“Vediamo questo avvenimento”. Natale: cosa è accaduto, come e perché?

Omelia pronunciata dal Vescovo nella Messa del giorno di Natale
Rimini, Basilica Cattedrale, 25 dicembre 2011

Qual è il sentimento più appropriato per il Natale, forse la paura? No, di certo. E’ vero che le profezie annunciavano che quando Dio sarebbe venuto a visitare la terra, le montagne avrebbero tremato, gli abissi si sarebbero sconvolti, sarebbe scoppiato l’uragano. Ma il messaggio dell’angelo ai pastori è tutt’altro che allarmante: “Non temete, non abbiate paura”. Non è certamente il sacro terrore la risposta al messaggio del Natale. Sarà allora il ricordo struggente di una infanzia perduta, di una pace impossibile, di una innocenza irrecuperabile? No, a Natale non siamo condannati ad ammalarci di malinconia. L’angelo questa notte ci ha annunciato “una grande gioia”, e la gioia sta alla nostalgia come il giubilo sta al rimpianto. La reazione giusta di fronte alla Parola fatta carne, davanti a quel bambino avvolto in fasce e adagiato nella mangiatoia, è lo stupore, che i pastori provano come un brivido a pelle e che contagiano a quanti incontrano: “Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori”. Sì, è lo stupore la reazione proporzionata all’evento stupefacente del Natale. Altrimenti rischiamo di cadere nella stanca, passiva ripetitività di una routine piatta e annoiata.

Tentiamo allora di “vedere questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere”, come dicono i pastori di Betlemme, ponendoci alcune domande che ci aiutano a scavare nel messaggio del Natale.

1. Che cosa è realmente avvenuto a Natale?

A una lettura di superficie si dovrebbe dire che è avvenuto poco, infinitamente troppo poco. Se si rappresentano in scala i 4,5 miliardi di anni di vita della terra con un anno solare, si osserva che i mammiferi vi compaiono solo a metà dicembre, un protouomo verso le nove di sera del 31 dicembre, l’homo sapiens una decina di minuti prima di mezzanotte, il sapiens sapiens tre minuti prima di capodanno e la civiltà neolitica durante l’ultimo minuto. Socrate, Alessandro Magno e Gesù Cristo si accalcano nell’ultima manciata di secondi. Quindi la nascita di Gesù di Nazaret, riportata in questa scala, occuperebbe appena un millesimo di secondo. E se ogni millesimo di secondo si può paragonare a un microscopico granellino di sabbia tra i miliardi di miliardi di granellini che compongono la sconfinata distesa della storia, allora si potrebbe dire che nel meccanismo perfettamente oliato del sistema è caduto un granello infinitesimale, ma sufficiente a cambiare il corso dell’umanità.

Abbiamo ascoltato: “Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò suo Figlio, nato da donna, nato sotto Legge, per riscattare quelli che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli” (Gal 4,4). In modo ancora più scultoreo l’evangelista Giovanni proclama: “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14).

Ecco che cosa è avvenuto a Natale: Dio è finalmente venuto in mezzo a noi. L’atteso non ha portato ritardo, il promesso è arrivato puntualissimo. Se questo è vero, allora è altrettanto vero che ormai tutto cambia.

A Natale cambia l’indirizzo di Dio: la sua residenza non è più a Gerusalemme, nel sacro recinto del magnifico tempio ricostruito da Erode, ma a Betlemme, in Galilea, e perciò sotto ogni latitudine della terra, dovunque nasce vive lotta e spera un figlio d’uomo.

A Natale cambia il senso della storia: non verso una inarrestabile decadenza, ma verso una pienezza insuperabile. E cambiano i protagonisti degli eventi che contano veramente: chi decide il destino dell’uomo non è l’imperatore di Roma e neanche suo figlio, ma quel piccolo bambino che è appena nato fragile e povero a Betlemme. La storia riparte dagli ultimi.

A Natale cambia il canale di comunicazione tra Dio e l’uomo: Dio non parla più attraverso i profeti, ma tramite il Figlio fatto uomo. “Dio che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Ebr 1,1s).

2. Come è avvenuto?

Se Natale è quell’evento che realmente è, come è avvenuto quanto è avvenuto? Se a Natale Gesù ci ha portato Dio, come ce lo ha portato? Se a Natale in Gesù ci ha parlato Dio, come ci ha parlato? Dobbiamo rispondere: non da Dio. Il Figlio di Dio ci ha parlato di Dio, ci ha portato Dio, ma non da Dio, bensì da uomo. “Pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso, diventando simile agli uomini” (Fil 2,6s). Se Gesù fosse venuto da Dio, non si sarebbe fatto capire, non si sarebbe fatto realmente intercettare. E’ venuto in forma di uomo, ma in quale di forma di uomo è venuto?

Se fosse toccato a Mosè preparare il protocollo della sua visita, forse lo avrebbe immaginato come un generale invincibile, capace di sbaragliare tutti i faraoni del mondo, impegnato a tagliare in due tutti i mari della terra per farvi passare all’asciutto gli umiliati, i poveri e gli oppressi.

Se fosse toccato a Giovanni Battista dettargli l’agenda, probabilmente lo avrebbe fatto venire come un giudice inflessibile, che insedia il tribunale di Dio per fare pulizia nella sua aia e incenerire le erbacce della sporcizia umana con fuoco inestinguibile.

Se fosse toccato a rabbi Gamaliele, il maestro di Saulo di Tarso, forse lo avrebbe fatto venire come un rabbi erudito e ben ferrato, che distribuisce pillole di saggezza dall’alto della sua cattedra magistrale a discepoli affamati di regole e di rubriche, per non incorrere neanche nell’infrazione più minuziosa.

Se fosse toccato a Caifa, forse gli avrebbe fissato un protocollo esatto e meticoloso per un sommo sacerdote d.o.c. che si voglia scrupolosamente impeccabile sotto il profilo della più puntigliosa purità rituale e cultuale.

Se fosse toccato a Simone lo Zelota, forse gli avrebbe scritto il copione del Messia, certo, ma di un Messia che avrebbe dovuto spodestare la coorte romana agli ordini di Ponzio Pilato, per restaurare il glorioso regno di Israele.

Niente di tutto questo. Il Figlio di Dio è apparso in mezzo a noi non da Dio, ma da uomo, anzi “assumendo una condizione di servo, facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce” (Fil 2,7.8). “Da ricco che era, si è fatto povero” per noi (2Cor 8,9). E’ venuto come un piccolo bambino, inerme e bisognoso di tutto. Un bambino come tanti, che i pastori devono poter riconoscere come fosse un loro figlio, il quale, quando nasceva, veniva “avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia”, quindi senza alcun tratto strabiliante da esibire. Lo straordinario del Natale è il paradosso che la manifestazione del divino si priva di ogni straordinarietà.

 

3. Perché è avvenuto?

Lo ripeteremo tra poco, in ginocchio: “per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo”. Gesù si è fatto come noi per farci come lui. Si è unito al destino di ogni uomo per associare ogni uomo al proprio destino. L’evento dell’incarnazione è la prova del nove del più gratuito amore da parte di Dio, che “ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito”. E l’assoluta gratuità della venuta di Gesù in mezzo a noi è ulteriormente confermata dal “sacrificio” che questa “operazione” gli è costata, come canta estasiato s. Alfonso: “Ahi quanto ti costò l’avermi amato!”.

Non possiamo però dimenticare che l’evento del Natale sia un evento datato, non solo all’origine ma anche nella ricorrenza. Il Natale è avvenuto più di duemila anni fa in uno dei periodi più crudi della storia, ma anche oggi la sua ricorrenza cade in un momento drammatico, a causa della devastante crisi finanziaria.

Non c’è Natale senza gioia, ma è possibile la gioia in questo Natale? Se lo chiediamo al nostro beato Alberto Marvelli, ci potrebbe rispondere che anche gli ultimi Natali della sua vita sono stati particolarmente critici. Erano i Natali della guerra, dei bombardamenti aerei e navali che hanno distrutto Rimini al 90%, procurando oltre mille vittime civili. Poi sono venuti gli anni difficili e pesanti della ricostruzione e Alberto è stato l’ingegnere manovale della carità. Cosa ha permesso ad Alberto di esprimere tanta solidarietà, sia a livello individuale che ecclesiale e politico? A mio avviso sono stati due fattori: la coscienza di appartenere al popolo di Dio, la gioia come frutto della carità cristiana.

Gesù non è venuto ad aprire un’accademia di devoti, ma per fare di noi il suo popolo. A noi popolo di Dio in cammino tocca testimoniare il plus-valore della fede nel messaggio del Natale, che è questo: Dio è Padre e sa far convergere al bene tutto, anche le prove più dure. Gesù è il Signore della storia e, se ci lasciamo guidare da lui, abbiamo motivo di sperare nel futuro. Noi siamo tutti figli dell’unico Padre e siamo chiamati ad essere la luce del mondo.

La gioia del Natale dunque è possibile, purché le nostre lampade abbiano a portata di mano l’ossigeno della fede, il combustibile della carità, la scintilla della speranza. Che questa fiamma riaccesa a Natale non si spenga mai più: nel nostro cuore, nella nostra città, nel nostro paese, nel mondo intero.

+ Francesco Lambiasi