Umiliò se stesso

Omelia tenuta dal Vescovo nella Messa delle Palme
Rimini, Basilia cattedrale, 25 marzo 2018 –            

Umiliò se stesso: in questa espressione sintetica e pregnante si può concentrare tutto il racconto della passione di Gesù e tutto il ‘vangelo’ della croce. In metafora, potremmo dire che, se dovessimo compilare una sorta di ‘carta di identità’ di Gesù di Nazaret, questa semplicissima proposizione – umiliò se stesso – sarebbe da collocare tra i suoi segni particolari di riconoscimento. O ancora, per ricorrere a un’altra metafora, questo mezzo versetto tratto dalla Lettera ai Filippesi – proclamato poco fa nella seconda lettura – potrebbe risultare un calzante sottotitolo da apporre a una eventuale storia del Nazareno. In effetti queste parole fanno da preludio all’antifona che martella un po’ tutta la scansione della santa settimana, appena iniziata:
Cristo si è fatto per noi obbediente fino alla morte, e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al disopra di ogni nome.
Tale antifona l’abbiamo sentita cantillare poco fa nella suggestiva melodia gregoriana, prima del racconto della Passione secondo Marco. La sentiremo ancora il venerdì santo nella acclamazione al vangelo della Passione secondo Giovanni, fino ai vespri del sabato santo, prima della veglia pasquale.           

1. Umiliò se stesso. Questa frase nuda e cruda ci provoca a passare dallo scandalo della croce alla fede nella croce. Non arriveremo mai al salto della fede del centurione romano, se prima non avremo sperimentato qualche brivido dello scandalo dei Giudei di fronte al Crocifisso, almeno qualche sussulto dello sconcerto dei pagani. Se non avremo percepito almeno qualche palpito dello stupore confuso e commosso che vibra in questo verbo – umiliarsi – quando ha per soggetto Dio. Diciamolo francamente: noi avremmo accettato senza scomporci una frase del tipo: Cristo esaltò se stesso, o affermò se stesso, o glorificò se stesso. San Paolo invece non si vergogna affatto del vangelo della croce, e continua a picchiare su questo tasto con imperturbabile tenacia. Con un Dio umile così non riusciremo facilmente ad andare in automatico. Mai.
    Umiliò se stesso. Una news così telegrafica fa risuonare alle nostre orecchie devote un ossimoro tra i più stridenti. Cristo Gesù “pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio”. Traduciamo: Gesù “non considerò lo stato di uguaglianza con Dio come una preda da non mollare”. Oppure: “non si avvalse del suo diritto di essere come Dio”. Ancora: “non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio”. Insomma da Dio si ridusse a uomo. Da uomo si ridusse a schiavo. Continua Paolo: “ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini”. Cristo è disceso dalla vertiginosa condizione di Dio fino ad abbassarsi “come uomo tra gli uomini”. Fino ad inabissarsi nel fondo più profondo della nostra umana voragine. Fino ad assumere l’umiliante condizione di schiavo. Questa è davvero l’immagine di un Dio capovolto. Ecco come ci si è rivelato Dio. Non spaventandoci. Non incutendoci un sacro terrore. Non ostentando la sua tremenda grandezza e potenza. No, Dio ci si è rivelato annientandosi, non annientandoci. Non schiacciando noi, ma lasciandosi schiacciare lui, come un verme, per tutti noi.            

2. Umiliò se stesso. Ma ora domandiamoci: dove sta il vangelo in tutto ciò? Dove sta il lieto annuncio, dove sta la notizia bella, buona, beata? Sta in questo: che Gesù si è umiliato anche per me! Si è umiliato a motivo del mio peccato. Si è umiliato al posto di me peccatore. Si è umiliato a vantaggio di ognuno di noi. Ha umiliato se stesso: non ha umiliato noi. Scrive San Paolo: “uno è morto per tutti, e quindi tutti sono morti” (2Cor 5,14). Uno si è umiliato per tutti: a motivo del peccato di tutti, al posto di tutti, a vantaggio di tutti. E come “per l’obbedienza di uno solo, tutti sono stati costituiti giusti” (Rm 5,19), così per l’umiltà di uno solo, tutti sono stati costituiti umili.
Umiliò se stesso. La superbia, madre di tutti i vizi, e l’orgoglio, padre di tutti i peccati, sono stati letteralmente bruciati nella grande fornace del più umile amore. Così ci viene dischiusa la vita nuova. Non siamo più condannati a dover correre, competere, confliggere. Non siamo più fatalmente destinati ad una esistenza basata sulla concorrenza, sull’arrivismo, sulla sopraffazione. Siamo chiamati e abilitati a vivere da persone nuove e da nuove comunità, basate sulla gratuità, sulla gratitudine, sulla grazia. In altre parole, persone e comunità che non si stancano di sognare e costruire un mondo nuovo, fondato sui pilastri della libertà, della solidarietà, della fraternità.           

3. Umiliò se stesso. E quindi? Se non possiamo limitarci ad ammirare la sua umiltà, ma siamo chiamati ad imitarla, non rischiamo così un morboso masochismo? No, non dobbiamo temere di dovere abdicare alla nostra dignità di uomini. Non dobbiamo avere paura di andare in depressione. Qualcuno, all’inizio del secolo scorso, ha accusato il cristianesimo di aver avvelenato l’umanità con il virus dell’umiltà (Nietzsche), ma poi è stata la stessa filosofia a dirci che l’esistenza umana è autentica quando riconosce la propria radicale “nullità” (Heidegger). Certo, la superbia potrà anche farci sentire dei super-uomini o dei suoer-eroi. Ma non potrà illuderci di poter diventare degli uomini-super. Non potrà mai farci superare di una spanna il basso livello delle nostre miserie. Non è umano essere orgogliosi. Mentre invece è umano diventare uomini umani, cioè umili. Del resto lo dicono le stesse parole: uomo e umiltà derivano dalla stessa radice, humus, che vuol dire terra, suolo. “Se uno pensa di essere qualcosa, mentre è nulla, inganna se stesso” (Gal 6,3). Gesù ha detto: “Chi si esalta sarà umiliato; chi si umilia sarà esaltato”. Ed è vissuto così. E così è morto. Si è svuotato della sua gloria divina. Si è lasciato mettere alla prova in tutto, come noi, tranne il peccato. Di fronte alla gioia che gli era posta davanti, si sottopose alla croce, disprezzando il disonore.
Umiliò se stesso. “Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al disopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ognuno pieghi le ginocchia e ogni lingua proclami: Gesù Cristo è Signore! Per la gloria di Dio Padre”.

Amen!

Rimini, Basilia cattedrale, 25 marzo 2018

                                                                     + Francesco Lambiasi