Prendersi cura della vita fraterna

Omelia del Vescovo per la Giornata della Vita Consacrata

Una parola – ‘cura’ – contenuta due volte in un solo versetto. E’ rimbalzata poco fa dalla prima lettura. Folgorante come un lampo che squarcia il buio pesto di una notte senza luna e senza stelle. Tenera e leggera, come una folata di brezza che ti raggiunge quasi impercettibile, al modo di una dolce carezza. Quel versetto lo abbiamo ascoltato poco fa, tratto dalla Lettera agli Ebrei: “(Cristo) non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura” (2,16).

1. Sorelle e Fratelli, “teniamo fisso lo sguardo su Gesù” (Ebr 12,2). Viene da chiedersi: perché Cristo non si prende cura degli angeli, mentre dei discendenti di Abramo si prende cura? L’espressione della sacra Scrittura è marcatamente polemica. L’autore ispirato punta a ridimensionare l’interesse eccessivo riservato agli angeli da alcuni super-devoti che ne mitizzavano il ruolo. Per questo l’agiografo mira a dimostrare che il Figlio di Dio, incarnato e glorificato, è “diventato superiore agli angeli” perché possiede una capacità di mediazione ben più valida ed efficace di quella degli angeli. E questo per due ragioni inoppugnabili: perché Cristo, in quanto vero Figlio di Dio, è più unito a Dio di quanto non lo siano quei ‘puri spiriti’. Inoltre, in quanto incarnato, Cristo è, infinitamente più di loro, indissolubilmente unito agli uomini. Infatti Cristo è Dio con Dio e uomo con gli uomini. Pertanto gli angeli sono, al più dei semplici intermediari, per il fatto che sono esterni all’una e all’altra sponda: quella divina e quella umana. Cristo, al contrario, non è esteriore o estraneo a Dio e agli uomini, e perciò la sua mediazione è profonda e inclusiva, avvolgente e assimilante.

Commuove davvero questo accento posto sulla cura che Cristo assume a nostro esclusivo vantaggio, per noi uomini e per la nostra salvezza. Per prendersi cura di noi, Gesù, veramente e perfettamente Dio, si è fatto veramente e perfettamente uomo. E’ diventato uomo per sempre ed è diventato sempre più uomo. L’espressione della massima comunione con l’umanità peccatrice è la condivisione della nostra morte. Se l’inesorabile regista e tenebroso protagonista del male, l’implacabile manager della morte, il diavolo, ci schiavizza con la paura della morte, Cristo ha cambiato radicalmente il senso della morte. Perché non l’ha bypassata, non ha messo in salvo la pelle, ma ha vissuto la croce con assoluta fedeltà a Dio e come espressione della massima condivisione con noi, poveri e fragili esseri umani. Pertanto è proprio dall’interno che la morte viene snervata della sua forza ricattatoria e schiavizzante. E si è trattato, da parte di Gesù, di una condivisione assoluta e assolutamente gratuita. Non si è offerto per amor proprio, per interesse privato o per profitto personale, ma per amore. Solo e solamente per amore.

2. Sorelle e Fratelli tutti, che vivete nella vita consacrata, con tutto il rispetto e l’affetto che nutro per voi, vorrei provare ora a declinare una sorta di ‘grammatica della vita fraterna’, come segno attraente e credibile di carità e di amorevole cura reciproca, per disegnare di nuovo la fantastica architettura dell’edificio della fraternità. Vorrei pertanto richiamare un ‘quadrilatero di certezze fondative’ che aiutano a costruire ogni comunità come ‘casa della fraternità’.

In primo luogo la vita fraterna va concepita come un dono che viene dall’alto. Prima di essere una costruzione umana, prima di essere il frutto dello sforzo personale e dell’impegno comunitario, prima di essere il risultato di imprescindibili dinamiche di gruppo, la fraternità è dono che viene dall’alto. Un dono che proviene dal dono dei doni: lo Spirito Santo in persona.

E questa è la seconda certezza. E’ il dono dello Spirito che rende possibile la fraternità. E’ la legge della Pentecoste. Delle persone che prima non si conoscevano, o che avevano sperimentato al loro interno divisioni, strappi laceranti e aspri conflitti, come gli stessi discepoli di Gesù prima della sua Pasqua, ora vivono come fratelli e sorelle, mettendo tutto in comune, con un cuore solo e un’anima sola. Insisto: la vita fraterna è dono, perché è intervenuto il dono dello Spirito del Risorto. Il passaggio dall’homo homini lupus all’homo homini frater, questo passaggio sognato e agognato per secoli e millenni, che sembrava un abbagliante miraggio e tante volte si era inesorabilmente trasformato in frustrante incubo, questo passaggio a Pentecoste è divenuto realtà. Una gioiosa, credibile, invitante, contagiosa realtà.

In terzo luogo, la vita fraterna in comunità si concepisce come modellata sull’immagine di Chiesa, come l’ha affrescata Luca negli Atti degli Apostoli. Per il terzo evangelista la Chiesa si potrebbe tratteggiare come una fraternità in cammino, come una comunità in comunione, come un vero ‘sinodo’: una fraternità dove i membri camminano insieme, insieme vivono, pregano e operano insieme. E’ questo l’ideale di Chiesa al quale, nella lunga storia del popolo di Dio, sono ritornati i grandi fondatori degli ordini e delle congregazioni religiose, come pure i vari iniziatori di movimenti di rinnovamento spirituale e di riforma ecclesiale. Così di volta in volta è iniziato qualcosa di nuovo. E’ germogliato qualcosa di simile alla fresca novità primaverile delle origini.

La quarta affermazione concerne il valore dei voti religiosi come riferimenti ineludibili per vivere una limpida, intensa, gioiosa vita fraterna. In particolare, il voto della castità perfetta. In effetti occorre sempre ricordare che verginità e celibato non si scelgono per sottrarsi all’impegno in una vita di coppia e alle responsabilità di una famiglia. Si scelgono piuttosto per amare più intensamente Dio, le sorelle e i fratelli tutti. Per accendere un segnale che, anche senza una persona che risponda al tuo amore, è possibile amare dando e trovando gioia. Che si può riempire una vita prendendosi cura di chi ha bisogno, anche se non ha legami di sangue o di affetto con te. Per dire con la vita che Dio non è una idea astratta e impalpabile, ma è Persona, anzi è comunione di tre Persone. Per dire che Dio è amore, che si occupa e preoccupa di noi con cura materna e premura paterna, anche se i sensi non lo percepiscono e il cuore talvolta si affatica ad attenderlo.

Qui il pensiero si intreccia con quello del cammino sinodale. Se è vero che sinodo letteralmente significa ‘camminare insieme’, dedico a tutte le vostre fraternità presenti nella nostra Chiesa riminese una sentita, cordiale benedizione. Con un caloroso augurio: che in tutte e in ciascuna si riscontri la perfetta letizia del perfetto ‘insieme’. Un insieme che si verifica all’ennesima potenza quando si evitano due estremi. Quello dell’estremo individualismo, quando ognuno vuole essere il tutto. E quello del centralismo estremo, quando uno (solo) vuole essere il tutto. Nel primo caso la comunità si surgela e muore per il troppo freddo. Nel secondo caso la comunità si surriscalda e soffoca per il troppo caldo.

Solo tutti possono essere tutto. E solo l’insieme può essere l’unità di tutti.

Ora questo augurio si fa preghiera. Una calda, accorata preghiera. Camminiamo insieme!

Rimini, Basilica Cattedrale – 2 febbraio 2022, Presentazione del Signore

+ Francesco Lambiasi