A Maria, icona della Trinità

Omelia del Vescovo in occasione del pellegrinaggio diocesano al santuario di Bonora – 29 maggio 2010

Santa Maria, Madre di Dio e Madre nostra, tu hai profetizzato che tutte le generazioni, lungo il migrare dei secoli e dei millenni, ti avrebbero chiamata beata. Per quanto figli irrequieti e capricciosi, non possiamo tollerare che allo sterminato canzoniere in tuo onore manchi la voce di noi, gente di Rimini, generazione di uno dei tornanti più drammatici nell’incerto avanzare della storia. Oggi, vespro della festa della ss. Trinità, noi ti proclamiamo beata, perché appari al nostro sguardo rapito e commosso come luminosa, purissima immagine del Dio uno e trino, Padre, Figlio e Spirito Santo.


Tu, Vergine Madre, figlia del tuo Figlio, sei stata cantata dal sommo poeta, come “la faccia che a Cristo più si somiglia”. In te la sponda dell’umanità e quella della divinità si sono abbracciate e pienamente identificate nel Verbo fatto carne. Tu hai sperimentato l’umanissimo, ardente anelito alla completa unione con Dio, nel sabato senza tramonto, quando finalmente si acquieterà il tumulto del nostro cuore volubile e inquieto. Ma soltanto in te la comunione con l’Altissimo si è realizzata anche attraverso quella esperienza esclusivamente femminile, che è l’unione tra madre e figlio. Da allora anche la parola “Uomo” è diventata, come “Dio”, parola con l’iniziale maiuscola. Senza di te, Dio non avrebbe un volto umano né occhi per guardarci negli occhi, né mani per prenderci per mano. Senza di te, Dio non potrebbe pensare con mente d’uomo, amare con cuore d’uomo, lavorare e accarezzare con mani d’uomo. Senza di te, Dio sarebbe troppo oscuro per non inquietarci con il suo abissale silenzio, troppo luminoso per non accecarci con il suo splendore abbagliante. E il nostro fragile cuore sarebbe condannato a sciogliersi per la bruciante aspirazione alla benevolenza pietosa del tre volte Santo, o ci si potrebbe agghiacciare di paura per l’infinita distanza tra il nostro miserabile niente e la sua smisurata grandezza.


Tu, beneamata figlia di Dio, umile serva dell’Altissimo, sei l’immagine femminile e materna del Padre. Da lui sei stata colmata di grazia, e grazie a lui sei la perfetta salvata, l’impareggiabile primizia del mondo nuovo, la creatura “fuori serie”, nella quale la redenzione si è operata nel modo più efficace e totale. In te brilla l’amore gratuito, misericordioso, fedele dell’eterno Padre. Tu sei scampata in anticipo all’universale naufragio; sei la “pre-servata”, fin dal concepimento, dalla macchia torbida del peccato; sei stata preceduta senza alcun tuo merito dal preveniente favore divino. In te risplende l’amore incondizionato del Padre, ricco di ogni misericordia. Tu sei stata e ti sei sentita infinitamente amata dal Dio Amore; da lui sei stata guardata con infinita misericordia, perché umile e povera, senza potere, senza ricchezza, senza prestigio. In te si rispecchia l’amore fedele del Padre, come amore stabile e solido, attendibile e pienamente affidabile. Tu sei la vergine della tenerezza: nel tuo cuore immacolato e nel tuo grembo verginale il Dio Totalmente-Altro si è fatto il Dio con noi. Il tuo sì fa germogliare una relazione di infinita dolcezza e, quando ci assale la vertigine del nulla, tesse una salda rete di protezione sotto i nostri continui, spericolati salti mortali. Senza la tenerezza divina, che in te si è fatta fremente palpito di carne, la nostra vita diventerebbe fatalmente disumana, senza senso e senza cuore.


Tu, Vergine sposa, sei la limpida, incontaminata trasparenza del dono dell’Altissimo, lo Spirito Santo. La sua divina potenza è scesa dall’alto su di te e ti ha coperto con la sua ombra, rendendo tangibile e reale ciò che è impensabile e umanamente impossibile: la comunione sostanziale della divinità e dell’umanità nel tuo Figlio Gesù, e la fusione esistenziale nella tua vita dei due stati femminili: verginità e maternità, dove la verginità è silenzio e offerta; è disponibilità e attesa; è accoglienza e profezia. Dove la maternità è dono e risposta; è frutto e benedizione; è travaglio e letizia, morte e risurrezione. Al termine di questo anno sacerdotale, noi oggi ti vogliamo affidare in modo particolare i nostri sacerdoti. Il Signore sa bene che noi pastori siamo spesso indotti allo sconforto e tentati dall’avvilimento, e per non farci sentire soli e abbandonati, ha disposto per noi la rasserenante dolcezza del Consolatore perfetto, indissociabilmente unita alla premura affettuosa della più tenera delle madri.

Santa Maria, icona perfetta della santissima Trinità, ricordaci sempre che credere nel Dio uno e trino significa spendersi senza riserve per una Chiesa e per una civiltà dell’amore, dove la massima distinzione tra le persone coincide con la massima coesione della loro indivisibile fraternità. E non ti stancare di richiamarci alla mente e al cuore che la Trinità è la fonte della nostra vita, il modello della nostra comunione, il termine fisso del nostro ultimo, eterno destino.

E tu dunque, Madre dolcissima, rivolgi a noi quegli occhi tuoi misericordiosi e sii sempre per noi esempio attraente, aiuto potente ed efficace, e “di speranza fontana vivace”.