Lucia, una esplosione di luce

Omelia tenuta dal Vescovo nella festa di s. Lucia

Una santa di luce. Figlia del sole di Sicilia, Lucia – nome che deriva da “luce” ed è tutto un programma – veniva raffigurata in antico non solo con gli occhi posati nel vassoio, ma anche con una lampada accesa in mano, come una delle ragazze sagge e previdenti di cui ci ha appena parlato il vangelo. Il suo ricordo, almeno fino a un recente passato, era molto popolare nei paesi scandinavi e veniva celebrato da gruppi di ragazze incoronate di candele accese.

1.  Santa Lucia quest’anno ci recapita un messaggio di luce, incastonato tra due versetti evangelici. Il primo si trova nel vangelo di Giovanni, in cui Gesù presenta, per così dire, la sua carta di identità e si autoaccredita con una dichiarazione decisa e decisiva: “Io sono la luce del mondo“. Ecco da dove Lucia ha captato la fiamma che ha illuminato tutta la sua vita. L’ha captata da Cristo, “la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Gv 1,9), la luce che “ha fatto brillare la vita per mezzo del Vangelo” (2Tm 1,10).

Noi siamo fatti per la luce, eppure spesso ci ritroviamo come naufraghi sbattuti in un mare di oscurità. Siamo sommersi fino al collo nella notte buia dell’errore, del dubbio, del pregiudizio, perfino della falsità e della menzogna. Talvolta siamo letteralmente infastiditi della luce, come capita agli occhi malati, al punto da respingerla o addirittura da irriderla: “La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno vinta” (Gv 1,5). Questa è una vera, buona, bella notizia: Gesù è la luce che non si lascia inghiottire dal buio del mondo.

Gesù è venuto a svelarci la verità di Dio. E’ venuto ad aiutarci non solo a non sbagliarci su Dio, ma a dischiuderci fessure sul suo mistero. Per Gesù Dio non è l’occhio minaccioso e incombente, racchiuso in un gelido triangolo, che mi vede dappertutto per poi cogliermi in fallo. Non è un arcigno sorvegliante. E’ il custode premuroso che mi guarda con tenerezza, sempre pronto a rialzarmi quando cado, ad incoraggiarmi quando crollo, a starmi vicino nell’ora della paura. E nell’ora della prova. Gesù ci ha insegnato a pregare il Padre di “non abbandonarci alla tentazione”, nel senso di “non farci entrare nella tentazione” e anche di “non abbandonarci alla tentazione quando ci fossimo già entrati”. Dio mi vede sempre. Mi scruta dappertutto. Ma per lui il verbo vedere fa rima con il verbo provvedere, non con i verbi minacciare, punire, farci cadere.

2. Ma Gesù non proclama solo: “Io sono la luce del mondo”. Ci dice pure, ed è l’altro versetto evangelico, a cui accennavo all’inizio, in cui ci rivela la nostra identità più autentica e la nostra missione più esaltante: “Siete voi la luce del mondo” (Mt 5,14). E’ una affermazione che ci sorprende. Che Gesù sia luce del mondo, il vangelo di Giovanni ce lo ha detto e ripetuto: ci crediamo. Ma che anche noi siamo luce, e addirittura luce del mondo, che lo siamo anch’io e tu e tutti noi discepoli di Cristo, con tanti limiti e tante ombre, questo appare davvero incredibile o quanto meno eccessivo. Certo, siamo “luce da luce”: siamo luce riflessa che parte da Gesù e arriva al mondo. Ma lo siamo solo se ci lasciamo illuminare da lui, il nostro unico Maestro, e se ci impegniamo a illuminare quanti sono nel nostro raggio d’azione. Lo siamo non con le prediche, ma con le pratiche, con le buone opere. “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5,16). Le “opere buone” non sono le pratiche religiose né gli esercizi ascetici. Sono le opere dell’amore e del servizio: “Chi ama suo fratello, rimane nella luce. Ma chi odia suo fratello, cammina nelle tenebre e non sa dove va, perché le tenebre hanno accecato i suoi occhi” (1Gv 2,10s).

3. Le opere buone sono le opere di carità, e la prima carità è quella nei confronti del prossimo più prossimo. E’ la carità di vicinato. So di persone che fanno ogni giorno la spesa per la nonnina dell’ultimo piano. So di coppie anziane che si prendono cura di un bambino quando la sua mamma deve andare al lavoro o anche solo alla scuola per ritirare il figlio più grandicello. So di maestre in pensione – o anche non in pensione – che danno una mano a fare i compiti a bambini che non possono avere alcun aiuto in famiglia. So di uomini che si adoperano per portare in auto alla visita medica chi da solo non è in grado di muoversi da casa. So di vicini o condomini che sopportano con pazienza qualche molestia che può venire da un vicino con disabilità psichica, incoraggiando così anche i suoi familiari – spesso umiliati da recriminazioni senza cuore – a portare un peso non piccolo.

Ma ci sono persone o nuclei familiari che hanno bisogno di un sostegno assiduo. Può essere utile o necessario segnalarli alla Caritas. Ma questa segnalazione non ci esime dall’attenzione e amicizia personale.

Ci sono poi i poveri senza lavoro e senza casa. Quelli che sono costretti a saltare quasi ogni giorno i pasti. O che sono indotti a indossare vestiti laceri e sporchi. O ad andare in giro con le scarpe sfondate e a dormire sotto i ponti e dentro i cartoni. Quelli che non possono comprare le medicine per curarsi. O il biglietto del treno per andare a trovare i propri familiari. O un mazzo di fiori da portare sulla tomba dei propri cari. E c’è la miseria più spietata che degenera in delusione e disperazione, al limite in violenza. O quella che non riconosce il diritto a frequentare la scuola, ad imparare le parole adatte per chiedere aiuto o per rivendicare i propri sacrosanti diritti.

Ma dobbiamo dire un no senza se e senza ma alla cultura dello scarto di chi dice: “i guai li ha chi se li merita”; “che cosa vengono a fare questi da noi?”; “questa è gente di un’altra religione”. E’ per questi fratelli e sorelle e per quanti rischiano di rimanere soli a Natale che abbiamo lanciato l’invito ad accogliere un povero o un anziano a pranzo in quel giorno.

Ricordiamo il monito di s. Ignazio di Antiochia, vescovo e martire dei primi tempi della Chiesa: “Meglio essere cristiani senza dirlo, che dirlo senza esserlo!”.

Sorella, Fratello, santa Lucia ha vissuto una vita di luce. Anche tu puoi compiere opere di luce. E sono le opere dei miti, dei giusti, dei puri di cuore, dei poveri in spirito. Sono le opere alternative alle scelte del mondo. Quando tu segui come unica regola di vita l’amore, allora sei luce per chi ti incontra. Quando due sulla terra si amano, diventano luce nel buio, lampada ardente ai passi di molti. Illumina altri e ti illuminerai. Rialza altri e ti rialzerai. Salva altri e ti salverai. Non ripiegarti sulle tue storie, sulle tue ferite, sulle tue sconfitte. Chi guarda solo a se stesso, rimarrà oscuro e spento: non si illuminerà mai.

Santa Lucia è anche la santa dei doni. Quest’anno chiediamole il dono della spina dell’inappagamento: di non sentirci mai appagati fino a quando non diventeremo cristiani colmi di gioia e trasparenti di luce.

Savignanosul Rubicone, Chiesa di s. Lucia, 13 dicembre 2017

 +Francesco Lambiasi