Eucaristia, sacramento della non-violenza

L’insostituibile valore del vino-sangue

Omelia tenuta dal Vescovo al termine della processione del Corpus Domini

Eucaristia: pane e vino; nutrimento e bevanda; corpo e sangue. Il bianco pane spezzato sta a ‘comunicare’ – nel duplice senso di dire e di dare – il corpo di Cristo irreversibilmente donato e gratuitamente elargito. La coppa di vino rosso condiviso tra i commensali è ‘sacramento’ – segno e strumento – del sangue di Cristo, totalmente versato per la nuova ed eterna alleanza. Quando nel lontano 1264 venne istituita la festa del Corpus Domini, l’altro elemento eucaristico, il vino consacrato, rimase per secoli piuttosto oscurato rispetto al pane benedetto, e da allora, nell’immaginario collettivo, il sangue rischiò di apparire una sorta di appendice al corpo di Cristo. La riforma liturgica ha rimesso in luce l’unità dei segni eucaristici del pane e del vino, per cui la titolazione della festa odierna ha incluso nuovamente l’elemento del sangue, e recita testualmente: “Festa del corpo e del sangue di Cristo”. Del resto, nell’ultima cena, Gesù non ha detto solo: “Prendete, mangiatene tutti”. Ma ha detto pure: “Prendete, bevetene tutti”.

 

1. Domandiamoci: perché il sangue nell’eucaristia? Non grava su una presenza tanto drammatica, un inquietante sospetto di crudeltà? Non si ritorna così a quella miscela esplosiva, data dall’ambigua commistione tra religione e violenza, tra sacro e sangue?

         La risposta è appesa alla croce. Se teniamo fisso lo sguardo su Gesù, lo vediamo trionfare sulla violenza non avversandola con una violenza più grande, ma smascherandola e denunciandone tutta la scandalosa ingiustizia, mettendone a nudo la crudeltà orripilante, l’indecente malvagità. Mai la violenza mostra il suo repellente ghigno beffardo come quando si abbatte con raccapricciante ferocia su un innocente disarmato, qual è il martire. Il quale non è il kamikaze, che si uccide per uccidere. Il martire, invece, si lascia uccidere per dare la vita, non per sopprimerla negli altri, perché “chi di spada ferisce, di spada perisce” (cfr Mt 26,53). Bisogna quindi onestamente riconoscere che mai la violenza viene irreparabilmente sconfitta come quando la vittima può vincere la prepotenza del carnefice con la forza disarmata e disarmante della non-violenza e con la gratuita, coraggiosa generosità del perdono. Infatti il Figlio in croce non invoca la vendetta da parte del Padre, ma lo supplica con grido accorato: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno”.

         A questo punto, però, l’obiezione di tanta gente dei nostri giorni contro la croce si ritorce contro il Padre: come conciliare la sua misericordiosa bontà con la morte straziante del Figlio crocifisso? In che senso si può e si deve parlare di sacrificio offerto al Padre? Ancora una volta la risposta è appesa alla croce. La morte di Gesù non è sacrificale nel senso che esisterebbe un patto di sangue tra Gesù e il Padre suo, come se questi esigesse la morte dell’altro per vendicare la propria giustizia offesa e il Figlio si immolasse per soddisfare un padre incollerito e assetato di sangue. In realtà Gesù muore proprio per non sottomettersi alla violenza e per non farsi ricattare da essa.

         E il Padre cosa fa? non vendica il sangue del Figlio mettendo a sua disposizione dodici legioni di angeli per sbaragliare i suoi carnefici, ma perdonando i peccatori e salvandoli. Ecco in che senso il Padre “si compiace” del sacrificio del Figlio: non nel senso pagano di una divinità che si rallegra sadicamente del sangue di un povero figlio innocente, nel qual caso sarebbe piuttosto un padre… mostro! Il Padre non tratta il Figlio da “capro espiatorio”, ma da agnello pasquale, il cui sangue non era destinato certo a ‘placare’ un dio adirato, ma a segnare i suoi eletti, e quindi a salvarli. Spiega san Bernardo: “Dio Padre non aveva sete del sangue del Figlio, ma della nostra salvezza”. Questo è piaciuto al Padre: non tanto la sofferenza del Figlio, quanto piuttosto il suo amore nel sopportare l’acerbo dolore della croce. Il Padre non si compiace di una violenza totalmente ingiustificata, inflitta al Figlio, quanto invece della non-violenza, totalmente incondizionata, della sua risposta d’amore. Ecco in che senso il sacrificio del Figlio è gradito al Padre: in quanto non dice rinuncia da parte dell’uomo a favore di Dio, ma vita di Dio impegnata a favore dell’uomo. Così la non-violenza non solo smaschera e denuncia il male della violenza, ma la sconfigge e la distrugge.

2. Oggi il problema della violenza ci assilla, ci spaventa, ci scandalizza. Noi cristiani reagiamo inorriditi nel vedere quanta violenza abbia imbrattato e insanguinato perfino i campi che dovevano essere oasi incontaminate di non-violenza, come lo sport, il gioco, l’arte, l’amore.

         Il mite papa Francesco ha alzato la voce contro tante forme di violenza che stanno insanguinando il mondo: “la tratta delle persone, la logica della carriera e del denaro, una corruzione tentacolare fino ai livelli più alti, un’evasione fiscale egoista, una vergognosa pedofilia, prostituzione, sfruttamenti, mafie, violenze contro donne e bambini, lavoro che rende schiavi, disoccupazione, capitalismo selvaggio, una politica che si preoccupa più delle banche che delle persone…”.

         Facendo eco al vescovo di Roma, anche il vescovo di Rimini sente il proprio inderogabile dovere di denunciare con voce chiara e forte varie forme di violenza presenti nella nostra città. Ne elenco alcune che risultano tra le più gravi.

         La prima è la mafia. Infiltrazioni malavitose sono ormai documentate. Il nostro territorio risulta un terreno molto appetibile e di facile accesso. In esso non è impossibile né difficile trovare complicità e connivenze. Ma il nostro tessuto morale e culturale in ambito civile ed ecclesiale è ancora sano. Il pavimento etico della casa è solido. Non vi è quel clima di paura, di rassegnazione, di passiva omertà che costituisce il terreno privilegiato per l’attecchimento della cultura mafiosa.

         Se il pavimento della ‘casa’ tiene ed è motivo di speranza, è tuttavia nostro impegno vigilare e reagire ad ogni ‘crepa’ che ne mina la stabilità. E’ perciò indispensabile che si crei e si consolidi un clima di attenzione, di vigilanza, di rifiuto attivo della cultura e del fenomeno mafioso. La mafia da noi non deve attecchire, non deve registrare in noi né paura, né rassegnazione, né silenzio! La mafia è male! Preghiamo perché venga accolto il richiamo recentissimo di Papa Francesco: i mafiosi devono convertirsi, devono cambiare mentalità e comportamento, devono cambiare vita.     

         Anche il gioco d’azzardo – un secondo fenomeno devastante – è violenza perché crea dipendenza e schiavitù. Lotto, superenalotto, lotterie, gratta e vinci, slot machines: un fenomeno globalmente in crescita preoccupante in tutto il territorio nazionale e anche nel riminese, con una rete fittissima di punti di gioco, e volumi di denaro impressionanti. Vengono così illusi spesso proprio i più poveri con la promessa di una facile fortuna, promuovendo la cultura fallace di un guadagno facile, conseguito senza lavoro e senza fatica. Il gioco è la tassa dei poveri, la tassa più iniqua! Il gioco porta a dipendenza, con conseguenze rovinose per le persone, per le famiglie e per l’intera società. Senza contare il rischio di infiltrazioni malavitose e mafiose in un settore che lo Stato, purtroppo, incoraggia, ma che solo con grande difficoltà riesce poi a controllare effettivamente. La Chiesa e la società civile devono impegnarsi a contrastare l’anticultura del denaro facile, per promuovere la cultura della sobrietà e del lavoro.

         Un terzo fenomeno di degrado umano che nessuna ordinanza sembra riuscire più ad arginare, in nome di un garantismo che lascia sconcertati, è la violenza della prostituzione. La prostituzione ben di rado è una libera scelta; molto spesso è frutto di promesse di lavoro illusorie e non mantenute, di vera e propria tratta di donne e spesso di ragazze, di una visione degradata della persona umana e del suo corpo. Nel nostro territorio il fenomeno è grave e suscita tanta tristezza. Contrastiamo decisamente la cultura della rassegnazione, come quella che propone di regolamentare il fenomeno come fosse cosa positiva, magari con la promessa di esazione fiscale.

         Fratelli e sorelle, andiamo con la forza dell’eucaristia e con la carica della non-violenza nelle “periferie della vita”, là dove il mostro della violenza allunga i suoi feroci tentacoli e celebra più spesso – troppo spesso! – i suoi macabri trionfi!

         Preghiamo.

         Dio della pace, non ti può comprendere chi semina la discordia,

         non ti può accogliere chi ama la violenza:

         dona a chi edifica la pace di perseverare nel suo proposito,

         e a chi la ostacola di essere sanato dall’odio che lo tormenta,

         perché tutti si trovino in te,

         che sei la vera pace.

         O Padre, che ci nutri con il corpo del tuo Figlio

         e ci disseti con il suo sangue vitale e fecondo,

         donaci il tuo Spirito di vera libertà, di liberante verità,

         perché diventiamo operatori di legalità e di solidarietà,

         artefici miti e forti di giustizia e di non-violenza,

         che Gesù ci ha lasciato come sua magnifica eredità.

         Per il sangue prezioso di Cristo nostro Signore

         e dei nostri martiri, da santo Stefano al beato Pino Puglisi. Amen.

Rimini, 30 maggio 2013

 

+ Francesco Lambiasi