Cercatori di Dio. Anche noi alla scuola dei Magi

Omelia per la Solennità dell’Epifania, tenuta dal Vescovo nel corso della Messa dei Popoli

         Gloria e pace sono due parole che possiamo selezionare dal vangelo del Natale per riassumerne il mistero: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli, e pace in terra agli uomini, che egli ama”. In parallelo alla gloria e alla pace del Natale, possiamo evidenziare altre due parole – altrettanto luminose e squillanti – dal vangelo dell’Epifania: luce in cielo – è la luce della stella – e gioia sulla terra: “Al vedere la stella (i Magi) provarono una grandissima gioia”.

Festa inondata di luce e intrisa di gioia, l’Epifania non è però festa meno drammatica del Natale. Già il giorno di Natale, l’evangelista Giovanni, nel parlare della venuta nel mondo del Verbo fatto carne, ci aveva messo in guardia: “Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto”. Domandiamoci: perché i Magi, invece, lo hanno accolto, mentre Erode, i sacerdoti e gli scribi di Gerusalemme, no? Mettiamoci al seguito dei Magi e ripercorriamo il sentiero della loro fortunata scoperta di Gesù, un percorso scandito in tre tempi.

1. Cercare Dio

         Ogni uomo nasce con il cuore ferito dal raggio di una stella: è la stella della felicità. Ogni bambino nasce gridando, e con quel primo vagito è come se dicesse: Hurrà, ce l’ho fatta! E subito aggiungesse: Aiuto! Adesso ho bisogno del vostro aiuto per vivere. Voi lo sapete: io non sono come il cucciolo del cane, del gatto e del cavallo. Io ho bisogno del latte dell’amore, del pane della verità, dell’ossigeno della libertà. E se voi dite che la vita è una caccia al tesoro e il tesoro è la felicità, allora dovete aiutarmi a trovarlo. Amatemi, se no muoio!

Siamo tutti cercatori di vita, di amore, di cura, di futuro; siamo affamati di felicità; siamo mendicanti di cielo. La felicità è un sogno che ci accomuna tutti. E’ un bisogno che ci rende appassionati e insoddisfatti, e perciò sempre inquieti, ansiosi e spesso delusi. Si direbbe che l’opera più geniale che Dio abbia potuto realizzare – l’uomo, sua immagine insuperabile – e che ha posto al vertice del creato, abbia un inammissibile ‘difetto di fabbrica’: è questa ferita al cuore, che scava in noi un vuoto abissale che non si riesce mai a colmare: un bisogno insaziabile di un di più e di un oltre, sempre più oltre. Qualche uccello di mare se ne va;/ né sosta mai: perché tutte le immagini / portano scritto: più in là…”(Montale). Questo “più in là” del poeta non è altro che l’Altrove. La fede gli dà il nome giusto: Dio.

Allora quello che abbiamo appena chiamato ‘difetto di fabbrica’, forse più propriamente lo dovremmo definire il ‘marchio’ di produzione, la firma che Dio ha apposto al suo capolavoro. In effetti, poiché io non mi sono fatto da solo – non sono io il dio del mio io – debbo concludere che è Dio che mi ha fatto così: finito, ma con un infinito vuoto dentro, che può colmare solo Dio, poiché solo Dio è l’Infinito, l’Eterno, l’Assoluto.

Canta un salmo: “Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio” (Sal 42,2). In questa preghiera ardente il desiderio di Dio viene espresso con l’immagine della cerva che, udendo il rumore di una sorgente, si slancia a precipizio, giù per i dirupi, per raggiungerla. E’ il desiderio più profondo del cuore umano, anche se tanto spesso ignorato o represso o aspramente contrastato.

Ecco i Magi, gente che si sentiva l’anima devastata dal bisogno di incontrare Dio. Padre Turoldo li descriveva così: “Magi, voi siete i santi più nostri, naufraghi sempre in questo infinito, eppure sempre a tentare, a chiedere, a fissare gli abissi del cielo fino a bruciarsi gli occhi del cuore”.

2. Scoprire Gesù

         Ma come è accaduto ai Magi di imbattersi nel piccolo re dei Giudei? La prima cosa che hanno fatto è stata decifrare il grande libro del creato, cominciando ad esplorare la mappa del cielo. Devono aver pensato e ragionato molto; devono essersi comunicati dati e scoperte; devono avere stilato bilanci e confrontato risultati, fino a quando non è comparsa la stella. Allora non sono rimasti a contemplarla, ma si sono messi in cammino e ne hanno seguito la rotta. Da notare che i Magi “vengono da lontano”: sono quindi pagani, non appartengono al popolo eletto, non possiedono i testi sacri, ma sono persone che pensano, si interrogano, riflettono molto. La prima risorsa che attivano è la ragione, ciò per cui gli uomini sono umani, per cui non sono fatti “a viver come bruti, ma per seguir virtude e cognoscenza” (Dante). Così questi misteriosi personaggi arrivano a Gerusalemme.
A questo punto entrano in scena quattro soggetti, con quattro risposte decisamente diverse.
I Magi anzitutto. Arrivano dall’Oriente, cercano, domandano, coinvolgono persone e istituzioni, mettono a soqquadro un’intera città. Viene comunicata loro la parola sacra, una parola misteriosa che dice di andare oltre. La prendono sul serio, ci scommettono su, si rimettono in cammino e vanno a Betlemme.
Poi la città: “tutta Gerusalemme” è percorsa da una escalation di confusione e di scompiglio: chi sarà mai questo oscuro re dei Giudei? ma è proprio sicuro che non sarà peggiore di Erode? Così ben presto la città ristagna nel disinteresse generale e nella più gelida indifferenza.
Poi ancora i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo: sanno tutto della Scrittura, sono dei veri specialisti. Sanno citare a memoria brani di rotoli, non sfugge loro né uno iota né un apice. Conoscono ovviamente anche il luogo della nascita del Messia: è Betlemme. Ma non si muovono. Preferiscono starsene al sicuro, chiusi e incapsulati nel loro inalienabile ruolo nella città santa a sdottoreggiare sulla Scrittura.
         E infine Erode, un mostro di ferocia e di ipocrisia: millanta credito, ostenta riguardo, assicura collaborazione, promette riconoscimento. Ma subito ripiomba nelle trame torbide del suo potere sospettoso e crudele.
Solo i Magi si sono lasciati illuminare dalla parola di Dio, vi hanno dato credito e si sono incamminati fino ad incontrare il Bambino Gesù.

3. Adorare Dio e servire l’uomo

         Ma ecco la sorpresa. L’Epifania è una manifestazione, è la manifestazione di Dio, ma la manifestazione di Dio non avviene mai in modo ovvio e scontato; avviene sempre in modo inedito e sorprendente. Dio: “i Magi lo ricercavano splendente fra le stelle, lo trovano che vagisce nella culla. Vedono chiaramente avvolto in panni colui che tanto lungamente si erano accontentati di contemplare in modo oscuro negli astri. Considerano con grande stupore ciò che vedono nel presepe: il cielo calato sulla terra e la terra elevata fino al cielo, l’uomo in Dio e Dio nell’uomo, e colui che il mondo intero non può contenere, racchiuso in un minuscolo corpicino” (s. Pietro Crisologo).
E lo adorano. Cosa significa adorare? Secondo una probabile derivazione latina, indicherebbe il mettersi la mano alla bocca, come ad imporsi silenzio. Adorare dunque significa arrendersi alla divina Presenza e tacere, per lasciare che Dio sia Dio. E’ quindi riconoscere Dio, nel duplice senso: di riconoscimento e di riconoscenza. Riconoscimento significa accettazione della realtà: Dio è Dio e l’uomo non è Dio. Dio è il Creatore e noi siamo sue creature. Questo riconoscimento fa declinare l’adorazione in riconoscenza e gratitudine a Dio perché è lui il Pastore, e noi siamo solo gregge del suo pascolo. Quindi possiamo stare sicuri, anche se andiamo per valle oscura, perché lui è con noi, sempre pronto a proteggerci, a guidarci, a nutrirci, a correggerci, insomma a salvarci.
Il segno dell’adorazione è il dono, come fanno i Magi, che offrono oro, incenso e mirra. L’adorazione grata e commossa comporta sempre un’offerta, un sacrificio, un immolare qualcosa. Con l’adorazione si immola e si sacrifica il proprio io, la propria gloria. Si ritorna così al binomio del Natale: solo a Dio spetta la gloria, ma questa verità non è la nostra condanna. E’ la nostra salvezza, perché la gloria di Dio è la nostra pace. La sua luce accende in noi la vera gioia.

4. Epifania, festa dei popoli

L’Epifania è la festa della gratuità e della universalità della chiamata a salvezza. “Dio ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo disegno e la sua grazia: grazia che ci è stata data in Cristo Gesù fin dall’eternità, ma è stata rivelata solo ora con l’Epifania del salvatore nostro Gesù Cristo” (2Tm 1,9-10).
Nella manifestazione del Signore c’è anche la prima manifestazione della Chiesa: la graziata che dona la grazia, la rivestita di luce che diffonde la luce, la gratuitamente salvata che diventa missionaria e testimone dell’amore gratuito verso tutti gli uomini.
Perché questo realmente avvenga, è però necessario che anche noi ci mettiamo in cammino verso “la luce vera che illumina ogni uomo”: Cristo. Non c’è altra luce che ci possa illuminare, perché solo Cristo “ha parole di vita eterna” (cfr Gv 6,68). Tutto deve condurci a lui: i frammenti di luce che lui stesso, creandole, ha sparso su tutte le cose; la potenza della sua Parola, quella che indicò ai Magi il luogo esatto della nascita del Messia.
Ma se noi saremo docili, se ci comporteremo come “figli della luce” e ne compiremo le opere, allora “nella sua luce vedremo la luce” (Sal 36,10). Anche noi come i Magi, giungeremo alla “casa del Padre” e vedremo “il Bambino con Maria sua Madre”, Colui del quale il Padre ha detto: “Tu sei mio figlio: io oggi ti ho generato” (Eb 1,5).

Così sarà vero anche per noi che Dio si lascia sempre trovare da chi lo cerca con cuore sincero.

Rimini, Basilica Cattedrale, 6 gennaio 2013

+ Francesco Lambiasi