Il folle radicalismo dell’Amore

Il folle radicalismo dell’Amore

Continua a Rimini l’avventura di Chiara d’Assisi…

Omelia tenuta dal Vescovo nel corso della concelebrazione eucaristica in occasione del XXV di presenza delle Clarisse a Rimini

Cattedrale, 21 novembre 2010, Solennità di Cristo Re –

Santi non si nasce; si “ri-nasce”. Santi si diventa, o almeno si comincia a diventarlo, quando ci si decide una buona volta a imboccare il ripido sentiero della conversione. Ma come avviene una conversione? Posta in astratto, la domanda rischia di farci deragliare. Tentiamo di declinarla in concreto, nella storia di Chiara di Assisi, figlia primogenita di Favarone di Offreduccio e di donna Ortolana. Poche figure come quella di Chiara hanno colorito l’immaginario collettivo dell’agiografia cristiana. Poche ci si affacciano davanti così fresche e vivaci, così attuali e coerenti in una trama di linguaggi e di messaggi che la grazia di Dio intreccia con la travagliata avventura dei suoi figli.

1. Riandiamo dunque alla conversione di Chiara. Era la domenica delle Palme dell’anno del Signore 1212. Venuta l’ora della Messa solenne – racconta Tommaso da Celano – “la fanciulla, radiosa di splendore festivo, entra in chiesa tra il gruppo delle nobildonne”. Ma al momento di andare a ricevere dalle mani del vescovo Guido la palma benedetta, prima della solenne processione, Chiara restò assorta al suo posto, probabilmente perduta dietro quel folle sogno di vita a misura del santo vangelo, che da qualche tempo le stava incendiando il limpido cuore. Si vide allora il vescovo discendere i gradini dell’altare, per andare a portare la palma alla fanciulla “bella de la faccia”. Agli occhi di tutti parve un atto di paterna, affettuosa condiscendenza, ma Chiara ebbe la riprova lampante che Cristo veniva, per mezzo del suo ministro, a sceglierla come Sposa. La notte seguente fuggì di casa, da un uscio secondario, per non essere vista. Ed eccola sola nel buio, scendere in fretta la collina di Assisi verso s. Maria degli Angeli dove l’attendono Francesco e i suoi frati con le torce accese. Dopo aver cantato mattutino, Francesco le taglia i lunghi capelli biondi, li copre con un velo nero, e ricopre le sue bianche vesti con un saio ruvido e scuro. Comincia per Chiara la vita nuova: nel campo della Chiesa era spuntata “la pianticella” – come lei stessa amava definirsi, o “la ramicella”, come la definì il Celano – del poverello di Assisi.

Vanno riportate a margine due osservazioni. Anzitutto quella fuga notturna al chiaro di luna non va letta come la prima puntata di una stucchevole telenovela,  grondante tenerume dolciastro. Il salmo – scelto e fatto cantare appositamente da Francesco durante la tonsura di Chiara – parlava di Dio come di un generale imbattibile e travolgente, che scende in campo per incenerire eserciti nemici e schierarsi a protezione dell’anima fedele. Quel salmo equivaleva a una vera e propria dichiarazione di guerra alla città. Se era stata traumatica e aspramente contestata la scelta di Francesco di “uscire dal mondo”, che cosa sarebbe accaduto ora che perfino una fanciulla di alto rango e ammirata da tutti si lasciava travolgere dalla follia del figlio di Pietro di Bernardone, aprendo un varco che nessuno avrebbe potuto più chiudere? Si deve però  anche riflettere che la scelta di Chiara non era stata neppure un focoso sconsiderato colpo di testa, ma la conclusione di un lungo tormentato cammino fatto di scatti, di ritorni, di attese, di slanci.

L’avventura di questa “mendicante” del divino Amore – è l’altra annotazione – era cominciata quando aveva circa dodici anni. La famiglia di Offreduccio e di Ortolana era appena rientrata dal lungo esilio di Perugia, assieme ad altre famiglie nobili che avevano inutilmente osteggiato la nascita del governo comunale di Assisi. Ma trovarono la città messa a gran rumore dalle strane gesta di quel giovane borghese – impazzito? scapestrato? – che, trascinato in giudizio dal padre furibondo in pubblica piazza davanti al vescovo Guido, si era letteralmente spogliato di tutto, rinunciando a ogni eredità e scegliendo di vivere come uno straccione. Aveva gridato di non voler avere altro Padre se non quello dei cieli. Il clamore della folla e lo scalpore della “piazzata” doveva essere salito fino alle stanze del palazzo di Chiara, i cui balconi si affacciavano proprio sulla piazzetta di s. Rufino.

2. Il resto della storia di Chiara d’Assisi lo conosciamo. Ma qui mettiamo punto per coglierne l’intreccio con il vangelo di Cristo Re. Colpisce nel brano appena proclamato la solenne dichiarazione della regalità di Gesù il Nazareno. Nella mente dei capi e dei soldati, come nel testo dell’ambiguo cartiglio posto sulla croce, la provocatoria identificazione di Gesù come “re dei Giudei” vorrebbe significare il paradossale rovesciamento di quella assurda pretesa. Ma in bocca al ladrone pentito diventa l’affermazione che proprio lì, sulla croce, nel momento della più umiliante sconfitta risplende la gloria dell’amore più vero e più grande. Il tema della regalità di Cristo è molto caro all’evangelista Luca, che l’aveva evidenziato sia nel processo davanti a Pilato (Lc 23,2) sia nella volgare pagliacciata orchestrata da Erode, che aveva trattato il Galileo come re da strapazzo (Lc 23,11). Ma non meno caro al terzo evangelista è anche il tema di Cristo-Sposo, come si evince non solo dalla dichiarazione sul digiuno, che ha senso solo “quando lo Sposo verrà tolto” (Lc 5,35)  – condivisa con Marco e Matteo – ma anche dal confronto sinottico del versetto di Mc 13,33, che descrive il ritorno del padrone che vuole trovare i servitori pronti ad accoglierlo, con il parallelo di Lc 12,35, che identifica quel padrone con lo sposo che “torna dalle nozze”. E come espliciterà in modo ancora più netto il quarto evangelista, Cristo in croce è insieme re e sposo dell’umanità redenta, e la croce è il suo trono regale e insieme il suo talamo sponsale.

Qui incrociamo il punto di tangenza tra il vangelo della croce e la vocazione di Chiara: è il fascino struggente del Re crocifisso, lo Sposo divino, da cui Chiara si lascia perforare il cuore. L’autore della Legenda, parlando dei colloqui segreti intercorsi tra “l’araldo del gran Re” e la sua prima seguace – che si autodefiniva “l’ancella dell’altissimo sommo Re” – riferisce che “il padre Francesco instillava nelle sue orecchie la dolcezza delle nozze con Cristo, persuadendola a serbare intatta la gemma della castità verginale per quello Sposo beato, che l’amore ha incarnato tra gli uomini”. Ecco il segreto di Chiara: come Francesco non scelse tanto di venire in soccorso degli ultimi – erano già in molti a farlo – ma decise di farsi uno di loro e, per dirla con una immagine desunta dai nostri tempi, più che prestare soccorso ai “barboni” si fece barbone egli stesso, così fece Chiara. Ascoltando Francesco, il quale le raccomandava “che se convertisse ad Iesu Cristo” – secondo la testimonianza di Bona di Guelfuccio resa nel processo di canonizzazione – è dall’appassionato amore a Cristo, Sposo povero e Re crocifisso, che Chiara è spinta a farsi radicalmente povera e accanitamente legata alla concezione francescana della povertà. Francesco richiedeva ai suoi compagni di seguirlo sulla strada classica dei tre voti: castità, obbedienza, e paradossalmente, sostituiva la parola “povertà”, con l’espressione “senza nulla di proprio”. In effetti farsi padroni di sé è la più grande menzogna. Perciò è solo quando finalmente ottiene da papa Innocenzo IV il privilegium paupertatis che, Chiara può finalmente andarsene da questo mondo in pace e rallegrarsi con se stessa per essere stata benedetta da Dio che l’aveva creata per farla eternamente felice.


3. Abbiamo così centrato il fuoco che brucia e non si consuma nel cuore di Chiara: è il fuoco dell’amore, un amore forte e dolce che conosce lo struggimento e la tenerezza di una vergine-sposa e che lei stessa esprime con parole prese in prestito dal Cantico dei cantici: “Trascinami dietro a te, corriamo!” (1,3). Attirami, Sposo celeste! Che il tenero, appassionato abbraccio e il bacio ardente dicano ciò che le parole non ce la fanno a dire. Che il fuoco dell’amore per Te non bruci per le pagliuzze di poche idee deboli e rarefatte, ma arda della legna robusta di una vertiginosa implacabile passione. Che la risposta della fede non venga ritmata da languori e vaghi sospiri, ma conosca il cantus firmus del giubilo irrefrenabile della perfetta letizia, in una perseverante consegna nell’amore, in un abbandono senza se e senza ma, in una libertà disarmata da ogni pretesa, felice di ogni stupore, disponibile ad ogni sorpresa dello Sposo diletto. Attirami! questo è l’anelito bruciante di Chiara, l’indomita passione dalla quale si è lasciata schiantare il cuore, in una corsa folle dietro lo Sposo, senza stanchezze, senza inversioni, senza rimpianti, ritorni o ritardi. La vita di Chiara, scandalo per intellettuali e benpensanti e assurdo per i soliti maestri del sospetto, si può intendere seriamente soltanto a partire da qui, dall’aver lei creduto caparbiamente all’amore. Da qui, dall’amore, scaturisce la povertà, perché il cuore non ce la fa a contenere altre ricchezze all’infuori dell’unico vero tesoro, lo Sposo crocifisso. Da qui, dall’amore, la preghiera, perché il cuore ad ogni risveglio non riesce ad accendersi senza “mattinar lo Sposo perché  l’ami” (Dante). Da qui, dall’amore, la fraternità, perché il cuore della sposa non resiste al bisogno di condividere l’amore dello Sposo celeste con le altre “spose e ancelle” del gran Re. Da qui, dall’amore, la clausura, come ambito privilegiato per inoltrarsi nei meandri dell’unico Amore, che non sfiorisce e non muore. Insomma da qui, dall’amore, tutta la vita clariana, “acciocché nulla cosa transitoria separi l’amante dall’Amato” (Celano).

Innamorata e felice è Chiara, come lo è stato Francesco, che il primo biografo sorprendeva “molto occupato con Gesù. Gesù portava sempre nel cuore, Gesù sulle labbra, Gesù nelle orecchie, Gesù negli occhi, Gesù nelle mani, Gesù in tutte le altre membra” e che quando pregava “si leccava le labbra”, al solo ripetere il nome dolcissimo del suo Gesù. Alla scuola di Francesco, Chiara già di nome, è diventata “più Chiara per grazia, chiarissima di spirito”.

4. A questo punto, Sorelle carissime, Figlie di Chiara e Francesco, non ci resta che pregare con voi, per chiedere per tutte e ciascuna di voi una sola grazia, la grazia della fedeltà. Una fedeltà, non come fiacca annoiata ripetizione di azioni e affetti sempre uguali, ma come inossidabile crescente adesione all’unico Sposo e padrone della vostra vita. Una fedeltà lucida e appassionata allo spirito della regola francescana in versione clariana, regola da voi consapevolmente scelta e liberamente accolta. Ma non abbiate paura di  aderire anche alla lettera della regola, perché quando il fuoco arde, la lettera non uccide l’amore, ma lo tiene in vita; quando le maiuscole della “lettera” brillano, anche le minuscole splendono.

Carissime Sorelle, che il Signore vi guardi e vi rallegri per questi 25 anni di presenza tra di noi! Continuate ora ad assicurarci la vostra testimonianza, ma ricordateci che dobbiamo essere testimoni dell’amore di Dio, non di noi stessi; indice puntato sul volto di Lui, non sul nostro. Agli uomini della nostra città e della nostra Chiesa  non basta la nostra testimonianza, neppure la testimonianza della nostra santità. Il desiderio, spesso inconsapevole o per lo più inespresso, di ogni uomo è di incontrare Dio, di sentirsi da Lui amati e accolti. La vostra accoglienza di Sorelle consacrate all’unico Sposo deve rinviare oltre, sempre oltre. Perché non basta ciò che noi discepoli di Cristo possiamo dire e dare al mondo: è cosa troppo piccola. Non basta il nostro dire e il nostro fare. Non basta la testimonianza: occorre la trasparenza. Nella vostra risposta d’amore a Dio, rendete leggibile, quasi in filigrana, e immediatamente palpabile, “l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità dell’amore di Cristo”: per voi, per noi, per tutti (cfr Ef 4,18s).

Che il fuoco del carisma di Chiara, riacceso qui a Rimini 25 anni fa, non si spenga mai sotto il nostro cielo, ma arda ogni giorno di più, sempre di più!

+ Francesco Lambiasi