Rendiamo grazie gli uni per gli altri

La gratitudine pastorale

Omelia del Vescovo per la Messa crismale

L’assist per questa omelia mi viene servito dal prefazio che tra poco canterò anche a nome vostro, prima di entrare insieme con tutti voi all’inizio della grande preghiera eucaristica. In quell’inno, di una vigorosa e solenne semplicità, proclameremo che è veramente cosa buona e giusta rendere grazie sempre e in ogni luogo a Dio Padre santo, il quale ha costituito suo Figlio sommo sacerdote della nuova ed eterna alleanza. Il motivo per liberare dai nostri cuori ondate di commossa gratitudine è perché abbiamo ricevuto due doni stupendi e immeritati: il dono del sacerdozio regale conferito con il battesimo a tutto il popolo cristiano e il dono del sacerdozio ministeriale partecipato ad alcuni fratelli mediante l’imposizione delle mani. Così ci siamo proprio tutti dentro l’abbraccio di questa grazia misericordiosa: voi e noi. Permettetemi allora di formulare con appena due parole il tema di questa riflessione: la gratitudine pastorale.

Ci sono passi evangelici nei quali si raccomanda di svolgere un servizio pastorale con uno stile di assoluta gratuità, senza pretese e senza rivendicazioni, senza il minimo interesse o alcun profitto personale. Gesù non solo insegna che non deve sapere la mano sinistra ciò che fa la destra (Mt 6,3). Ma con una parabola ricorda pure che anche a sera tardi i servi devono essere a disposizione del padrone, senza recriminare per presunti torti subiti, senza reclamare speciali riconoscimenti, senza ambire titoli roboanti, senza vagheggiare medaglie e pergamene. Alla fine di una lunga giornata di pesante lavoro e di caldo insopportabile, quei servi devono piuttosto considerarsi servi inutili. Perché hanno prestato servizio senza cercare l’utile proprio, ma in modo totalmente gratuito. E’ vero: nella logica evangelica la gratitudine non si può pretendere mai, per niente e da nessuno. Ma quando la si incontra, costituisce pur sempre una lieta sorpresa che spalanca il cuore e lo addolcisce. Lo stesso Gesù non cerca la gratitudine, ma la gradisce. Dei dieci lebbrosi guariti uno solo “tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù per ringraziarlo. Era un samaritano”. Un gesto che Gesù si sarebbe volentieri aspettato anche dagli altri nove: “Non ne sono stati guariti dieci? E gli altri nove dove sono?” (Lc 17,17).

Ma ora il discorso si allarga al circolo virtuoso della gratitudine: del prete verso la sua gente, della gente verso i suoi pastori. Quanti preti umili, laboriosi, senza pretese e senza miraggi, troverebbero slancio e grinta in qualche gesto in più del vescovo, dei confratelli e dei fedeli. Certo, noi pastori dobbiamo sempre ricordare che non siamo più buoni, più bravi, più santi e meritevoli dei nostri fratelli e sorelle laici. Siamo battezzati, gratificati da una grazia sacramentale, che ci ha fatti segni efficaci di Cristo, capo e pastore del suo popolo. Questa è una grandissima responsabilità, accettabile e sostenibile solo per grazia: ma questa grazia ci è stata data gratis, e noi dobbiamo crederci e ravvivarla in noi (cf 2Tm 1,6). Il pastore sa bene – e se è il caso, lo ricorda a tutti – che il servizio non deve essere indirizzato alla sua persona, ma al Vangelo. E difatti egli ringrazia Dio a nome di Cristo, non a nome proprio. Dio è ricco di gratitudine, e di questa gratitudine il pastore deve essere il segno limpido e trasparente.

Inoltre i fedeli che ci sono stati affidati non possiamo considerarli mai né come un peso duro e fastidioso, né come un premio ambito e meritato, ma solo come un dono gratuitamente ricevuto, che perciò deve essere custodito con gratitudine e coltivato con tenerezza. Così Gesù ha considerato i Dodici: “erano tuoi e li hai dati a me”, dirà di lì a poco al Padre suo. Così si propone san Paolo rispetto ai fratelli e sorelle della comunità di Corinto: “Noi non intendiamo fare i padroni della vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia” (2Cor 1,24). E in tutte le sue sette lettere, tranne che in quella ai Galati, san Paolo parte sempre da un sentito, commosso ringraziamento a Dio Padre per la grazia della comunità ivi radunata e per il bene che in essa si opera. Ad esempio, nelle prime righe della lettera ai Filippesi, scrive: “Rendo grazie al mio Dio ogni volta che mi ricordo di voi. Sempre, quando prego per tutti voi, lo faccio con gioia a motivo della vostra cooperazione per il Vangelo, dal primo giorno al presente” (Fil 1,3-4). Prima la gratitudine, poi le raccomandazioni, poi i rimproveri e le correzioni.

Ma la gratitudine non si esprime soltanto con un grazie – parola, del resto, che nessuno dovrebbe vergognarsi di dire – ma anche con un tratto di simpatia, con un tocco di tenerezza e di cordiale apprezzamento, con segni e gesti che mostrino che si è attenti alla persona, alla sua fatica e alla sua stanchezza. Succede spesso, invece, che le persone che svolgono un servizio, vengano automaticamente identificate con la funzione che esercitano. Mentre sono persone che, come tutte le persone, possono essere stanche, deluse, bisognose di una parola o in attesa di un gesto di conforto. Il pastore buono è attento prima alle persone che al servizio che offrono.

Oggi ci occorre una nuova Pentecoste: che il Signore rinnovi in noi pastori l’effusione dello Spirito della nostra ordinazione: che ci renda vivi e vivaci, potenti ed efficaci nella grazia del Signore, anche se siamo stanchi, anziani, incerti sul da farsi. Che lo Spirito Santo riscatti tutti noi, pastori e fedeli, dal “si è sempre fatto così”, dallo scoraggiamento, dall’amarezza che talora ci prende di fronte a situazioni sorde e complesse, mentre ci tocca affrontare strati di nebbia e desolati deserti, senza un filo di vita. La vivezza dello Spirito non è data dall’età, né la potenza della sua efficacia dall’originalità delle opere e delle attività, ma dalla sua azione in noi. Noi siamo stati assunti dallo Spirito e agiamo per… ‘conto Terzi’, nel nome delle tre divine Persone. Non dimentichiamo mai che la risurrezione di Gesù è un evento ancora in atto e la Pentecoste è sempre in corso…

Rimini, Basilica Cattedrale, 12 aprile 2017

+ Francesco Lambiasi