Una vita fatta di cielo

Omelia pronunciata dal Vescovo in occasione del 1° centenario della morte della Serva di Dio, Madre Teresa Zavagli, Fondatrice delle Suore Francescane Missionarie di Cristo – Rimini, Chiesa di s. Agostino, 6 novembre 2010

Gesù ci ha parlato, ed è esplosa la nostra acclamazione esultante: Lode a te, o Cristo! Gesù ci ha parlato di risurrezione e di vita intramontabile, e si è spalancato al nostro sguardo rapito l’incredibile orizzonte di cieli nuovi e terra nuova. Gesù ci ha parlato del Padre dei cieli, che intreccia il suo nome con quello dei suoi figli, e si è cancellata dalla nostra mente spesso farneticante la balzana, anzi malsana idea di un monarca che regna gelido e triste su uno sterminato cimitero di cadaveri. Gesù ci ha parlato e ci ha detto che il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe non è il Dio dei morti, ma dei viventi. Pertanto non lo possiamo abbigliare con la divisa di general manager della più grande agenzia funebre della storia. Cantava padre Turoldo: “Dio, per te non esiste la morte / noi non andiamo a morte per sempre /il tuo mistero trapassa la terra / non lascia il vento dormire la polvere”.


1. Cancelliamo ogni squarcio d’azzurro al di sopra delle nostre teste, e ineluttabilmente la terra si riduce a una steppa mesta e desolata, e la vita si fa malinconicamente incolore, inodore, insapore. Eliminiamo ogni traccia di cielo, e fatalmente ci diventa incomprensibile la vita di madre Teresa Zavagli, che – come recita con tocco poetico il titolo del libretto commemorativo del 1° centenario del suo transito – “coglieva fiori di Cielo sull’arduo sentiero”.

Noi oggi siamo chiamati a non archiviare troppo in fretta il libro della sua vita e a tenerci al riparo dalla deriva di due pregiudizi fatali: scambiare la semplicità con la banalità; allontanare la santità dalla vita ordinaria. Il rotolo del cammino di fede di madre Teresa li smentisce entrambi, in modo netto e inequivocabile. La banalità – lo sappiamo – è una caratteristica dei messaggi superficiali, che sono come figure piane, cioè del tutto prive di profondità; basta ispezionarne la superficie, e dopo la prima volta non c’è più niente da scoprire, niente da esplorare. Madre Teresa ha scritto poco; è stata donna di contemplazione, ma di una contemplazione, che non si perdeva tra le nuvole, ma si traduceva immediatamente in azione. Per il giorno del suo funerale, il settimanale riminese l’Ausa scriveva: “Le vie più remote della nostra Rimini, le contrade che mettevano all’Ospedale o alle case dei sofferenti furono quelle da lei più di sovente battute, come le chiese più modeste della città, accoglievano i suoi segreti colloqui col suo Dio in Sacramento”.

In secondo luogo l’autentica santità non mette mai lo straordinario in conflitto con l’ordinario: per vivere la pienezza vertiginosa dell’intimità con Dio e la totalità della comunione fraterna non si richiede di affossare la vita. E’ vero che la storia di madre Zavagli è interamente abbracciata dalla spiritualità della rinuncia e del distacco dal mondo, ma sempre nella lucida consapevolezza che non si tratta tanto di fuga quanto di purificazione. E’ appunto l’involucro della banalità che deve cadere, perché si possa riguadagnare la vita in modo diverso e più alto. Ed è così che la voce di madre Teresa ha alzato il volume della storia della nostra città, e non solo.


2. A un secolo esatto dalla sua nascita al cielo, l’attualità del messaggio di madre Teresa si può misurare con il metro dell’ultimo nome della Congregazione, suggerito dalla sua figlia più luminosa, la beata Maria Rosa Pellesi: Suore – Francescane – Missionarie – di Cristo. Sono quattro note che cesellano il profilo genuino del vostro Istituto, carissime Sorelle “di s. Onofrio”, e per coglierne lo spessore di senso, dobbiamo partire dall’ultima nota: “di Cristo”. Anche se questo complemento di specificazione viene a chiudere la denominazione dell’Istituto a cui appartenete, logicamente e teologicamente esso è prioritario e sorregge tutto l’essere e l’operare della vostra Congregazione. “Di Cristo”: in quel “di” è contenuto il motivo ultimo della vostra famiglia religiosa, il segreto della sua vera vitalità. Una sillaba breve come un respiro, quel “di” contiene la forza di un legame indistruttibile e bidirezionale: significa che voi appartenete a Cristo e Cristo appartiene a voi. Come quando nel vangelo si dice che Dio è il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Come quando Teresa di Gesù Bambino o Charles de Foucauld – solo per fare due nomi di santi contemporanei della serva di Dio Teresa Zavagli – parlano del “Gesù di Teresa o di Charles”: se quel legame si spezza, è il nome stesso di Cristo che si dissolve. Se io-tu-noi non ci lasciamo salvare da Cristo, io-tu-noi rendiamo vana la sua croce e la sua morte e Cristo per me-te-noi non è più il Salvatore e noi non disegniamo più in modo credibile il suo santo volto di Redentore.

Da qui discende il radicalismo della consacrazione religiosa, nota essenziale di ogni sequela evangelica. La radice, la qualità e la misura della radicalità evangelica non è tanto originata dal distacco dal mondo, ma dalla appartenenza all’unico Signore. Si comprende così che il distacco evangelico non significa necessariamente separazione. La totale appartenenza al Signore va intesa secondo la splendida forma paolina della 1.a Lettera ai Corinzi: “Tutto è vostro: il mondo, la vita, la morte, il presente il futuro, ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio” 3,21-23). Questa espressione non rivendica soltanto la libertà di fronte a Paolo, Apollo, Cefa, ma di fronte a tutto. E dice con chiarezza l’unica relazione di cui il cristiano debba gloriarsi: “Voi siete di Cristo”. L’affermazione di Paolo è attraversata dalla tensione dell’appartenenza: è dalla totalità e dalla radicalità dell’appartenenza che discende l’esigenza e la misura della libertà di fronte a tutte le cose.

E’ dall’appartenenza a Cristo che discende la nota della fraternità-sororità della vita consacrata. Voi siete “suore”, cioè sorelle, perché siete di Cristo, e non il contrario. Voi non state assieme per motivi di efficienza apostolica. Può essere in parte vero che l’unione fa la forza, ma non è sufficiente. Ciò che giustifica pienamente la vita fraterna è l’amore di Cristo: “Congregavit nos in unum Christi amor”. Voi vivete insieme perché vi ha riunito l’amore di Cristo. All’inizio della vostra fraternità c’è l’amore di Cristo per voi e l’amore vostro per lui. Voi state assieme perché Cristo vi ha amate e vi ha chiamate, e anche perché avete risposto a questo amore. Così vi voleva la vostra Madre: “Le Sorelle abbiano un vero spirito di carità, di unione, affinché, tutte insieme, siano un cuor solo e un’anima sola; investite tutte di un medesimo sentimento, di una medesima volontà”.

3. Carissima Sorella Missionaria Francescana, l’amore di Cristo ti ha fatto dono delle tue sorelle, perché, con la loro stessa presenza, ti sorreggessero nella fede, nel tuo cammino di amore, con Cristo, nello Spirito, verso il Padre. A differenza della fraternità di sangue, per cui uno le sorelle o i fratelli se li trova, non se li sceglie, la fraternità religiosa deve positivamente scegliere – non nel senso di selezionare o, peggio, di discriminare, ma nel senso di accogliere positivamente e di accettare quotidianamente i fratelli o, nel vostro caso, le sorelle che ti trovi affianco. Ogni giorno il tuo occhio deve diventare limpido e, guardando le sorelle, devi vederle e trattarle come vedessi e trattassi il tuo Signore. Ogni giorno si deve acuire il tuo sguardo di fede e, guardando le sorelle, devi dirti: ci ha riuniti qui, per diventare una cosa sola, l’amore di Cristo! E potete restare riunite e unite, solo riamando Cristo in queste sorelle!

Così abbiamo già detto molto della nota francescana che vi qualifica. Che cosa significa essere oggi suore francescane? Significa che la vostra è una fraternità francescana, che suppone cioè una coltivata spiritualità di comunione e si traduce nella forma della vita a piccole comunità, riunite in conventi. Ma qui vorrei provare a declinare la nota della “francescanità” sul piano inclinato della povertà. Voi volete vivere la vita delle Missionarie Francescane per i poveri, con i poveri, come poveri. Per i poveri: i poveri devono essere costantemente tenuti presenti, mai dimenticati. In qualsiasi ambiente si lavori, gli sforzi saranno orientati a loro favore. Con i poveri: in solidarietà con loro, una solidarietà che è tale quando non è episodica o intermittente, ma continua e permanente, sia nel campo dell’assistenza che in quello della promozione umana e sociale. Come poveri: è la testimonianza della condivisione della stessa vita. L’esperimentare nella propria carne le sofferenze, le umiliazioni, le insicurezze, le rivolte dei poveri, è un vero fermento di quella rivoluzione di cui ha parlato il nostro Don Oreste e il nostro santo padre Benedetto XVI. Con semplicità disarmante Madre Teresa diceva alle sue prime: “Ricordatevi che siete le Poverelle di Cristo”.

Ma oggi non bisogna dimenticare che i poveri più poveri sono coloro che non credono e che sono i consapevoli o, più spesso, inconsapevoli cercatori di Dio. Se il povero di pane o di dignità è l’immagine umiliata di Dio, il povero di fede è l’immagine depauperata di Dio. Se il povero è la copia reale e quasi “fisica” di Cristo povero, il non credente ne è una immagine mutila, che va restituita alla sua potenziale pienezza. Noi oggi viviamo in un mondo che ha bisogno di una nuova evangelizzazione. Allora si deve ricordare che l’evangelizzazione accade quando un povero – il credente – dice ad un altro povero – il non credente – dove insieme potranno trovare il pane da mangiare: il pane della fede.

Carissime, siate sorelle innamorate di Cristo fino alla follia e sarete donne felici. E sarà proprio la vostra perfetta letizia il linguaggio più credibile ed efficace per amare quelli che non credono e contagiare loro il messaggio del vangelo.

A voi, Suore-Francescane-Missionarie-di Cristo, io oggi riconsegno il piccolo testamento di Rimini: “Vi raccomando caldamente  di essere sempre fedeli alle promesse fatte, di amarvi sempre scambievolmente, di volere sempre bene ai sacerdoti e di obbedire ai pastori della santa Chiesa di Dio”.

Che la beata Vergine Maria, il modello più alto delle donne consacrate, vi guardi, e madre Teresa, insieme alla beata Bruna Rosa, vi sorrida.

Buon cammino!


+Francesco Lambiasi