. E lo stesso evangelista attesta, estasiato: “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria”. L’incarnazione è un avvenimento unico, assolutamente inedito e irripetibile: costituisce il compimento maturo della lenta germinazione del popolo di Israele e rappresenta la risposta definitiva alla lunga, febbrile attesa – anche se per lo più oscura e inconsapevole – di tutta l’umanità.

E’ vero: il Natale del Signore è un avvenimento passato. Ma l’onda luminosa di quell’evento è talmente lunga che attraversa le barriere dello spazio e del tempo, ci raggiunge con tutta la sua carica di energia prorompente, con tutta la densa scia di intensissima gioia, al punto che non finiremo mai di lasciarcene illuminare e contagiare. Ecco la prima dimensione dell’Avvento: la celebrazione di un avvenimento che, per quanto passato, continua a ricadere sul nostro presente.

2. C’è un’altra considerazione da aggiungere. La Chiesa, invitandoci a preparare l’anniversario del Natale del Signore, ci orienta verso la sua ultima venuta, di cui noi continuiamo a rimanere in attesa. Pertanto la liturgia non si limita a ricordare il passato; ci dischiude un futuro ancora più radioso: colui che è venuto, verrà ancora. E’ stupefacente il fatto che l’Avvento non inizi con l’annuncio del Natale, ma con quello del futuro, ultimo avvento del Signore: “Perciò anche voi – ci ripete oggi Gesù – tenetevi pronti, perché nell’ora che non immaginate, il Figlio dell’uomo verrà”. La luce della piena manifestazione del Cristo non si è ancora dispiegata in tutta la sua sfolgorante intensità. Come non bramare il giorno radioso in cui la realtà di un mondo già rinnovato giungerà a piena maturazione e la nostra umanità sarà resa dal Padre fedelmente conforme all’immagine del Figlio suo?

Il vangelo annuncia l’avvento finale del Signore assumendo lo stile apocalittico. Lo presenta come un seguito di sconvolgimenti cosmici che provocano la venuta definitiva del regno di Dio. Per non cadere nell’equivoco del fondamentalismo, occorre distinguere tra linguaggio e messaggio: il linguaggio apocalittico sembra volerci incutere terrore; in realtà serve a scuoterci. Il messaggio non è di paura, ma di speranza. E’ una promessa consolante, non una terrificante minaccia. Non è un annuncio di catastrofe. E’ una rivelazione: questo è il vero significato della parola “apocalisse”: proprio perché Cristo è già venuto, sappiamo bene che la storia non si è arrestata, ma è ripartita in avanti: come cristiani crediamo che il tempo è “compiuto”, ma non è esaurito. “Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con potenza e gloria grande”. La prima venuta nella pienezza dei tempi è stata segnata dall’umiltà e dalla sofferenza. La seconda, alla fine dei tempi, avverrà come vittoria definitiva, come trionfo insuperabilmente radioso, con grande potenza e gloria. Ecco il movimento dell’Avvento: dal passato al futuro. La liturgia trae dal ricordo della prima venuta del Signore la molla che fa scattare l’attesa della sua ultima venuta. Appunto perché lo ricordiamo, noi l’attendiamo. Non è una memoria nostalgica, inerte, passiva, ma di un’attesa viva, solerte, attiva.

3. Sia il ricordo del passato sia l’attesa del futuro convergono nel provocare i credenti a vivere nel presente con vigilanza: “Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà”. Non si sa quando il padrone tornerà, e quindi non ci è consentito metterci a calcolare, facendo il conto alla rovescia sull’imminenza dell’arrivo o vagheggiando pigramente il ritardo, come invece ha fatto il maggiordomo della parabola. Il quale – presumendo un differimento sine die del ritorno del suo signore – cominciò a “percuotere i compagni e a bere e a mangiare con gli ubriaconi” (Mt 24,49). La vigilanza consiste nel vivere “come in pieno giorno”, evitando gozzoviglie e ubriachezze, impurità e licenze, contese e gelosie (2.a lettura). Ma l’onestà non basta, aggiunge il vangelo. Si può trascurare la vigilanza, anche perché troppo presi da cose di per sé legittime, come il mangiare e il bere, il prendere moglie o marito, senza accorgersi che il diluvio è imminente, come avvenne ai tempi di Noè. Le troppe cose, anche buone e giuste, come il lavorare nei campi o al mulino, possono distrarre la mente e il cuore dalla questione fondamentale: la venuta del Signore. Sì, Lui viene, con passi di danza, innamorato e felice. “Neanche Dio può stare solo (Turoldo). Neanche Lui può stare senza di me, senza di te, senza fare il possibile e l’impossibile per farci felici. Lui viene sempre per consolare, aiutare e stare accanto.

4. Incontrare la beata M. Rosa Pellesi sulla prima soglia dell’Avvento è come incontrare una giovane sposa, tenera e ardente, alla vigilia delle nozze. Un vigilia lunga, dolce, tenace, visto che ha passato circa metà della sua giovane vita in sanatorio, e precisamente circa 27 anni. Ecco cosa ha lasciato scritto. Nel lontano 1955: “Una pace profonda mi dà tanta serenità e penso al giorno della mia morte come a un giorno di festa. Gesù è tutto per me. Sono felice”. Qualche anno dopo (1959) pregava: “Io desidero e chiedo sempre di aspettare e accogliere il momento della morte come il più felice della mia vita. Di accoglierlo come una sposa attende l’abbraccio dello sposo per l’eterna unione. Che la volontà di Dio si compia in modo che al momento del transito possa dire: Tutto è compiuto”. Ancora: “Desidero e prego perché la realtà di Gesù mio Salvatore, assorba tutta la mia vita, in tutte le sue manifestazioni, al completo, con la massima intensità, in tutti i lati. E infine la morte come suprema, amorosa, gioiosa adesione al volere del Padre” (1962). “Desidero morire volentieri e per questo chiedo a Gesù che mi aiuti a morire un po’ ogni giorno” (1971). “Gesù, desidero ardentemente dirti il mio sì totale e disinteressato. Desidero gridartelo con il cuore e con la vita, che voglio sia tua, totalmente tua. Ho bisogno di dirtelo per il presente e per il futuro, sino all’ultimo respiro. Ho bisogno di questa fiducia e di questo abbandono ora che si avvicina la sera della mia vita” (1968). Signore, consacro a te questo nuovo tempo di grazia al tuo amore. Voglio che la mia vita sia amore per te, con te e in te. E per te voglio che sia amore per tutti” (1972, anno della morte). E poco prima di morire, stendendo le braccia in forma di croce, sospira con gemiti d’amore: “Lasciatemi morire in croce, come Gesù. Sono serena e muoio serena. Penso a tutti. Vorrei se potessi dare un bacio a tutta l’umanità. Sono felice, tanto felice perché muoio nell’amore. Sono felice perché amo tutti. Lo dico in un momento in cui non posso tradire. Quello che conta è amare il Signore”. Fare della vita un pellegrinaggio d’amore – in perfetta letizia! – incontro al Dio-che-viene: non è questo l’Avvento più autentico, più tenero e coinvolgente?

Rimini, chiesa di s. Agostino, 27 novembre 2022

+ Francesco Lambiasi

27/11/2022