Un prete del grande Sì In memoria di don Giancarlo Ugolini

Omelia tenuta nel corso della Eucaristia per le esequie di Don Giancarlo Ugolini

Si può vivere così? Si può morire così? Due domande folgoranti, una identica risposta: “Sia che viviamo, siamo che moriamo, siamo del Signore” (Rm 14,8). Si veda la vita e la morte del nostro amatissimo padre e fratello, don Giancarlo Ugolini.

1. Si può vivere così?

Don Giancarlo nasce il 10 giugno del 1929 a Taverna di Monte Colombo, dal babbo Pietro, commerciante, morto prematuramente nel 1948, e dalla mamma Maddalena Gualandi, donna la cui fede profonda e il temperamento energico hanno indelebilmente segnato la personalità del figlio. Ordinato sacerdote nel 1951 da mons. Luigi Santa, fin dai primi anni del suo ministero si è dedicato all’opera educativa tra i giovani. Negli anni della sua formazione teologica a Roma approfondisce i rapporti con i Paolini di Don Alberione. Tornato a Rimini viene nominato Assistente dell’Azione Cattolica e della FUCI ed è in questo contesto che accade l’incontro decisivo della sua vita, come lui stesso descrive: «Il fatto che mi ha più determinato è stato l’incontro con don Giussani».

L’esistenza sacerdotale di don Giancarlo si è lasciata intercettare dal carisma di don Giuss, una sequela che ha reso fecondo il suo ministero e la vita stessa della nostra Chiesa diocesana di Rimini, come riconobbe mons. Mariano De Nicolò: «Don Giancarlo è un figlio di questa Chiesa, è un figlio che la onora e l’ha resa sempre più madre nel suo apostolato».

E’ vero: il dono del sacerdozio di don Giancarlo ha fecondato la  nostra Chiesa riminese: tanti sacerdoti del nostro presbiterio qui riunito hanno riconosciuto e alimentato la propria vocazione grazie alla sua testimonianza ed alla sua guida paterna, con cui ha suscitato e sostenuto numerose vocazioni alla verginità, alla missione in ogni parte del mondo, alla vita contemplativa, provocando tantissimi laici a giocare la propria esperienza di fede, anche nell’ambito sociale e politico. Il rapporto con lui è all’origine di molte opere sociali ed educative, fra le quali non possiamo non citare il Meeting e le Scuole della Karis foundation.

Quello che attraverso don Giancarlo e il carisma di don Giussani è stato generato, è un dono che costituisce un contributo unico e originale per la Chiesa e tutta la società civile riminese, ma che certamente si estende ben oltre i confini della Città e della Diocesi, come testimoniano le presenze significative dei confratelli vescovi concelebranti, di don Julian Carron e delle altre personalità presenti a questa santa eucaristia.

Il contributo donato alla Chiesa e alla società attraverso di lui non è altro che il fascino dell’Avvenimento cristiano, riconosciuto come corrispondente alle esigenze costitutive del cuore umano. Questo fascino e questa corrispondenza don Giancarlo l’ha testimoniata sfidando instancabilmente il cuore di chiunque incontrava, in particolare dei giovani a cui si è dedicato, soprattutto nell’insegnamento della religione a scuola portato avanti per decenni. La sua opera era veramente una “introduzione alla realtà totale”, una provocazione incessante alla libertà nell’invito ad un uso della ragione adeguato, che prenda in considerazione tutti i fattori del reale, fino a potere dare del “Tu” al Mistero di Dio.

Il nostro don Giancarlo ha sintetizzato questo contributo nella sua ultima intervista: «La proposta interessante di CL è offrire la possibilità di lasciarsi amare dal Mistero. E’ un Mistero che corrisponde al cuore e che fa percepire il suo caldo abbraccio. Il cuore dell’uomo cerca l’infinito e questo si è fatto presente».


2. Si può morire così?

Ho avuto modo di incontrare e di conoscere Don Giancarlo da vicino, in questo ultimo tratto del suo cammino verso la Patria. Fin dall’inizio ho avuto l’impressione di un uomo assetato di Infinito, sfiorato dal Mistero, diventato compagno di viaggio di un numero sterminato di storie. A volte provavo la sensazione di trovarmi di fronte a un discendente della razza di Abramo, chiamato nella notte fuori dalla tenda, lo sguardo perso nel sussulto sconfinato del cielo, a contare le stelle, a rincorrere il pulsare di storie, di tantissime storie di vita e di fede. Mano a mano che la malattia avanzava, quando mi recavo da lui, percepivo a pelle il brivido che ci viene da chi non si lascia più solo sfiorare dal Mistero, ma se ne lascia ormai abbracciare fino a farsene invadere totalmente. Sul letto della malattia, mano a mano che si immergeva nel silenzio di Dio, mi appariva come sempre più occupato a rispondere a quella domanda bruciante: “Mi ami tu?”. Fa tenerezza un Dio che si fa mendicante d’amore e non si vergogna di chiederti: “Mi ami tu?”. Non deve forse obbedire anche il Figlio di Dio alla legge dell’amore, che non può mai e poi mai fare a meno di essere riamato?

In una omelia, durante la celebrazione eucaristica con i fucini e le fucine degli anni ’60, in occasione del 50° della sua ordinazione sacerdotale, aveva detto: “Ecco: la libertà è sempre scegliere per un di più. E Cristo è venuto al mondo, si è fatto presenza concretamente incontrabile da noi, per cimentarsi con tutte le altre ipotesi e proporsi a noi, a ognuno di noi, come possibile di più”. Era stata la scoperta del “di più” di Cristo e l’incontro con il suo amore sconfinato a far nascere in don Giancarlo “un gusto più forte per la vita tutta, una curiosità, una passione, un desiderio di serietà verso tutti – sono sempre parole sue – una capacità a ‘giocarsi’ nell’agone del nostro – e per me benedetto – tempo”.

Raccontano gli amici, che lo hanno assistito negli ultimi mesi della malattia, che un giorno ha detto: «Qui c’è un prete che muore da laico, non ho addosso niente, ma anche se non riesco a fare più niente, l’unica cosa che conta è la Sua presenza su di me. Essere portato da Lui. E mi porta attraverso le medicine, la comunità di persone, le preghiere che tanti dicono per me». Don Giancarlo ha impegnato tutta la vita a farsi amare da lui, fino a quando nella sua ora nona si è fatto prendere per mano dalla mano piagata di Cristo risorto, come un bambino cieco si lascia portare dal Fratello che ha dato la vita per lui. E anche lui nella semplicità del suo cuore, lietamente si era ormai dato tutto al suo dolcissimo Signore.

Nel nostro ultimo incontro, non sono riuscito a comunicare con lui. E’ stato venerdì scorso. Ma quando poi domenica, il giorno del Signore, festa del poverello di Assisi, mi sono trovato di fronte alla sua salma appena composta, mi sembrava di riascoltare una voce amica: “Un giorno sentirete dire che sono morto. Non credeteci: è una bugia”. Le parole erano di Don Oreste, ma la voce che mi risuonava dentro era di Don Giancarlo. E veniva da ancora più lontano, dall’apostolo Giovanni, l’evangelista dell’amore: “Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte” (1Gv 3,14). Il gran vento dello Spirito mi riportava pure le parole che avevo sentito direttamente nel duomo di Milano, pronunciate dall’allora card. J. Ratzinger, il giorno del funerale di don Giussani. Come lui, anche Don Giancarlo “realmente non voleva avere per sé la vita, ma ha dato la vita, e proprio così ha trovato la vita non solo per sé, ma per tanti altri”.

Guardare a don Giancarlo rimanda inesorabilmente a una Presenza, che non può e non potrà mai coincidere con una assenza, come documenta il popolo oggi qui riunito. La consegna che il “Don” ci lascia è l’immedesimazione con la sua stessa familiarità con il Mistero, avendo lo stesso sguardo di fronte alla realtà, fino a dire il nostro “sì” a Cristo, il grande Sì presente: «Signore, Tu conosci tutto, Tu sai che ti amo».

Rimini, Basilica Cattedrale, 6 ottobre 2009

+ Francesco Lambiasi