Se vuoi la pace, combatti la povertà Urgente un capovolgimento di logica: gli ultimi al primo posto

Omelia tenuta dal Vescovo nella Basilica Cattedrale il 31 dicembre 2008 in occasione della Giornata mondiale della pace

Lo disse una quarantina di anni fa un grande profeta della pace, Helder Camara, vescovo di Recife, nel Nord-Est del Brasile: il pericolo numero uno per l’umanità non è rappresentato dalla bomba “A” o dalla bomba “H”, ma dalla bomba “M”. Cioè, dalla bomba “miseria”.

Oggi, un altro profeta, papa Benedetto, con la forza eversiva del Vangelo, viene a ricordarci che questa bomba può esplodere da un momento all’altro. E ce lo ricorda con uno dei messaggi più audaci del suo pontificato: “Combattere la povertà, costruire la pace”, pubblicato in occasione della 42.a edizione della Giornata mondiale della pace 2009.

Sostanzialmente il Papa lancia due segnali. Anzitutto, che la povertà, nel senso di miseria, è insieme causa ed effetto della guerra. Tra guerra e miseria si dà una sorta di abbraccio mortale, per cui la miseria porta alla guerra e la guerra porta con sé la miseria. Nel cogliere questa correlazione inesorabilmente bidirezionale tra la povertà da combattere e la pace da costruire, Benedetto XVI si preoccupa fin da subito di sminare il terreno del dialogo da una obiezione ricorrente: il sottosviluppo economico e culturale non deve forse essere strutturalmente addebitato allo sviluppo demografico? La risposta del Papa è rigorosamente documentata e coerentemente articolata. Conviene riportarla per intero:

“Lo sterminio di milioni di bambini non nati, in nome della lotta alla povertà, costituisce in realtà l’eliminazione dei più poveri tra gli esseri umani. A fronte di ciò resta il fatto che, nel 1981, circa il 40% della popolazione mondiale era al di sotto della linea di povertà assoluta, mentre oggi tale percentuale è sostanzialmente dimezzata, e sono uscite dalla povertà popolazioni caratterizzate, peraltro, da un notevole incremento demografico. Il dato ora rilevato pone in evidenza che le risorse per risolvere il problema della povertà ci sarebbero, anche in presenza di una crescita della popolazione. Né va dimenticato che, dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi, la popolazione sulla terra è cresciuta di quattro miliardi e, in larga misura, tale fenomeno riguarda Paesi che di recente si sono affacciati sulla scena internazionale come nuove potenze economiche e hanno conosciuto un rapido sviluppo, proprio grazie all’elevato numero dei loro abitanti. Inoltre, tra le Nazioni maggiormente sviluppate quelle con gli indici di natalità maggiori godono di migliori potenzialità di sviluppo. In altri termini, la popolazione sta confermandosi come una ricchezza e non come un fattore di povertà”.


Il Papa passa poi in rassegna vari ambiti di povertà, di cui non si può non essere seriamente preoccupati. Il suo è una sorta di rosario, fatto di drammatici “misteri dolorosi”, quali sono i principali fattori di instabilità e di spaventosi conflitti. Eccoli, in rapida elencazione: le malattie pandemiche, come la malaria, la tubercolosi e l’aids; la povertà dei bambini, che rappresentano la metà di coloro che oggi vivono in una tremenda situazione di degrado assoluto. Un altro focolaio di alta tensione è costituito dall’enorme crescita della spesa militare che rischia di accelerare una folle corsa agli armamenti e di provocare, come fatale ricaduta, sacche di sottosviluppo e di avvilente disperazione.

Ulteriore fattore di crisi è l’attuale emergenza alimentare, che mette a repentaglio il soddisfacimento dei bisogni primari. Questo fenomeno contribuisce ad allargare la forbice delle disuguaglianze, determinando reazioni che rischiano di diventare violente e difficilmente arginabili. Infatti l’aumento del divario tra ricchi e poveri produce immancabilmente una doppia marginalizzazione delle popolazioni dei Paesi, eufemisticamente chiamati “in via di sviluppo”, che da una parte guadagnano redditi sempre più bassi, dall’altra sono costretti a pagare prezzi sempre più alti.

Il Papa non si limita a stilare una diagnosi, per quanto lucida e impietosa. Indica anche una terapia possibile, anzi obbligata e salutare, e questo è il secondo segnale del suo messaggio: occorre mettere concretamente ed efficacemente i poveri al primo posto, e perciò è indispensabile effettuare un deciso rovesciamento di logica, in tre direzioni.

Innanzitutto è urgente passare ad una corretta logica economica da parte degli attori del mercato internazionale: tale logica è corretta quando non mette in alternativa diametralmente opposta economia ed etica, perché “l’economia non è retta solo dalle leggi economiche, ma è guidata dagli uomini”, come affermava Peter Koslowski, professore di Filosofia del management alla Libera università di Amsterdam. Ma Benedetto XVI invoca anche il passaggio ad una corretta logica politica da parte degli attori istituzionali, una logica che non consideri i poveri come un fardello insopportabile o come fastidiosi importuni che pretendono di consumare quello che altri hanno prodotto. Infine il Papa reclama opportunamente la conversione ad una corretta logica partecipativa, capace di valorizzare la società civile. Infatti


“la società civile assume un ruolo cruciale in ogni processo di sviluppo, poiché lo sviluppo è essenzialmente un fenomeno culturale, e la cultura nasce e si sviluppa nei luoghi del civile”.


Solo questa logica alternativa a quelle finora seguite ci permetterà di uscire dallo “tsunami” della gravissima crisi finanziaria che si è abbattuto sul nostro “villaggio globale”

Fin qui il Papa. Se dovessi provare a rilanciare il suo slogan: “combattere la povertà, costruire la pace”, potrei arrischiare di riformularlo così: Senza giustizia la pace non sarà mai possibile. Con l’amore non sarà mai fragile.


2. Ma ora vorrei tentare di contestualizzare il messaggio papale, rapportandolo al nostro contesto riminese. Per evitare di cadere nella retorica “buonista” degli auspici altisonanti di inizio d’anno, tenterò di sfogliare velocemente il calendario del 2008 che sta per morire. E lo farò selezionando – con i criteri del messaggio del Santo Padre – quelli che ritengo i più concreti ed emergenti fatti di pace, compiuti nel campo della lotta alle varie povertà. Questa mia rilettura, volutamente selettiva e mirata esclusivamente ad evidenziare i segni positivi dell’anno che tramonta, non risponde ad una esigenza meramente consolatoria di chi ha bisogno di nascondersi la gravità eccezionale del male per non collassare dalla disperazione. Vuole essere piuttosto un esercizio pedagogico di discernimento comunitario che non rinuncia mai a leggere le parole dritte della carità evangelica, anche quando fossero scritte sulle righe storte della nostra penosa fragilità.

Questi i più notevoli ed efficaci “fatti di pace”, edizione 2008.

A gennaio, in tanti hanno partecipato a “Rimini for Africa”, la serata dedicata alla nostra dottoressa missionaria Marilena Pesaresi e al suo impegno nell’ospedale di Mutoko, in Zimbabwe. Il lavoro della dottoressa Pesaresi e dei medici e volontari che collaborano con lei è segno di lotta quotidiana contro la povertà e per la pace in un Paese in cui, proprio in questi mesi, la piaga del colera è tornata a essere una vera e propria emergenza. Il lavoro di questi missionari, e di tutti coloro che qui da Rimini li sostengono in più modi, è espressione di amore e di testimonianza che onora la Diocesi e la Città.

Nei sabati di Quaresima abbiamo vissuto l’esperienza della “Luce nella notte”. Una chiesa aperta nel cuore della notte ha visto la partecipazione di tanti giovani, che, in una società ricca di mezzi ma povera di ideali, hanno tanto bisogno di trovare o di ritrovare in Cristo il senso vero e pieno della vita.

Il campo lavoro diocesano di aprile, è stata un’esperienza di servizio ma anche di collaborazione tra anime diverse del nostro territorio, unite dal comune obiettivo della solidarietà. Gli oltre 126mila euro raccolti dai riminesi hanno permesso di aiutare le missioni diocesane in tutto il mondo.

A maggio, in sala Manzoni, c’è stato un incontro pubblico sulla prostituzione, in memoria di don Oreste, che tanto si è impegnato nella denuncia di questa piaga sociale. Grande la partecipazione, per una serata di riflessione su una forma di povertà che toglie la pace nel cuore e la dignità di esseri umani alle tante ragazze schiavizzate.

Molte le esperienze di impegno e servizio di giovani riminesi all’estero durante l’estate. Ne cito due per tutte: gli scout di alcuni clan dell’Agesci che sono stati nella missione diocesana di Kucova in Albania per un campo di lavoro, e i 10 liceali riminesi dell’ACI che hanno fatto un viaggio missionario in Etiopia.

Nel mese di luglio, mentre nelle cronache nazionali esplodeva il caso di Eluana Englaro, ho ricevuto la lettera di Amedea Parma, mamma di Davide, un ragazzo della parrocchia di don Oreste, in coma vegetativo da otto anni. La signora, molto colpita dalla vicenda di Eluana, ci ha spiegato perché, pur tra tante difficoltà, ha scelto di non staccare la spina a suo figlio. “La spina la deve staccare solo il Padre nostro” ha scritto. Quando l’ho incontrata, mi ha detto: Se dovessi rinascere, rifarei la stessa scelta, quella che giorno dopo giorno, sto portando avanti da otto anni”.

Il Meeting per l’amicizia dei popoli, ad agosto, ha fatto della nostra città un crocevia e un luogo di incontro fra persone ed esperienze da tutto il mondo. Con gioia abbiamo accolto le testimonianze di chi ha saputo vivere da protagonista la propria vita, giocandosela in prima persona per metterla a servizio degli altri.

Settembre: in cinquecento da tutta la diocesi vivono l’esperienza del pellegrinaggio in Terra Santa, la Terra di Gesù. Il pellegrinaggio è stato per alcuni anche occasione di riavvicinamento alla fede: la pace del cuore, raggiunta in una terra che non trova pace, come purtroppo ci ricordano le notizie di questi giorni.

Ai primi di ottobre, l’Assemblea diocesana, mi offre l’occasione di sentirmi con don Mauro Evangelisti, gravemente malato e amorevolmente assistito dalla Comunità di Montetauro. Il sorriso e la serenità con cui don Mauro affronta la disabilità pressoché totale, ci dice che la “povertà” rappresentata dal dolore fisico può farsi dono e diventare testimonianza di fede e di amore.

La vicenda di Andrea Severi, il barbone bruciato alla Colonnella nei primi giorni di novembre, ha portato la nostra città alla ribalta delle cronache nazionali in senso negativo. Le quaranta famiglie che, rispondendo all’invito dell’Associazione Papa Giovanni XXII, hanno accolto in casa un barbone per il pranzo di Natale dimostrano come un evento tanto grave possa generare una reazione altrettanto forte, ma in senso positivo.

A dicembre la Caritas diocesana ha ricevuto dal Comune di Rimini il Sigismondo d’Oro. La stessa Caritas, che quest’anno ha festeggiato i suoi trent’anni a servizio della diocesi. Il premio ricevuto è il riconoscimento di un impegno, che viene profuso a favore dei tanti poveri che sono attorno a noi.

Questi e tanti altri “fatti di pace” ci dicono che sperare la pace si deve, e si deve, perché si può. La speranza cristiana non è solo un protendersi verso cose che verranno in un giorno lontano, ma, nella certezza di una promessa ricevuta, già cambia il presente, produce fatti e cambia la vita.

Così la “massa” della memoria del Natale di duemila anni fa, diventa “energia” di pace per il nostro Natale di ogni giorno.