Non più schiavi, ma fratelli

Omelia tenuta dal Vescovo per la Giornata Mondiale della Pace

Forse, più che un parola sintetica o un’idea astratta ed evanescente, a custodire i densi, limpidi messaggi che la liturgia oggi ci semina nel cuore ci potrebbe aiutare un’immagine plastica ed emblematica, l’immagine dell’arazzo. Immaginiamo un arazzo intessuto di due grandi fili, uno d’oro e l’altro di colore rosso. Il filo d’oro forma la trama dell’arazzo ed è il filo della benedizione, mentre quello rosso forma l’ordito ed è il filo della pace. Dall’intreccio della trama e dell’ordito risalta un volto, preciso e luminoso: il volto di Maria, madre di Gesù, e perciò anche madre di Dio e madre nostra.

  1. La trama della benedizione e l’ordito della pace

La prima lettura ci garantisce la certezza che viviamo nella benedizione di Dio, custoditi dal suo Nome – benedetto Egli sia! – quel santo Nome che trasforma la nostra esistenza in trasparenza del suo adorabile Volto. Per l’AT la benedizione di Dio è una sorpresa sbalorditiva, un’imparagonabile grazia: è un augurio di fecondità, firmato da Dio stesso, ed è sempre legato al dono della vita. Il verbo “risplendere”, contenuto nell’auspicio beneaugurante – “che il Signore faccia risplendere per te il suo volto” – è reso in alcune fonti giudaiche con sorridere. L’augurio è dunque che Dio ci sorrida, si manifesti tenero e benevolo verso di noi, sue povere creature. Il volgersi di Dio, il suo risplendere/sorridere, genera grazia e pace, favorisce l’esperienza di un amore incondizionato, produce la gratitudine di un’accoglienza totale che ristabilisce l’armonia originaria di una vita colma, traboccante della presenza “in-credibile” e “sorridente” di Dio.

A questo punto il filo d’oro della benedizione si intreccia con il filo rosso della pace, come è detto nell’ultimo auspicio: “Il Signore volga a te il suo sguardo e ti conceda pace“. La pace secondo l’accezione biblica non è semplice assenza di guerra o mancanza di “male”. Per apprezzare nel suo pieno valore la realtà indicata dalla parola “pace”, occorre sentire il gusto di terra che sussiste nell’espressione semitica. La parola ebraica shalom deriva da una radice che, secondo i suoi usi, designa il fatto di essere intatto, completo, e arriva a indicare il benessere dell’esistenza quotidiana, lo stato dell’uomo che vive in armonia con la natura, con se stesso e con Dio. In concreto “pace” è benedizione, sicurezza, lieto stupore, vita serena e appagata, gioia piena e perfetta.

Una vita benedetta è una vita in pace; è l’esistenza felice, feconda e fortunata di chi si sa e si sente amato, di chi è e sente di essere scelto, benvisto, benvoluto, benaccolto. E’ lo stato di grazia, di chi può affrontare anche le prove più penose, perché sa e crede che davvero “tutto è grazia”. Una vita benedetta è’ la pace profonda di chi crede che perfino una situazione di maledizione, se assunta per puro amore, cambia radicalmente di segno – da meno (-) a più (+) – e viene trasformata dall’interno, al punto che invece di produrre, a sua volta, altra maledizione diviene strumento di gratuita, irreversibile benedizione.

  1. Il volto di Maria, la benedetta Madre della pace

Maria è la prima donna benedetta che appare sulla soglia del NT. “Benedetta tu fra tutte le donne”, le grida raggiante Elisabetta, quando se la vede venire incontro, ed è come se Maria venisse in tal modo definita come la benedetta al superlativo: “fra tutte le donne, la più benedetta”. Maria è anche la prima donna ad essere proclamata “beata” – sempre da Elisabetta – per aver creduto che si sarebbe compiuta per lei la parola del Signore, comunicatale dall’angelo Gabriele.

Maria è donna di pace. Perché nel mistero dell’incarnazione si è totalmente abbandonata alla volontà del suo Signore, e ha concepito nel suo grembo verginale il principe della pace, che ha riconciliato in sé il cielo e la terra. Maria è donna di pace perché in lei si riaccese l’amore e si fece carne la Parola venuta “ad annunciare la pace ai vicini e ai lontani” (cfr Ef 2,17). E’ donna di pace perché il suo Figlio benedetto “è la nostra pace” e “ha fatto la pace” “eliminando in se stesso l’inimicizia” (Ef 2,14-16). Maria è donna di pace perché nel mistero della passione stette intrepida presso la croce, dove il Figlio pacificò nel suo sangue il cielo e la terra. Nel mistero della Pentecoste, rimanendo in preghiera con gli apostoli, attese lo Spirito di unità e di pace, di gioia e di amore.

  1. Non più schiavi, ma fratelli

         Se guardassimo a ciò che c’è intorno a noi, se guardassimo ai focolai di guerra accesi in tutto il mondo; se guardassimo alle violenze, alle violazioni dei diritti umani, alle ingiustizie, alle macroscopiche differenze fra il mondo dell’abbondanza e quello della miseria; se guardassimo all’assurda cultura di morte e alla svalorizzazione della vita; se guardassimo alle tante forme di schiavitù presenti oggi nel mondo; se guardassimo a questi lugubri fenomeni, le nostre labbra ci si inchioderebbero nella delusione e nell’amarezza.

Ma noi oggi osiamo parlare di pace, non a partire dai comportamenti degli uomini, ma dalle promesse di Dio. Nella nascita di Gesù, Dio Padre ci ha promesso la pace e nella sua Pasqua ce l’ha effettivamente donata. Perciò noi oggi ci uniamo al Santo Padre e a tutti gli uomini buoni, cristiani e non, nel rifiuto di ogni forma di schiavitù. Il Papa chiama noi credenti a un cammino di conversione che porta a riconoscere nell’altro non un nemico da combattere o un essere inferiore da sfruttare, ma un fratello da amare e, perché amato, da liberare da tutte le catene della schiavitù. Sono le vittime del lavoro, i migranti privati della libertà e dei loro beni, abusati fisicamente, detenuti in modo disumano. Sono gli schiavi sessuali; i minori vittime di mercimonio per l’espianto di organi, arruolati come soldati, spinti all’accattonaggio o alla vendita di stupefacenti, oggetto di forme mascherate di adozione internazionale, rapiti e fatti prigionieri da gruppi terroristici. Le cause di tutto ciò sono il peccato che corrompe il cuore dell’uomo, senza dimenticare povertà, analfabetismo, mancanza di lavoro, corruzione, reti criminali e mafie che gestiscono la tratta di esseri umani anche attraverso internet, guerre e terrorismo.

La pace che Gesù ci ha promesso non ci lascia mai in pace, perché chi la cerca si consegna alla croce nel dono incondizionato di sé. Ma non si turbi il nostro cuore. Qualcuno, proprio su una croce, prima di noi e per noi, l’ha conquistata e ce l’ha donata in eredità: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace”.

– Rimini, Basilica Cattedrale, 1 gennaio 2015 –

+ Francesco Lambiasi