Vivere la fede, amare la vita

Vivere la fede, amare la vita

Omelia su Mt 5,38-48, tenuta nel corso della celebrazione eucaristica per l’assemblea diocesana dell’Azione Cattolica – Bordonchio, 20 febbraio 2011

Di fronte al desolante spettacolo quotidianamente esibito dai media, la fede ci proibisce di cedere allo sconforto e di sprofondare nelle sabbie mobili del catastrofismo, ma ci impedisce pure di minimizzare la serietà della grave patologia che affligge la nostra società, e ha un nome cupo e drammatico: “disastro antropologico”. E’ la malattia più pericolosa da cui possa essere aggredita la nostra comune umanità, e se ne registra la devastante ricaduta nelle strutture che ci condizionano. Si deve però tenere conto che quelle strutture sono organizzate prima di tutto da noi: come non riconoscere che la natura della crisi, prima che sociale, politica o economica, è anzitutto etica? Di qui la “questione morale”, di cui tanto si sta parlando anche in questi giorni. Cambiare il sistema si deve e si può, ma ad una condizione ineludibile: che anzitutto si cambi il cuore dell’uomo. Ma il cuore umano non cambia da sé, dal momento che nessuno è in grado di cambiare il proprio. Come uscire da questo vicolo cieco?

1. Gesù versus Mosè

Mosè, in nome di Dio, aveva fondato un diritto che rappresentava una considerevole umanizzazione dei rapporti sociali. La “legge del taglione” tentava di innalzare una diga alla vendetta privata, impersonata da Lamech nella Genesi: “Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido”. La norma “occhio per occhio, dente per dente” cercava di stabilire una sorta di equo compenso tra il male ricevuto e quello ricambiato. Anzi, come abbiamo ascoltato nella prima lettura, non era assente nelle antiche Scritture il principio della non-violenza: “Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo”. Di fatto un ideale così arduo e tanto lontano non informava un costume dove la vendetta privata continuava ad essere largamente diffusa e praticata.

Gesù non esita a mettere in discussione il sistema mosaico: non basta regolare il male, bilanciando reati e risarcimenti; bisogna spezzare la spirale interminabile della violenza. Bisogna vincere l’odio con l’amore, disarmare la vendetta con il perdono; occorre reagire ai persecutori non con la spada, ma con la croce. A questo punto Gesù non ha paura di “picconare” il comune buon senso a colpi di paradossi folgoranti: “Se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra; e se uno ti costringe a fare con lui un miglio, tu fanne con lui anche due”. Così Gesù annuncia l’incredibile ideale della giustizia evangelica: amare non con una “giusta misura” umana, ma con la misura dell’amore di Dio, che è sempre un amore a dismisura. L’amore di Dio è fatto così. Perciò Gesù lo chiama in causa: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”. Dio ama da Dio, cioè da Padre: non revoca il suo amore perché un figlio è “cattivo”, anzi anche per lui fa sorgere il suo sole, e anche su di lui fa scendere la sua pioggia, perché ci ama sempre tutti e nonostante tutto. Certo anche il Levitico, come abbiamo ascoltato, raccomandava come misura della santità la santità di Dio. Ma Gesù non solo ha fatto rimare a rima baciata perfezione della santità con perfezione della carità; non solo ci ha rivelato un ideale tanto alto e luminoso, ma ce lo ha reso attraente e praticabile. Ce lo ha rivelato con il suo insegnamento, ancora di più con il suo esempio, ma soprattutto ci ha reso possibile quell’ideale, umanamente impossibile, con la sua grazia, che ci dona di fare ciò che possiamo e di chiedere ciò che non possiamo.

2. Capaci di cambiare il mondo

Avviene così che alla nostra fragilità diventa accessibile la strada verso la meta vertiginosamente sovrumana della nuova umanità.

Infatti i rapporti umani non sono mai una faccenda puramente umana: in quella faccenda c’entra Dio. E’ questa la grandezza dell’uomo, chiamato a pensare come Dio, ad agire come Dio, a essere uomo di perdono perché un Dio di perdono lo ama e lo riconcilia ostinatamente a sé. Allora neppure i torti subiti, i soprusi e le prepotenze, neppure le angherie, gli affronti e le persecuzioni più feroci dei nemici più accaniti saranno barriera all’amore.

Vittorio Bachelet diceva: “Il cristiano può essere odiato, ma non può odiare.” E il figlio davanti alla salma del padre disse: “Prego per gli uccisori di mio padre. Senza nulla togliere alla giustizia che sempre deve trionfare, sulle nostre labbra ci siano sempre parole di vita e non di morte, di perdono e mai di vendetta”. E’ la parola del Vangelo che si fa vita, si fa carne nella vita degli uomini. Allora “amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, per vivere da figli”, non rimane lettera morta, ma è parola viva che ancora oggi può essere spesa per costruire la civiltà dell’amore.

Un missionario ha raccontato: Ero andato a trovare un giovane in carcere e mentre parlavo con il giovane detenuto, è entrata una signora molto elegante, si è avvicinata a un ragazzo e l’ha abbracciato. Ho pensato fosse la mamma. Ma il giovane che era con me mi disse: “Sicuramente stai pensando che è la mamma del ragazzo che è qui in prigione; invece è la mamma del ragazzo che questo giovane ha ucciso. Il giorno del funerale ha promesso che sarebbe diventata mamma del giovane che aveva ucciso suo figlio e da quel giorno non ha mai smesso di venirgli a far visita. Ogni settimana arriva e lo abbraccia come fosse suo figlio!”.

Tutto il vangelo è qui: amatevi gli uni gli altri. “Amatevi!” è un imperativo, ma si può amare per legge? No, “amatevi!” non è l’imperativo del comando, ma della promessa: Amatevi, disarmatevi, e non vi distruggerete a vicenda.

Dopo i deliri di onnipotenza della modernità, la postmodernità ci sta facendo assistere alla rottamazione dell’io. Davanti al nostro sguardo allibito e impotente sfila l’uomo senza festa, l’uomo senza memoria e senza futuro, l’uomo-robot e quello fotocopia.

Solo se non ci lasceremo vincere dal male, ma riusciremo con la grazia del Crocifisso Risorto a vincere il male con il bene, saremo uomini capaci di cambiare il mondo.

3. Ma si può amare così?

A questo punto dobbiamo riflettere su un evento determinante per la nostra vita di cristiani e per la storia del mondo: è l’evento dell’alleanza che Dio ha stabilito nel sangue di Gesù Cristo. Noi cristiani crediamo di essere il popolo di questa nuova ed eterna alleanza. Non è un nostro privilegio, ma una missione, quella di essere il sale della terra e il lievito della storia. Ora, per il patto di alleanza Dio può chiedere al suo popolo un comportamento che, di per sé, non rientra in quella che potremmo chiamare un’etica puramente razionale. E’ il caso dell’amore al nemico. Secondo un’etica basata sulla pura ragione, si può esigere da parte dell’offeso una disponibilità alla riconciliazione; al massimo si può arrivare a prescrivere una rinuncia alla vendetta. Ma non si potrà mai, unicamente su base razionale, arrivare a stabilire, come legge morale valida per tutti e sempre l’amore al nemico, quando è ancora nemico. Dio invece può chiedere tutto questo ai suoi alleati per guarire il mondo dal perverso circolo vizioso della violenza che nella vendetta prolunga, reduplicandola, l’aggressività distruttiva dell’offesa. Insomma oltre la razionalità del diritto e l’irrazionalità della vendetta, sta la superrazionalità della croce, la follia di un amore che disarma la violenza con la strategia della non-violenza e stravince il male subìto con l’arma più pacifica e pacificante: la preghiera per i nemici. E’ proprio quanto Gesù domanda ai suoi discepoli nel vangelo di oggi. E’ chiaro che quanto viene chiesto a coloro che sono alleati di Dio, viene richiesto proprio perché sono tali: perché hanno il compito di mostrare a tutti quale sia il cuore di Dio stesso di fronte all’odio che si annida nel cuore dell’uomo.

Cari fratelli e sorelle dell’Azione Cattolica: dalla feritoia del brano evangelico odierno, torniamo ad affacciarci sul panorama che ci offre il nostro Occidente vecchio e malato. Ci appare una società, che allontanandosi dalla sua matrice cristiana, si è immessa sul viale del tramonto per diventare inesorabilmente un gelido, sterminato “ospizio”, sovraffollato all’inverosimile.

Aderendo all’AC, voi avete scelto di rispondere alla chiamata alla santità, quella santità che non è né il “di più” del necessario né il “sovrappiù” dell’accessorio. Fateci vedere con fatti di vangelo che è la santità – come radicale conversione a Cristo – la terapia più efficace per le gravi patologie del nostro paese. L’AC che è nata italiana e ha contribuito a fare l’Italia e a fare gli italiani, è chiamata oggi a contribuire a rifare gli italiani per rifare l’Italia. Come nei periodi di decadenza che si sono avvicendati nel corso dei secoli, fateci vedere che il vangelo è il più potente fattore di rinnovamento sociale, culturale, economico e politico.

Ma bisogna anche rispondere all’appello del Concilio e del Papa a riformare la Chiesa. Aiutateci a capire che la riforma più profonda della Chiesa è in primo luogo quella che parte da cuori desiderosi di essere il più possibile “simili al cuore di Cristo”, perché la bellezza della Chiesa è quella di assomigliare a Cristo, suo Signore e suo dolcissimo Sposo. Il primo contributo al rinnovamento della Chiesa non è quello di abbassare il modello o di proporre nuovi modelli, ma di innalzarci verso il modello che è sempre e unicamente Cristo.

Questa è stata la risposta dell’AC del beato Alberto Marvelli, della venerabile Carla Ronci alla chiamata a rispondere con la follia dell’amore all’amore folle di Cristo. Verso il traguardo della santità voi vi siete impegnati a camminare tutti insieme, all’interno delle vostre comunità parrocchiali, e a camminare in una maniera paradossale: risalendo verso le origini. La santità cristiana si compie così, con questa comune “risalita verso le origini”. Questi sono i santi: sono come acque sulla china delle montagne, che risalgono verso la sorgente.

Sia anche questa la vostra risposta al vangelo dell’amore del nostro unico, comune Maestro e Signore.

+ Francesco Lambiasi