Educare al lavoro dignitoso

Saluto del Vescovo ai partecipanti al Convegno nazionale dei Direttori diocesani della Pastorale del lavoro

         Onorata e lieta di ospitare il vostro Convegno, la nostra Diocesi, nel nuovo anno pastorale appena avviato con la festa del patrono San Gaudenzo, in linea con le indicazioni della CEI per il decennio in corso, ha lanciato l’Anno del Battesimo con questo slogan: “Immersi nel Suo amore”, con il sottotitolo in forma di domanda: “C’è una vita più umana di quella cristiana?”. Questo interrogativo è ispirato al passo della Gaudium et Spes: “Chi segue Cristo, l’uomo perfetto, si fa lui pure più uomo” (n. 41). Nella Lettera a Diogneto si afferma testualmente: “I cristiani non si distinguono dagli altri uomini né per territorio, né per lingua, né per vestito”. Ma si riconoscono. Da che cosa dunque si riconoscono?

I cristiani si riconoscono da come vivono il quotidiano, da come vivono gli affetti, la fragilità, la festa, la partecipazione alla vita della città. Si riconoscono anche da come vivono il lavoro. I discepoli di Cristo lavorano come tutti, ma lavorano per vivere, non vivono per lavorare. Sono liberi dall’ansia di produrre e dall’avidità di possedere. Non sacrificano al lavoro i beni primari, come l’armonia nella coppia, l’attenzione ai figli, l’assistenza ai genitori anziani. Se sono imprenditori, tengono sempre presente che l’uomo viene prima del lavoro e il lavoro prima del capitale. Oltre al giusto trattamento economico, assicurano ai lavoratori una dignitosa qualità della vita e li trattano come corresponsabili dell’impresa. Se sono lavoratori, non cadono nella piaga dell’assenteismo e, in caso di lotta sindacale, non si schierano contro qualcuno, ma sempre e solo per la giustizia.

L’ideale cristiano è l’economia di comunione: la circolazione dei beni materiali contribuisce alla edificazione della comunità: “E’ con i nostri patrimoni che diventiamo fratelli” (Tertulliano, Apologetico, 39,10). La caritas in veritate dei e tra i cristiani non punta solo sulla solidarietà, ma anche sulla fraternità. E va oltre la giustizia. La giustizia guarda ai diritti degli altri, la carità alle loro necessità. All’abbraccio di Don Oreste Benzi il barbone non ha diritto, ma ne ha bisogno. E il “Don” gli apre il cuore, le braccia, la casa…

Nel loro recente convegno dei primi del settembre scorso, tenuto a Castelgandolfo, le Acli hanno parlato di lavoro “scomposto”. A “scomporre” il lavoro è la precarizzazione dei percorsi lavorativi, la moltiplicazione delle condizioni giuridico contrattuali, l’immaterialità dei prodotti e dei capitali, l’individualizzazione dell’esperienza. Ma è soprattutto il fatto che il lavoro fatica sempre più a ritrovare il suo significato cristiano, che è profondamente umano. A confermare quanto il lavoro sia davvero “scomposto” sono arrivati i dati forniti dall’Ires, l’istituto di ricerca delle Acli. Fissata come retribuzione media giornaliera di un lavoratore dipendente la quota di € 82, si scopre che un dirigente guadagna 340 euro in più al giorno, un quadro ne percepisce 111, un impiegato 6. Un operaio, invece, in tasca un salario giornaliero di 16 euro inferiore alla media, un apprendista ben 31 euro sotto la media. I manager percepiscono all’anno 128.000 euro in più degli operai. Poi c’è il lavoro sommerso. Sono irregolari 12 posti di lavoro su 100 (18% al Sud, 27% in Calabria). E le grandi imprese? Mentre in Germania sono lo 0,5% e in Gran Bretagna lo 04%, in Italia sono un esile 0,1%. Quasi un lavoratore su quattro (23%) è occupato non a orario pieno o a tempo indeterminato. Due milioni e 700.000 persone (il 12%) lavorano a tempo parziale, l’11% è atipico. Il lavoro a tempo parziale interessa di più le donne (1 milione e 800.000). Il 48% dei lavoratori atipici ha fra i 30 e i 49 anni. In Italia i disoccupati di lunga durata (almeno 24 mesi) superano il 45% del totale dei disoccupati.

Passare dal lavoro scomposto e indecente ad educare al lavoro decente e dignitoso si deve. Vi auguro che questi giorni di convegno ci aiutiate tutti anche a capire perché e come si può.

Rimini, 25 ottobre 2011

                                                                                    + Francesco Lambiasi