Una Chiesa tutta sinodale

Il sogno di Francesco

Omelia del Vescovo per la s. Messa in memoria di don Giussani

Imbattersi nella figura di Simon Pietro lungo le righe dei quattro vangeli è un po’ come guardarsi allo specchio. In effetti Simone bar Ionas è uomo roccioso e friabile, impetuoso e calcolatore, fedele e spudoratamente infedele. Pietro è proprio uno di noi, con gli slanci e i precipitosi tonfi di ognuno di noi. Con le vertiginose impennate e le immancabili, stucchevoli ricadute della nostra desolata fragilità. Non è certo casuale che nel seguito immediato di questo brano l’evangelista riporti l’amaro rimprovero fulminato da Gesù contro Pietro, fino a definirlo “Satana”. Ne viene fuori un aspro contrasto: tra la fede di Pietro e la sua ostinata incomprensione del mistero di Gesù; tra l’autorità affidata a Pietro e il richiamo sdegnato di Gesù. E’ il contrasto tra il peccato e la grazia, tra la miseria e la misericordia. Quel giorno Simone si lasciò letteralmente… ‘in-pietrire’, e divenne Pietro. E Pietro divenne pietra: la pietra di fondazione dell’edificio-Chiesa.

1. E’ al mistero della Chiesa che vorrei dedicare alcuni brevi pensieri. Prendo l’abbrivio da una citazione di don Giussani. Nel libro Perché la Chiesa scriveva:

“La Chiesa non solo è qualcosa che nasce dalla vita, ma è una vita. Chi si accinga a verificare una propria opinione sulla Chiesa deve tener presente che per l’intelligenza reale di una vita come la Chiesa occorre una adeguata convivenza”.

In altre parole: per entrare con il cuore nel mistero della Chiesa si richiede una sintonia con la sua palpitante realtà. Ma non è questa la vostra esperienza, fratelli, sorelle e amici di CL? Voi non dite: “Cristo sì, Chiesa no”. Ma dite: “Cristo sì” e proprio per il sì a Cristo, voi dite anche “sì alla Chiesa”. Proprio perché non vi stancate di vivere dall’interno la vita della Sposa di Cristo, voi non vi stancate di lasciarvi incantare dalla sua bellezza. Una bellezza radiosa, che, nonostante il peccato di noi suoi figli, le viene immancabilmente irradiata sul volto dallo splendore raggiante di Cristo suo Sposo.

In effetti, quando si vive un amore irresistibile, non si può non tornare con crescente stupore alle sorgenti di quell’amore. Non si può non gettare il cuore verso gli approdi a cui quel fiume travolgente è destinato infallibilmente a sfociare.

La Chiesa viene dall’unità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Le  sue sorgenti sgorgano dal grembo della santa Trinità, in cui le persone divine sono totalmente fuse nell’amore senza però risultare confuse. E sono realmente distinte senza minimamente risultare distanti. Non è quindi eccessivo definire la Chiesa come la “prolunga” della santa Tri-Unità nella storia.

Da qui deriva alla Chiesa la nota della sinodalità. Papa Francesco ha precisato: “Il cammino della sinodalità è il cammino della Chiesa del terzo millennio”. Il che significa in concreto che nella Chiesa, “come in una piramide capovolta, il vertice si trova al di sotto della base”. Ancora: che nella Chiesa “l’unica autorità è quella di Gesù”, ed è “l’autorità del servizio”. Chiesa sinodale significa Chiesa dell’ascolto: “Ascolto di Dio, fino a sentire con lui il grido del Popolo; ascolto del Popolo, fino a respirarvi la volontà a cui Dio chiama”. E’ questo il sogno di papa Francesco.

2. Proviamo ora a declinare i tratti salienti del volto di una Chiesa sinodale.

Una Chiesa sinodale è una Chiesa in comunione: si tratta di mettere in circolo tutti i doni, piccoli e grandi. Che tutti abbiano la possibilità di dire con franchezza e umiltà, nella più limpida benevolenza, la loro parola. Che, sotto la guida dei Pastori, si sappia discernere insieme che cosa lo Spirito dice oggi alla Chiesa. Una Chiesa in comunione non si balocca con il conflitto, perché non lo mitizza né lo demonizza, ma lo sa trasformare in un anello di congiunzione più stretta.

Una Chiesa sinodale è una Chiesa in cui si coltiva la mistica della fraternità, non la strategia del compromesso, non la tattica dell’inciucio. La fraternità non si produce: si accoglie. E’ dono di grazia, da invocare con umiltà e da ricevere con gratitudine. La fraternità non si organizza: si genera. E l’altro non è l’inferno. Probabilmente non sarà neppure l’eden. Ma è il ‘tu’: non il clone del mio ‘io’, ma un tu unico, singolare, irripetibile.

Una Chiesa sinodale è la Chiesa dei processi, più che delle procedure. Una Chiesa che semina e sviluppa potenzialità, piuttosto che ingolfarsi nella elucubrazione di sofisticati piani pastorali. Non bisogna andare troppo in fretta o unicamente alle questioni canoniche. Piuttosto bisogna guardare alla sinodalità come a uno spirito e a uno stile pervasivo e permanente di essere Chiesa: in cui i discepoli di Gesù camminano insieme.

Una Chiesa sinodale è la Chiesa della edificazione comune per la missione di tutti  per tutti. L’edificazione comune non si realizza orizzontalmente, dividendosi le zone d’influenza o inventando piattaforme di convivenza. Ma muovendosi tutti in avanti, convergendo verso un orizzonte che sta oltre, in un comune slancio missionario. E deve trattarsi della edificazione dell’intero popolo di Dio, non solo di alcune parti o di alcune élites illuminate. Per questo occorre riprendere creativamente e insieme la pastorale delle prime comunità cristiane: una pastorale effettivamente missionaria, aperta e dinamica, di ampio respiro, non di semplice contenimento.

Una Chiesa sinodale è una Chiesa che cammina sul passo degli ultimi. Una Chiesa che si fa ultima e povera per ripartire sempre dagli ultimi. Non è la Chiesa di spericolate fughe in avanti, di nostalgici ritorni all’indietro, di patetici miraggi avveniristici. E’ una Chiesa che sa rallentare il passo per farlo accelerare agli ultimi. Che sa incoraggiare chi si è fermato. Rialzare chi ha inciampato. Svegliare chi è caduto in letargo. Scuotere chi è andato in automatico. La Chiesa che cammina sul passo degli ultimi è la Chiesa dei grandi orizzonti e dei piccoli passi.

L’anno scorso, ricorderete, vi raccomandai due impegni, che il Papa stesso aveva personalmente affidato a don Carròn: l’accoglienza dei migranti e l’accompagnamento dei giovani. Quest’anno vi devo ringraziare per quanto state facendo in questi due cantieri, insieme alla rete di altri movimenti e associazioni ecclesiali. Ora permettetemi solo due parole, rispettivamente per l’uno e per l’altro cantiere. Per il primo, quello dei migranti, aiutiamoci insieme a sconfiggere la paura dell’altro, visto come un avversario, addirittura come un nemico, anziché come un vero fratello. Per il cantiere dei giovani, lasciatemi condividere una convinzione basilare. Se ai giovani chiediamo poco, al massimo alcuni ci daranno molto poco. Se chiederemo molto, molti giovani ci daranno tutto.

Rimini, Basilica Cattedrale, 22 febbraio 2019

+ Francesco Lambiasi