Servire la vita, non servirsene. Un impegno per tutti

Omelia – Giornata per la Vita 2008

“Gesù si trova di fronte ad una umanità dominata dai potenti, da autorità che cercano i propri interessi; una umanità suggestionata dalla bramosia del sesso, del denaro, del potere. Gesù scarta questa società e vuole restituire l’umanità a se stessa, così come l’ha pensata Dio, dove tutti sono felici. Infatti il regno di Dio non è riservato agli intelligenti di questo mondo, ai colti, agli uomini che ‘contano’ (soprattutto per il denaro), ma a chi ha il coraggio di amare, a chi è affamato e assetato di giustizia, a chi ha un cuore che si commuove vedendo la miseria altrui, a chi si basa sulla forza della verità e non sulle trappole umane. Il Regno è riservato a chi è disponibile a farsi trapiantare un cuore nuovo, a lasciarsi immergere nell’amore di Dio, il quale trova spazio senza limite negli umili che sentono che vale la pena spendere la vita solo per lui, il Signore”.

Sto citando il commento steso da don O. Benzi al vangelo di oggi, e riportato nel suo prezioso librettino, Pane quotidiano.

1. Ma adesso mi dovete consentire un’altra citazione, tratta dal libro del Papa su Gesù di Nazaret. Nel capitolo dedicato al discorso della montagna, Benedetto XVI introduce la riflessione sulle beatitudini evangeliche con queste parole:

“Le singole affermazioni delle beatitudini nascono dallo sguardo di Gesù verso i suoi discepoli; descrivono per così dire lo stato effettivo dei discepoli: sono poveri, affamati, piangenti, odiati e perseguitati (cfr Lc 6,20ss)… Le beatitudini sono promesse nelle quali risplende la nuova immagine del mondo e dell’uomo che Gesù inaugura, il <rovesciamento dei valori>”.


Dunque le beatitudini non sono l’antitesi neotestamentaria del Decalogo;  sono piuttosto radicate in una lunga tradizione di messaggi veterotestamentari. Sia nei rotoli dei profeti che nei libri sapienziali si era delineata un’etica nuova della vita, fondata sulla mitezza, sulla purezza del cuore, sulla misericordia, su un misterioso riscatto ultraterreno dei perseguitati.

Qual è allora la novità apportata dal discorso della montagna? Nelle beatitudini evangeliche non c’è solo una sapienza della vita né tanto meno un’arida raccolta di norme morali. C’è un volto, un cuore: c’è Gesù, la sapienza di Dio incarnata nella storia. E’ stato detto giustamente che le beatitudini di Cristo sono il suo autoritratto. Prendiamo la prima e l’ultima beatitudine. Nella prima abbiamo il Maestro che non solo parla dei poveri e li dichiara beati, ma è lui  che – scriverà Paolo – “da ricco che era si è fatto povero” (2Cor 8,9). Ma è soprattutto l’ultima beatitudine ad accendere un faro sull’identità assolutamente inedita del Figlio di Dio: “Beati i perseguitati…”. E’ lui l’agnello immolato, crocifisso, morto e risorto, che ha già vissuto l’ostilità e la persecuzione e così è entrato nella gloria del Padre. Le beatitudini resterebbero una utopia fumosa e confusa, se Gesù non le avesse vissute nella propria pelle.

Ma se nelle beatitudini si specchia il volto e il cuore di Cristo, allora in esse si riflette anche il volto di Dio. E’ lui il Padre misericordioso e tenerissimo dei poveri, dei miti, degli affamati e assetati di giustizia, degli oppressi, dei perseguitati. Non è vero che Dio sia imparziale, se per “imparziale” si dovesse intendere un dio ugualmente indifferente verso tutto e tutti, un diplomatico equilibrista tra ricchi e poveri, tra vittime e carnefici. No, Dio ha un “debole” per i suoi figli più deboli.


2. Quest’ultima affermazione ci introduce nella riflessione sul tema della XXX Giornata della Vita, che oggi celebriamo: “Servire la vita, non servirsene”. Per i vescovi italiani il dramma dell’aborto non può essere contenuto e sconfitto se non si promuove la responsabilità nella maternità e paternità. Questo equivale a considerare i figli “non come cose” o motivo di gratificazione dei genitori. Un figlio non è mai un diritto né un ingombro; è sempre e soltanto un dono: lo si desidera e lo si accoglie. Non è mai un oggetto su cui esercitare un diritto di generazione e di proprietà.

La passione della comunità cristiana per la vita è a 360 gradi e quindi il messaggio dei vescovi ne chiede la salvaguardia sul posto di lavoro e sulla strada, come pure domanda di amare la vita anche quando è scomoda e dolorosa “perché una vita è sempre e comunque degna in quanto tale”. Il diritto alla vita vale anche per chi è gravemente malato, per chi è anziano o perde lucidità e capacità fisiche. Di qui l’affermazione perentoria: “Nessuno può arrogarsi il diritto di decidere quando una vita non merita più di essere vissuta”.

Una riflessione più approfondita e urgente merita in particolare la grave e delicatissima questione dell’aborto, tenendo presente anche il progresso scientifico relativo alla sopravvivenza dei bambini prematuri. Diventa davvero inammissibile procedere all’aborto ad una età del feto nella quale egli potrebbe vivere anche da solo. Oggi un feto nato alla 23.a settimana di gestazione ha il 30% di possibilità di sopravvivere, 55% alla 24.a e 72% alla 25.a settimana.

Al riguardo noi di Rimini non possiamo dimenticare il “testamento etico” di don Benzi. Don Oreste aveva avanzato una serie di proposte  per riformare la 194: istituire a livello nazionale un difensore civico della vita nascente, per verificare la legalità dei motivi addotti per autorizzare l’aborto e valutare l’eventuale complicità dei medici. Avviare in ogni comune l’assessorato alla maternità. Costituire un fondo nazionale per garantire ad ogni donna incinta il diritto di poter accogliere con dignità il figlio portato in grembo. Riformare i consultori. Prevedere l’obiezione fiscale dei contribuenti desiderosi di devolvere una cifra simbolica delle tasse non a interventi di morte, ma a progetti di vita. Assistere i bambini vitali dopo l’aborto a 23-25 settimane. Aiutare le minorenni in difficoltà a comunicare la gravidanza in famiglia. Prevedere misure più severe contro l’induzione all’aborto da parte di partner, genitori, datori di lavoro. Invitare i medici cattolici a non limitarsi all’obiezione di coscienza, ma ad operare fattivamente in favore della vita nascente all’interno degli ospedali.

Insieme all’annuncio e alla denuncia, è giusto e opportuno oggi ringraziare il “popolo della vita”: i genitori responsabili e altruisti; i sacerdoti, religiose/i, gli educatori e insegnanti, gli adulti e nonni. Grazie anche ai responsabili delle istituzioni che aiutano e incoraggiano i genitori; al mondo sanitario e ai volontari grazie ai quali tanti bambini vedono la luce; alle famiglie che si prendono cura dei propri anziani, alle persone di ogni nazionalità che assistono con ogni dedizione i non autosufficienti.

Faccio mia la conclusione profetica e lungimirante del messaggio della CEI: “Voi che servite la vita siete la parte seria e responsabile di un paese che vuole rispettare la sua storia e credere nel futuro”.

A voi anch’io dico: grazie!