Un miracolo di umiltà

Omelia per la festa di san Francesco d’Assisi

Non c’è dubbio. Se si facesse un sondaggio di opinione, san Francesco risulterebbe in vetta a tutte le classifiche dei santi più ammirati, più popolari e più attuali di tutti i tempi. In effetti nessun santo, nei due millenni di storia cristiana, ha impersonato più di lui la vicenda e il messaggio di Gesù Cristo.

1. C’è però da riconoscere che ai nostri giorni il mondo va dietro al Poverello di Assisi, perché vede pienamente compiuta in lui quella costellazione di valori ai quali tanti dei nostri contemporanei aspirano: la libertà, la pace con se stessi e con il creato, la fratellanza, la non-violenza, la gioia.

Senza dimenticare due sensibilità ampiamente marcate nella persona e nella storia di Francesco: quella ecumenica e quella ecologica. Per la prima pensiamo alla devozione riscossa da san Francesco anche dalla Chiesa ortodossa e dalle varie confessioni protestanti, senza dimenticare la ricorrenza ultracentenaria del suo incontro con il sultano.

Per la seconda, ricordiamo il titolo Laudato sì dato da papa Francesco alla prima enciclica nella storia del magistero cattolico dedicata alla cura della casa comune. Ma c’è un valore al quale il mondo non anela affatto, e che, pure, nella vita del santo è alla radice di tutti gli altri valori: l’umiltà. Secondo Dante Alighieri tutta la gloria di Francesco dipende dal suo “essersi fatto pusillo”, cioè piccolo, minimo, povero. In una sola parola, umile.

2. Sappiamo che l’evento capitale che dette inizio alla sua conversione fu l’incontro con il lebbroso. Il bacio alla mano e sulla bocca di quel povero derelitto (FF 592) segnò l’inizio della nuova vita: “Da quel giorno Francesco smise di adorare se stesso”. Fino a quel punto Francesco era rimasto narcisisticamente chiuso nella bolla del proprio ego e aveva venerato con compulsiva autoreferenzialità un solo ‘dio’: il proprio Io…

Ma quello con il lebbroso fu solo il primo di tutta una serie di incontri che durarono la bellezza di due anni tondi tondi. Ecco come ne parla lo stesso Francesco nel suo Testamento:

“Il Signore dette a me, frate Francesco, di incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi, e il Signore stesso mi condusse tra loro e feci misericordia con essi” (FF 110).

Poi il Signore gli donò dei fratelli: fu, quello, un dono imprevedibile e del tutto inatteso. I primi fratelli furono Bernardo e Pietro. L’arrivo dei due compagni costrinse Francesco a fare discernimento sul da farsi, insieme a loro, e poi anche con gli altri che si andavano mano mano aggregando:

“E dopo che il Signore mi dette dei fratelli, nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare, ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo” (FF 116).

Nei confronti dei nuovi compagni Francesco non si atteggiò come chi, da solo, aveva la ricetta magica per ogni problema e per le più svariate situazioni. Ma le risposte venivano cercate insieme. Basti pensare che la redazione della cosiddetta Regola non bollata durò la bellezza di un decennio circa, e si può considerare davvero come un’opera comune, redatta con il concorso di tutti. Inoltre, quando si trattò di sottoporsi al discernimento del papa, Francesco non si recò a Roma con una delegazione, ma ci andò con l’intero gruppo di tutti e dodici i primi compagni (FF 1523).

Lo stile caratteristico della prima fraternità francescana era improntato all’umiltà e alla più schietta semplicità di vita:

“Tutti i frati, in qualunque luogo si trovino presso altri per servire o per lavorare, non facciano né gli amministratori, né i dispensieri, né presiedano nelle case di coloro ai quali prestano servizio; né accettino alcun ufficio che generi scandalo o che porti danno alla loro anima, ma siano minori e sottomessi a tutti coloro che sono in quella stessa casa” (FF 24).

Tra i frati la Regola prevedeva che “nessuno doveva ritenersi primo tra i fratelli”. E inoltre “non si considerino mai come padroni”. Nessuno doveva imporre i propri pesi sulle spalle degli altri. Ancora: “Chi digiuna non giudichi chi mangia”. Nella Lettera a tutti i fedeli Francesco prima di morire raccomandava una regola che tutti i cristiani devono sempre tenere presente, e a maggior ragione i frati: “mai dobbiamo di essere sopra gli altri, ma anzi dobbiamo essere servi e soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio” (FF 199).

Colpisce anche il modo di condurre o di ricevere la correzione fraterna. Per chi si preoccupa solo del giudizio misericordioso di Dio, la correzione è sempre grazia quando è dovuta. Ed è grazia ancora più grande se non è meritata, perché rende simili a Cristo, il quale “insultato, non rispondeva con insulti, maltrattato, non minacciava vendetta” (1Pt 2,23). Ricordiamo anche la Lettera a un ministro provinciale, al quale Francesco raccomanda con tono accorato: “che non ci sia mai alcun frate al mondo, che abbia peccato quanto poteva peccare, il quale, dopo aver visto i tuoi occhi, se ne torni via senza il tuo perdono” (FF 235).

3. Nelle Laudi di Dio altissimo, che si conservano scritte di suo pugno in Assisi, tra le perfezioni di Dio – santità, fortezza, amore, sapienza… – ce n’è una, del tutto insolita, che dovrebbe riempirci di stupore: “Tu sei umiltà”. Dio è umiltà perché è amore. Di fronte a noi, sue creature, Dio si è legato le mani: pur di rispettare la nostra libertà, ha rinunciato non solo a costringerci, ma perfino a difendersi.

E il Figlio di Dio “umiliò se stesso”. Lui, onnipotente, si è reso onni-impotente:  si è fatto carne, e carne debole e fragile. “Da ricco che era, si è fatto povero per noi”. “Si è fatto obbediente, fino alla morte e alla morte di croce”: così, san Paolo. E Francesco aggiunge:  “E ogni giorno egli si umilia; ogni giorno discende dal seno del Padre sull’altare nelle mani del sacerdote” (FF 144; 221).

Se Dio è umiltà, se Cristo si è reso umile, Francesco ci ricorda – non tanto con le parole, ma con la sua testimonianza di vita umile e povera – che anche la Chiesa deve farsi umile, deve servire, e servire per amore.

Anche noi possiamo e dobbiamo sentirci e farci piccoli, umili e poveri.

Ad ognuno di noi oggi san Francesco dice: “Tu pensa a farti piccolo. Che a farti grande ci pensa Dio!”.

Rimini, Chiesa di s. Bernardino, 4 ottobre 2019

+ Francesco Lambiasi