Epifania: festa della fede

Omelia del Vescovo per la solennità dell’Epifania

Epifania: manifestazione di Cristo ai pagani, è la festa della fede, offerta a tutto il mondo. I Magi ci consegnano il loro ‘evangelo’, un messaggio provocante e insieme consolante: la fede è un viaggio. Non è un capolinea. Poveri noi, se ci consideriamo degli ‘arrivati’. Lo scrigno dei Magi contiene verità che non dovremmo mai lasciare scolorire dal nostro orizzonte. Queste, in particolare. Che la nostra vita è un cammino notturno, colmo di incanti e di paure, di nebbie e di bagliori, di incertezze e di speranze. Ancora: che Dio non è una ‘cosa’ né un puro oggetto di pensieri attorcigliati e sconnessi. Ancora: che Dio è all’origine dei nostri sogni più ardenti e dei nostri più pungenti bisogni. Ancora: che, una stella, Dio non la nega a nessuno. Insomma: che la fede è fatta di passi. Proviamo a declinarne almeno quattro di questi passi.

Il primo: credere è cercare. Si parte da una scoperta: noi non bastiamo a noi stessi. Non ci appagano le nostre piccole abitudini, né ci soddisfano le pur necessarie pratiche quotidiane dello studio o del lavoro. E nemmeno ci saziano i riti settimanali, quasi doverosi, del divertimento. Siamo abitati da una irrefrenabile voglia di cercare: una passione che si accende dopo ogni tentativo di dissetarla, ricorrendo a miscugli più o meno sofisticati. A volte è un’ansia di ricerca. Spesso un’attesa sincera. Quasi sempre una nostalgia struggente. E ci dice quanto sia ‘capace’ ed extralarge il cuore umano, e quanto profondo e ampio debba essere ciò che lo può riempire. Allora si scopre che voglia di cercare e brama di trovare non girano a vuoto. Sono una promessa, non un miraggio. E’ Dio stesso che ci ha fatto così. Ed è lui, che ha preceduto la nostra ricerca.

Un secondo passo: credere è incamminarsi. Dobbiamo uscire da noi stessi. Non possiamo ammalarci di ‘divanite’ o di ‘balconite’. Non possiamo stare sempre lì a ruotare attorno al nostro ombelico. Viviamo sulla terra, ma non possiamo vivere terra-terra. Siamo chiamati ad alzare il capo e a guardare. La vita è esodo: un uscire da sé per andare avanti, per andare oltre lo stretto perimetro dei nostri ristretti confini. La vita è un po’ come il viaggio dei Magi: è estasi, un inarrestabile trascendersi, un instancabile oltrepassarci, per andare al di sopra di noi. La stella del neonato re Messia ci precede, illumina i passi, e si ferma soltanto quando è giunta alla meta, “sopra il luogo dove si trovava il bambino” (Mt 1,9). L’appuntamento con Dio si compie nell’incontro con Gesù. E’ l’epifania: evento tangibile, irreversibile, assolutamente inesauribile.

Il terzo passo: credere è adorare. Al vedere “il bambino con Maria sua madre (i Magi) si prostrarono e lo adorarono”. Adorare è ri-conoscere: è riconoscimento della presenza di Dio e insieme riconoscenza per i suoi immeritevoli doni. L’adorazione è un lampo di luce nella notte. E’ lasciarsi stupire dalle tracce lasciate da Dio nel suo cammino lungo i sentieri della natura e le vie tortuose della storia. E’ rendergli gloria e cantargli il nostro grazie, perché la gloria, Dio, la trova nel dare e nel darsi a noi, anziché nel ricevere da noi omaggi e tributi. Nell’epifania ci è dato di riconoscere l’infinitamente grande nell’infinitamente piccolo. Ma l’adorazione è davvero un atto degno dell’uomo? Non lo umilia, forse, relegandolo al rango di un essere svilito e miseramente declassato? Ed è davvero degno di Dio avere bisogno che le sue creature si prostrino davanti a lui, come “quell’orientale avido di onori nella sua sede celeste” (Nietzsche)? No, non è Dio che ha bisogno di essere adorato. E’ l’uomo che non può fare a meno di adorarlo. Per noi l’adorazione non è un dovere né un obbligo schiacciante. E’ un privilegio, un nostro insopprimibile bisogno.

Ultimo passo: credere è cambiare strada. Così hanno fatto i Magi: “per un’altra strada fecero ritorno al loro paese”. Ora, occhio a Erode! Occhio ai sacerdoti del tempio e ai maestri della Legge! Erode usa un potere che gli serve per uccidere il bambino. Gli scribi e i sacerdoti impiegano un sapere che serve a dare indicazioni a chi lo vuole uccidere. Noi, insieme, dobbiamo trovare un’altra strada. Non ci basta vedere. Non ci basta sapere. Bisogna muoversi e compiere un esigente, ma appagante percorso di ricerca. Quanti come Erode e gli scribi rimangono arroccati nel palazzo dei propri interessi e pregiudizi, o barricati e abbarbicati nella cittadella delle proprie sicurezze, abitudini e tradizioni, non riusciranno ad incontrare Gesù.

Ma se noi avremo incontrato il Dio-bambino e lo avremo riconosciuto come la verità e la salvezza della nostra vita, allora potremo tornare alla nostra terra e al nostro quotidiano, ma portando ormai con noi un cielo nuovo e una nuova terra.

Insieme a quella “gioia grandissima” provata dai Magi.

Una gioia che niente e nessuno potrà più scipparci.

Rimini, Basilica Cattedrale, 6 gennaio 2021

+ Francesco Lambiasi