Le due fiamme di san Gaudenzo

L’amore per Cristo e per la Chiesa

Omelia in occasione della festa del patrono

Due fiamme, un solo fuoco. Quando arrivò ad Ariminum mandato dal papa, il giovane vescovo Gaudentius si portava in cuore un fuoco ardente, alimentato da due fiamme vivaci. In questa festa patronale – edizione 2019 – ritengo doveroso per me e, spero, opportuno per voi verificare fino a che punto nella nostra Chiesa riminese quelle fiamme siano ancora accese e palpitanti.

1. La prima è l’amore per Gesù. San Gaudenzo non è approdato a Rimini per un interesse privato o per una ambizione personale. Ci è venuto da cristiano e da vescovo per amore di Cristo. Si era sentito pressato da una domanda martellante: “Gaudenzo da Efeso, mi ami tu?”. La stessa domanda, rivolta dal Risorto a Simone di Giovanni, sulle rive del lago di Tiberiade. E alla sua risposta trafelata e trepidante, il giovane vescovo si era ritrovato investito da quella consegna sorprendente: “Vai ad Ariminum a pascere le mie pecorelle”.

Ma Gaudenzo non era un candido sognatore, in preda a farneticanti miraggi. Non poteva aspettarsi da quella missione facili successi e trionfi éclatanti. Anzi si sapeva quantomeno esposto ad ostinate resistenze e a furiosi rigetti, se non addirittura ad una spietata persecuzione, che sarebbe potuta fatalmente sfociare in un feroce martirio. Come di fatto avvenne.

Sorelle, fratelli, oggi san Gaudenzo ci gira la domanda di fuoco, postagli dal Risorto: “Chiesa di Rimini, ma tu ami veramente il Signore Gesù?”.

In effetti possiamo ben dire che ai nostri giorni è ancora tempo di Gesù. Se non ci fossero altri motivi per essere cristiani, ne basterebbe ancora uno: Gesù Cristo. Se venissero a cadere tutte le ragioni per restare cristiani, ne rimarrebbe ancora una: Gesù Cristo.

Ma perché non possiamo dirci cristiani se non amiamo Gesù? La prima risposta è limpida e stringente: perché lui ci ha amati per primo. Ce lo ricorda san Paolo: “Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi” (Ef 5,2). E non ci ha amato, per così dire, ‘nel mucchio’, con un affetto ‘general generico’, in incognito o in modo anonimo e collettivo. Ma con un amore unico, singolare, del tutto intimo e personale. Ognuno di noi può dire con san Paolo: “Mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal 2,20). Ora questo amore letteralmente “ci possiede” – ma potremmo anche tradurre: “ci afferra, ci spinge, ci costringe” – “al pensiero  che uno è morto per tutti” (2Cor 5,14). Questo è davvero strabiliante. In Gesù noi incontriamo non un uomo che si sacrifica per propiziarsi un dio volubile e capriccioso, ma un Dio che si sacrifica, lui, per l’uomo.

Il fatto che Gesù ci abbia amato per primo e fino al punto da dare la vita per tutti e per ciascuno di noi, non può lasciarci, e non ci lascia, indifferenti. Si tratta della ben nota legge per cui l’amore “a nullo amato amar perdona”: non permette a chi è amato di non riamare a sua volta.

Ma non finisce qua. Noi parliamo di Gesù come se lui ci avesse amati per primo una volta sola, sulla croce, e basta. Ma se ci fermassimo al Calvario, ci sentiremmo pungere da una domanda ineludibile: che ce ne faremmo di un profeta ormai messo a tacere per sempre dalla morte? A chi potrebbe servire il suo amore, se, cessando di battere, il suo cuore avesse subito la stessa sorte di uomini crudeli come Erode o paurosi e vili come Pilato? O se Gesù fosse stato sottoposto allo stesso destino dei grandi fondatori di religione, come Confucio o Maometto? Ma Gesù è risorto. E perciò è personalmente, corporalmente, attualmente vivo. E’ presente qui oggi. Il suo cuore è instancabilmente attivo e continua a pulsare amore per tutti e per ciascuno di noi. E così sempre. Con lui perciò si può avere un rapporto dinamico, in atto, ‘in diretta’. Gli possiamo parlare, lo possiamo ascoltare e invocare. Da lui ci sentiamo amati e lo riamiamo.

San Paolo ha lasciato incisa in una sua lettera una parola tremenda: “Chi non ama Gesù Cristo, sia anàtema” (1Cor 16,22). Nel corso dei secoli sono stati pronunciati, a proposito di Cristo, tanti anatèmi: contro chi negava la sua umanità, contro chi negava la sua divinità, contro chi divideva le sue due nature, contro chi le confondeva… Forse, però, non si è posta abbastanza attenzione al fatto che il primo anatèma della cristologia, pronunciato da un apostolo in persona, non è contro coloro che non credono in Cristo, ma in coloro che non lo amano.

Ma noi – ci chiede san Gaudenzo – noi amiamo Gesù?

2. Nella Lettera agli Efesini san Paolo, dopo aver detto che “Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi”, poco più avanti scrive: “Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa” (Ef 5,32s). Ecco la seconda fiamma che bruciava nel cuore del nostro patrono: l’amore per la nostra Chiesa. Ma noi – ci chiede ancora san Gaudenzo – noi amiamo la Chiesa? Se siamo discepoli di Cristo, non possiamo non amare la nostra madre, perché Cristo l’ha amata. E non l’ha amata perché l’ha trovata amabile. Ma l’ha resa amabile proprio perché l’ha amata. Ha sacrificato la sua vita per lei e l’ha fatta sua sposa. Ha offerto se stesso per renderla santa e immacolata. Non perché immacolata e santa, lei, già lo fosse. E continua ad amarla, nonostante i suoi peccati, le sue tante miserie e penose debolezze. Pertanto chi siamo noi per trovare nelle debolezze e miserie della Chiesa un alibi per non amarla, anzi per giudicarla e contestarla?

A Lutero che gli rinfacciava di rimanere nella Chiesa cattolica, nonostante la sua intollerabile ‘corruzione’, Erasmo da Rotterdam rispose: “Sopporto questa Chiesa in attesa che diventi migliore, dal momento che anch’essa è costretta a sopportare me, in attesa che io diventi migliore”. Certo, una volta che hai pianto per le sue colpe, Dio ti potrebbe ordinare, come ha fatto con altri nel passato, di alzare la voce contro le “piaghe della Chiesa”. Ma non prima.

Infine vorrei spezzare una lancia a favore dell’amore al vescovo di Roma, oggi papa Francesco. Non può non addolorarci il triste fenomeno delle violente critiche nei suoi confronti, per screditarne il magistero e contestarne le scelte pastorali. Chiedo pertanto a san Gaudenzo di pregare perché la nostra Chiesa riminese cammini unita “con Pietro e sotto Pietro”.

Ora permettetemi di rivolgermi direttamente al Papa, per dirgli con affetto trasparente: “Padre e fratello nostro, noi cristiani riminesi ti vogliamo bene. Ti ascoltiamo e ti condividiamo. Ti sosteniamo nella tua opera di riforma della Chiesa, ma devi perdonarci per tutte le volte che lo facciamo solo a parole. E ti ringraziamo tanto per il tanto bene che ci vuoi. E che ci fai”.

Rimini, Basilica Cattedrale, 14 ottobre 2019

+ Francesco Lambiasi