Dalla schiavitù al servizio I ministri istituiti: servi di Cristo e dei fratelli

Omelia tenuta in occasione del conferimento dei ministeri Rimini, Basilica Cattedrale, 21 marzo 2010

Liberati dalla schiavitù, chiamati al servizio; servi di tutti, schiavi di nessuno. Questa è la nostra appassionante vocazione e la missione più esaltante che possa essere affidata alle nostre fragili mani: liberati dal nostro io per servire Dio e i fratelli. I tre brani proclamati nella liturgia della Parola possono essere abbracciati con lo stesso sguardo e collocati sotto il suggestivo arco tematico del percorso dalla schiavitù al servizio.


1. Dalla schiavitù al servizio: in questo passaggio ci siamo dentro tutti. C’è  dentro, come testa di serie, Israele, con la strabiliante epopea della sua prodigiosa liberazione: da miserabile accozzaglia di schiavi è diventato popolo libero e fiero, il popolo santo di Dio. Era il tempo di Mosè. Sette secoli dopo, lungo i fiumi di Babilonia, i giudei rimpiangono con nostalgia struggente il loro luminoso passato. Ma il profeta provoca gli esuli a puntare il cuore verso l’orizzonte di un avvenire ancora più radioso e sfavillante: presto Dio realizzerà un secondo esodo, riscattando il suo popolo che geme sotto la sferza di Nabucodonosor. “Così dice il Signore che offrì una strada nel mare: Aprirò anche nel deserto una strada”. Ma il ritorno nella terra dei padri non risulterà una copia conforme della liberazione dal faraone: sarà una esperienza totalmente nuova, strepitosa; non una semplice trasmigrazione fisica, ma un esodo spirituale, una vera “pasqua”, un passaggio dalla prostituzione agli idoli muti e dall’adulterio del cuore al servizio per amore al Dio vivente, come unico signore, alleato fedele e sposo ardente del popolo eletto.

Dalla schiavitù al servizio: questo è anche il passaggio che Paolo di Tarso sperimenta nella propria pelle. “Conquistato da Cristo Gesù”, Saulo passa dalla schiavitù del legalismo farisaico – il giogo della Legge – al servizio del Vangelo. Incalzato dall’amore di Cristo, il feroce persecutore della Chiesa percorre a perdifiato lo svincolo che fa transitare dalla “spazzatura” – letteralmente, “sterco” – della minutaglia asfissiante di regole e regolette dell’uomo vecchio, alla “sublimità della conoscenza di Cristo” donata all’uomo nuovo. Saulo è liberato dal proprio io e si ritrova finalmente libero di “correre verso la meta: (…) il premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù” (II lett.). Questa audace, tenace speranza fa sentire all’apostolo l’umile fierezza di essere “schiavo” di Gesù Cristo, gli fa sprizzare dai pori la felicità di poter regalare al suo dolcissimo Signore tutta intera la propria libertà. Così non sarà più condannato allo “stress del fariseo”: dover rincorrere forsennatamente il miraggio di essere sempre il primo – e di dover restare sempre il migliore – nella puntigliosa osservanza della Legge. Nel fragile vaso di creta del suo cuore pacificato Paolo si porta lo stupefacente tesoro di essere “ministro di Cristo tra le genti, mandato ad annunciare il vangelo di Dio”. Per l’apostolo questa missione è “grazia”, dono gratuito e immeritato; è servizio santo, “ministero sacro”; è divina “liturgia” (cfr Rm 15.15s).

Dalla schiavitù al servizio: in questo tratto si colloca anche la vicenda dell’adultera, alla quale Gesù dona di passare dalla vergogna della propria miseria all’abbraccio della divina misericordia; dalla paralisi della paura per l’incombente minaccia di morte al brivido della speranza per il perdono misericordiosamente ottenuto; dal panico per l’imminente lapidazione all’improvvisa felicità di una salvezza inimmaginabile e totalmente inattesa. E anche per lei si apre una strada nel deserto delle più squallide solitudini, verso un futuro incredibile: “Va’ e d’ora in poi non peccare più”. Ora la “donna” – non più la peccatrice, ma la perdonata, restituita alla sua dignità di persona – può andare, libera e lieta, a cantare a tutti la gioia che la grande paura è finita; e che non si può più dubitare dell’amore di Dio. E non è forse proprio questo il servizio più necessario agli umani sotto il cielo?

Dalla schiavitù al servizio: è la nostra esperienza. Eravamo morti a causa del peccato e incapaci di accostarci a Dio, ma ci è stata data per grazia la prova, indubbia e indiscutibile, della divina misericordia, quando il Figlio, il solo giusto, si è consegnato nelle nostre mani e si è lasciato inchiodare sulla croce. Risorgendo da morte, ci ha fatto risorgere alla vita nuova, e ci ha abilitati a servire al Dio vivo e vero, offrendoci al Padre “come viventi, ritornati dai morti” (Rm 6,13).


2. Guardiamo ora a Cristo, il nostro liberatore: lo contempliamo con s. Paolo come colui che ha assunto la condizione di servo, il Servo del Signore, che per amore del Padre, si è fatto servo dei fratelli. Gesù stesso ha presentato la sua carta d’identità, evidenziando il tratto del servizio come particolare segno di riconoscimento, quando ha detto: “Non sono venuto per essere servito, ma per servire”, e ancora: “Io sono in mezzo a voi come colui che serve”. Per Gesù il servizio non è tanto qualcosa da fare o un compito da svolgere; non è neanche soltanto un semplice modo di concepire l’autorità. E’ ancor prima una dimensione che attraversa tutta l’esistenza; non ne ricopre solo qualche minuscolo segmento. Il Servo dei servi e Maestro del servizio ci vuole dire che solo se si parte dall’essere, il fare cambia segno. Se pensi alla vita come al tuo tesoro geloso, da sfruttare a tuo uso e consumo, anche l’attività da compiere, l’incarico da esercitare, il compito da svolgere li vedrai come rampe da scalare per affermarti sopra gli altri, non invece dei gradini da discendere per piegarti a lavare i piedi ai fratelli.

E’ la vostra esperienza, carissimi ministri: lettori, accoliti, ministri straordinari della comunione eucaristica. Anche voi siete stati guardati con occhio di predilezione dal Signore, che vi ha scelti, purificati, chiamati ad indossare il camice del servizio, da rendere a Cristo e alla sua santa Chiesa. Ora, prima di richiamare i compiti che vi sono affidati e gli impegni che vi vengono richiesti, permettetemi di passare brevemente in rassegna alcune tentazioni a cui siete – siamo – esposti tutti noi, destinatari dei vari ministeri nella comunità cristiana.

Una prima tentazione dei ministri-servi è l’attivismo. E’ la tentazione di Marta, sorella di Maria: c’è il rischio che il darsi da fare per l’ospite non lasci più tempo per l’ospite. Ma il servizio non deve assillare al punto da far dimenticare l’ascolto della Parola. Diceva un vecchio rabbino parlando di un collega: è talmente indaffarato a parlare di Dio da dimenticare che Dio esiste! Non si può confondere l’urgente con l’importante. Il troppo è sempre a scapito dell’essenziale. Fare molto può essere segno d’amore, ma può anche far morire l’amore. Questo vale anche per il prossimo: gli uomini hanno certamente bisogno di servizi e di servizio, ma anche e forse più hanno fame di ascolto, di accoglienza, di amicizia; hanno fame di comunione.

Un’altra tentazione è il vittimismo: ci si impegna allo spasimo, ma sotto sotto ci si aspetta considerazione, visibilità e una qualche ricompensa. E’ la reazione del fratello maggiore, nella parabola del padre misericordioso, riportata nel vangelo di Luca: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici”. Quando il cuore va in automatico e funziona come un “calcolatore” infallibile, costantemente alle prese con la partita doppia del dare e dell’avere; quando nell’intimo si ripete implacabile il disco rotto della lagna continua e del mugugno acido e ricorrente, allora la fine è vicina: è il segno che le lancette del tempo stanno girando sempre più vertiginosamente fino a spostarsi sull’ora in cui si scoppia e si molla tutto.

Parente stretto del vittimismo e dell’attivismo è, poi, il narcisismo. E’ la tentazione di chi presta il servizio specchiandosi a ripetizione in quel che fa. Narciso vive col continuo sospetto che la vita gli chieda troppo senza ripagarlo adeguatamente; sente la diocesi o la parrocchia più come matrigna che come madre; ritiene che il vescovo o il parroco non lo valutino abbastanza; avverte l’impegno affidatogli come un abito o un ambito troppo stretto per le sue possibilità. E alla fine, se qualcosa non funziona, è sempre colpa del sistema, della struttura o degli altri.

La terapia più mirata ed efficace per queste patologie acute è quella di esercitare il ministero come un dono da spendere secondo le finalità oggettive del ministero stesso che vi viene conferito. Vorrei perciò concludere ricordando le consegne che tra poco vi verranno affidate.

Per voi lettori, è da tenere presente che il servizio alla parola di Dio non può essere circoscritto all’area ristretta dell’ambone. Il vostro ministero è un vero servizio alla fede, degli adulti innanzitutto, e poi dei fanciulli. A voi tocca portare l’annuncio missionario di salvezza agli uomini che ancora non lo conoscono. Perciò meditate la parola di Dio ogni giorno, e ogni giorno rendete testimonianza alla fede con la vostra vita.

Voi accoliti siete chiamati a vivere sempre più intensamente il sacrificio del Signore. Partecipate con i fratelli all’unico pane per formare con essi un solo corpo. Onorate il corpo di Cristo, soprattutto nei poveri e negli infermi. Ricordatevi sempre che il vero culto cristiano consiste precisamente nel mettersi a disposizione dell’amore al Signore, per essere messi dal Signore al servizio dei fratelli e delle sorelle.

Voi ministri straordinari della comunione eucaristica: siate gli specialisti della spiritualità di comunione all’interno della vostra comunità. Sappiate esercitare la carità fraterna, secondo la parola di Gesù: “Amatevi gli uni gli altri”.

A tutti e a ciascuno, carissimi, mentre esprimo sincera, cordiale gratitudine per la vostra generosa e preziosa disponibilità, raccomando accoratamente: dimostrate con fatti di vangelo che l’amore senza servizio è una patetica, ridicola commedia, e che il servizio senza amore è una penosa, crudele tragedia.

Preghiamo per voi, perché siate quello che siete: ministri di Cristo e della sua Chiesa, servi di tutti, schiavi solo del Signore e di nessun altro. Così sia.

+ Francesco Lambiasi