Per una santità di popolo

Omelia tenuta in Cattedrale nella ricorrenza del 3° anniversario della morte di Chiara Lubich
Rimini, 14 Marzo 2011

1. È la terza volta che ci ritroviamo in preghiera per fare memoria di Chiara.

La prima volta eravamo nei giorni del suo santo viaggio, e il nostro cuore era stretto tra due sentimenti, come accadde ai discepoli nel giorno dell’ascensione del Signore. Il primo, un sentimento di rammarico: quante occasioni perdute! quanti doni d’amore non colti! quante luci disperse! quante parole e sguardi scivolati via… Come faremo ora? Poi, un senso di struggente malinconia: Non potremo più ripetere quel che si viveva prima; non succederanno più quei fatti prodigiosi; dove trovare quella luce e quel senso agile e alto della vita?. Ma, ne sono sicuro, alla fine ha prevalso un sentimento di fede: Chiara è più viva di prima, e il Movimento da lei nato non è diventato un vulcano spento. E se anche una sola scintilla di quel grande fuoco ci ha incendiato il cuore, allora sentiamo che questa memoria non ci fa ripiegare sul passato, ma ci fa leggere la storia come memoria, perché la vita si vive in avanti e si comprende all’indietro.

Benedetto XVI in questi ultimi tempi ci richiama particolarmente a leggere la storia come memoria: non come una successione piatta di fatti più o meno éclatanti, di avvenimenti più o meno sconvolgenti. Il Papa ci invita a cogliere quel filo d’oro che partendo dal cuore di Dio, congiunge tutti gli eventi per riportarli tutti a Lui. Andare controcorrente oggi – sembra volerci dire Benedetto XVI – non significa armare nuove forze morali contro qualcosa o, tantomeno, qualcuno ma superare il tran-tran di quella ordinarietà opaca e scialba che è parente stretta del torpore e dell’indolenza. A introduzione del ciclo di catechesi del mercoledì dell’anno scorso sui Maestri Francescani e Domenicani, il Papa disse: All’inizio del nuovo anno guardiamo alla storia del Cristianesimo, per vedere come si sviluppa una storia e come può essere rinnovata. In essa possiamo vedere che sono i santi, guidati dalla luce di Dio, gli autentici riformatori della vita della Chiesa e della società” (Udienza Generale, 13 Gennaio 2010).


2. Sono sicuro che se ora chiedessi alla nostra dilettissima madre e sorella Chiara di suggerirmi un abbrivio per la riflessione che vengo a proporvi, non esiterebbe a rispondermi: occorre partire sempre dalla parola di Dio. Quindi, qui per noi, dalla parola del Signore appena proclamata.

Nel brano del Levitico abbiamo ascoltato: “Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo” (Lv 19,2). Per varie volte ricorre il ritornello: Io sono il Signore. Dio mette avanti la sua autorità, ma non si tratta di un atto di imperio, perché la sua è una autorità d’amore: Io sono vostro, significa dire da parte di Dio: Io vi amo. Pertanto praticate la giustizia che è la prima tappa della carità. Non fate del male, per rispetto verso di me, perché io sono Dio.

Se passiamo dal Levitico al vangelo di Matteo, ci troviamo in un altro mondo. Gesù non parla della sua autorità, ma della sua persona e si identifica con i poveri. E’ una enorme sorpresa, anche i giusti ne sono sconcertati: “Quando ti abbiamo visto?”. E il Re: “Anche se l’avete fatto a uno solo di questi piccoli, l’avete fatto a me”. Qui non si tratta più di giustizia, ma di vera carità; non sono precetti negativi come nell’AT (Lv 19,11-19). Qui si tratta di compiere il bene, di andare incontro ai bisognosi (Mt 25,35-39).

3a. Santità di popolo

Da questi brani scaturiscono molti messaggi. Ne raccogliamo tre, che incrociano altrettante dimensioni della spiritualità di Chiara Lubich e dell’Opera di Maria. Nell’imperativo-esortativo del Levitico: “Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo” colpisce la formula plurale: Dio si rivolge all’intero popolo di Israele come a una comunità, un solo popolo. Sappiamo quanto in questo ideale della santità di popolo Chiara e il suo Movimento trovino una corda sensibilissima. Ecco il suo richiamo:

“Quando è iniziato il Movimento, c’era nell’aria, in certi ambienti, un concetto di santità che poco ci convinceva. Avevamo l’impressione che, nonostante la buona volontà, molte persone, volendo farsi sante, si ripiegassero un po’ su se stesse e ci       pareva che a volte potesse essere anche una forma di sublime egoismo che non        corrispondeva alla nostra vocazione di vivere sempre nell’amore, proiettati fuori di noi a “vivere l’altro”. Abbiamo quindi accantonato quell’idea di santità. Nello stesso       tempo si ripresentava alla nostra mente una parola: Questa è la volontà di Dio, la            vostra santificazione (1Ts 4, 3). Ho chiesto allora alla Madonna che lei mi     facesse scoprire quale tipo di santità voleva da noi.           E ho capito che la nostra è       una santità originale come è originale la nostra spiritualità. Era come se la         Madonna mi dicesse: Tu non puoi farti santa da sola; tu devi farti santa insieme con gli altri, con le prime focolarine, i primi focolarini,    con tutti. Quello    che io voglio da te è una santità collettiva, perché tu devi amare          l’altro come te.      Quindi se tu vuoi essere perfetta, devi cercare questa stessa cosa          anche per gli         altri. Così abbiamo capito che la nostra santità era una cosa molto nuova,          moderna, molto attraente, perché è una santità di popolo. Ci sono, in          effetti,          centinaia di          persone di tutte le età già partite per l’altra vita, per le quali io          metterei una mano         sul fuoco: questo è un santo; questa è una santa. Noi non          abbiamo fatto niente per portare avanti un processo di canonizzazione. E’   successo però che, in varie diocesi, si sono messi in moto i vescovi e ormai ci sono già vari ‘servi di Dio’, fra i membri del Movimento”.

3b. Amore ai poveri

Già negli anni quaranta a Trento, durante la seconda guerra mondiale, Chiara Lubich e le sue prime compagne risanarono ferite fisiche e morali. C’era chi doveva essere sfamato, dissetato, vestito, ma anche chi doveva essere istruito, consigliato, sopportato, chi aveva bisogno di preghiere. Si cominciò così ad avvertire tutta la potenza che il carisma dell’unità portava con sé, generando effetti sugli aspetti terreni dell’esistenza. Questa vita, fatta di azione e contemplazione insieme, attirò fin dal suo sorgere persone di ogni categoria sociale, tra queste, Igino Giordani: giornalista, deputato e scrittore, considerato “confondatore” del Movimento.

Chiara Lubich spiegò poi il germe di quella rivoluzione che risvegliò nelle prime focolarine il desiderio ardente di amare Dio e che si concretizzò nell’amore al prossimo. Agli inizi del Movimento una delle prime intuizioni spirituali fu la comprensione di Dio come Amore. “All’Amore non si può rispondere che con l’amore, e l’amore per Dio, come risposta al suo essere Amore per noi, si è concretizzato subito in amore al prossimo. Chiunque incontravamo nella vita diventava oggetto delle nostre attenzioni, delle nostre cure, delle nostre premure”.        La strategia è sempre la stessa: attuare un progetto di fraternità che è il fine, ma anche il mezzo di azione; è la prassi, ma è anche la dottrina a cui ogni volta è necessario ritornare, per coinvolgere e valorizzare le professionalità e le competenze di ogni singolo, che sono messe in rete, fatte circolare per il bene comune.

3c. Spiritualità di comunione

Giovanni Paolo II nella “Novo Millennio Ineunte” considera la spiritualità di comunione tra gli aspetti fondanti della vita della Chiesa.

La domanda, che ora ci poniamo, mi pare debba vertere su due versanti: quale è il segreto, il punto di leva per raggiungere tale alto livello di comunione? quali sono le ricadute che deriveranno alla Chiesa e al mondo intero?

Oggi andare in profondità non richiede l’isolarsi dagli altri, quanto piuttosto il coltivare rapporti puri e corretti: è nel rapporto che si manifesta la luce del carisma. È nell’accoglienza reciproca che si coglie la volontà di Dio su di noi; è nella pazienza di fissare e riconoscere Gesù nell’altro, superando lo scandalo dei suoi limiti, che diventano chiare le linee guida del nostro operare nella Città; è nel «cointeresse» – come è bella questa parola coniata da Chiara! – nel mettere, cioè, le nostre idee sotto il moggio delle qualità del fratello, che la luce della carità brilla ed indica percorsi nuovi e sicuri per la storia.

Chiara amava spesso dire: “Le cose piccole sappiamo farle anche noi, ma le cose grandi le fa solo Dio!” Dunque, fatterelli: piccole azioni motivate da interessi circoscritti, piccoli passi quotidiani… sono le «cose piccole», cioè tutto ciò che non va oltre il limite della temporalità e dei nostri piccoli schemi – tutto quel che possiamo fare noi.

«Le cose grandi sono di Dio»: è Lui che segna l’orizzonte; è Lui che traccia l’arco del cielo, e lì nelle mappe del cielo sono segnati i progetti della terra; è Lui che tiene in mano l’«oggi» dell’Opera, l’«oggi» della Chiesa, l’«oggi» del mondo: quando noi tendiamo alla «misura alta della vita cristiana» – come ama dire Papa Benedetto – Dio è nella libertà di realizzare i suoi grandi progetti a beneficio dell’uomo!

+ Francesco Lambiasi