Per una Città viva e vivibile

Messaggio alle Autorità in occasione della Festa di s. Gaudenzo ‘08

Saluto con sincero rispetto e viva cordialità le pubbliche Autorità e le Personalità della società civile, che, come ogni anno, nella lieta ricorrenza della solennità di s. Gaudenzo, patrono della cara Città di Rimini, si incontrano con il Vescovo della Diocesi.

Esattamente un anno fa, nella stessa ricorrenza, ebbi modo di segnalare ai Responsabili delle istituzioni e all’opinione pubblica tre problemi che mi sembravano particolarmente urgenti: la piaga della prostituzione, l’emergenza- casa, la questione dei giovani.

In questo messaggio desidero ritornare su queste situazioni tanto delicate per  aggiornare su quanto la nostra Diocesi sta cercando di fare al riguardo.

1. Circa il primo problema, quello della prostituzione, mi sono attivato nel richiamare l’attenzione della città e dell’intera comunità diocesana su un problema così grave e drammatico, sia ricordando la positiva esperienza fatta nel nostro territorio qualche anno fa e che aveva registrato una parziale liberazione dal fenomeno, sia tenendo viva la memoria del compianto Don O. Benzi che tanto si era speso per il riscatto di molte donne, aiutandole ad uscire dalla loro triste situazione, a trovare un lavoro onesto e a ritrovare la loro dignità di persone. Purtroppo, proprio dopo la morte di Don Oreste, si è registrata una impressionante recrudescenza di tale fenomeno tra i più vergognosi, crudeli, disumani. Pertanto, dopo opportuna preparazione, in sinergia tra la nostra Scuola di formazione socio-politica, la Caritas diocesana e la “Papa Giovanni”, si è dato vita nel maggio scorso ad una conferenza, che è risultata molto partecipata, allo scopo di informare e sensibilizzare l’opinione pubblica al riguardo. Una piaga del genere infatti non si sana legalizzandola, ma neanche nascondendola o ignorandola. Si dirà che è inutile parlarne, perché la prostituzione “c’è sempre stata e sempre ci sarà”. Ma non è inutile – anzi è doveroso – che si levi un grido di protesta contro un fenomeno malvagio e brutale che trova nel silenzio generale una ipocrita giustificazione, se non una tacita approvazione. Dopo la condanna esplicita di “tutto ciò che offende la dignità umana, come la schiavitù, la prostituzione, il mercato delle donne e dei giovani” da parte del concilio Vaticano II (GS 27), il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa (2004) rileva che “la solenne proclamazione dei diritti dell’uomo è contraddetta da una dolorosa realtà di violazioni, quali il diffondersi pressoché ovunque di forme sempre nuove di schiavitù, come il traffico di esseri umani, la prostituzione” (n. 158). Come si sa, recentemente il Consiglio dei ministri ha dato il via libera a un disegno di legge, che introduce tra l’altro il reato di esercizio della prostituzione in strada e in generale in “luogo pubblico”. Personalmente ritengo che il disegno di legge si possa vedere come un passo avanti sulla strada del contrasto del fenomeno, purché non porti alla dilatazione della piaga della prostituzione in appartamento, favorendo così il passaggio dalla strada alla “casa chiusa” privata. Nell’anno che la nostra Diocesi consacra alla contemplazione del Volto del Signore, è importante  non dimenticare i volti e le storie delle vittime, schiave dei loro cinici e spietati “protettori”, le cui pesanti minacce si trasformano in abusi sessuali, sfregi, torture, omicidi.

2. Riguardo alla seconda emergenza – quella della casa – va detto che la situazione permane purtroppo assai critica. A farne le spese sono soprattutto giovani coppie – che si vedono costrette a rinviare la data del matrimonio, a limitare il numero dei figli – ma ne risultano pesantemente penalizzati  universitari fuori-sede, e immigrati. In questo anno la nostra Diocesi, tramite l’Ufficio di Pastorale Sociale e la Consulta delle Aggregazioni laicali ha approfondito il problema circa i dati statistici, le conseguenze, i possibili interventi. Parallelamente ha aperto un “tavolo” di studio e di progettazione, coinvolgendo varie realtà (Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero, Fondazione S. Giuseppe, Fondazione En.A.I.P. e la Diocesi stessa) per elaborare un progetto di housing sociale, tramite la realizzazione di unità abitative e servizi ad esse collegate, destinate in particolare alle giovani coppie e, contemporaneamente, mirate ad offrire un “pronto soccorso abitativo” per famiglie che si trovano in una situazione di urgente bisogno, cercando nello stesso tempo di evitare la creazione di ghetti di emarginazione sociale. Gli appartamenti saranno da intendersi come sistemazioni transitorie in cui le famiglie, nuove e non, potranno, con un costo accessibile, stabilirsi per un arco di tempo ragionevole e limitato, tale da permettere loro di cominciare, con serenità, a lavorare alla ricerca di una nuova sistemazione. Non si tratta, quindi, di un intervento di tipo assistenziale, ma di un’azione volta a supporto delle famiglie in difficoltà, per aiutarle a percorrere la strada verso condizioni di autonomia e di integrazione sociale. Confidiamo che questo progetto possa essere realizzato in tempi ragionevoli. E comunque esso vorrebbe essere un segno, anche se modesto, che è possibile una soluzione integralmente umana e civile dell’emergenza abitativa, solo se si percorreranno strade alternative a quelle dettate dalle spietate logiche del mero profitto e della speculazione edilizia.

3. Nell’anno trascorso la nostra Diocesi, seguendo una tradizione ben collaudata in passato, si è impegnata molto nel mettere a tema la questione dei giovani e nel riproporre l’attenzione educativa alla loro formazione umana e cristiana come fondamentale, non solo per la vitalità dell’intera comunità ecclesiale, ma anche per il bene di tutta la comunità civile. In questa prospettiva ai giovani sono stati proposti alcuni eventi che sono andati ad innestarsi nei numerosi e significativi percorsi, offerti dalle parrocchie o dalle associazioni, movimenti o varie realtà ecclesiali. Tra questi, il primo incontro del nuovo Vescovo con i giovani della Diocesi, partecipato da oltre 1.500 ragazzi, nello scorso novembre. Cifre parimenti consistenti, segno di un interesse davvero sorprendente, hanno registrato anche altri eventi, come il grande convegno della vigilia delle Palme e la celebrazione della Giornata Mondiale della Gioventù, avvenuta in Cattedrale, in concomitanza con l’incontro del Papa con i giovani convenuti a Sydney, il 19 luglio scorso. Particolare rilevanza hanno avuto gli incontri in piazza Tre Martiri e nella chiesa dei Paolotti, nel contesto dell’esperienza chiamata “Luce nella notte”, nei sabati di quaresima, un’esperienza, che, dato l’esito assai lusinghiero, verrà riproposta anche il prossimo anno. In questa linea sono lieto di annunciare la ripresa della piena attività del “Punto Giovane” di Riccione – per offrire possibilità di incontro e di formazione a tantissimi giovani – e il proseguimento di un’analoga iniziativa a Bellaria. Proporre ai giovani una piena appartenenza alla Diocesi, coinvolgerli nella esaltante esperienza dell’incontro con Cristo, renderli protagonisti dell’annuncio cristiano ai loro coetanei è, per la Chiesa riminese, una strada aperta per suscitare domande e proporre risposte significative ai grandi desideri della loro vita.

Ad un anno di distanza mi vedo però costretto a riproporre delle domande che permangono attuali ed urgenti. “Quello dei giovani non è un problema solo per la Chiesa e per la sua proposta di fede e di vita. E’ un problema di tutti, è un problema sociale. Che cosa offriamo ai nostri giovani e a coloro che qui convengono da varie parti d’Italia? Offriamo divertimento, consumi, stili di vita spesso sopra le righe. E’ di questo che hanno bisogno i nostri giovani? Interroghiamoci. E ancora: qual è il livello educativo della nostra scuola? Educare non è semplicemente trasmettere conoscenze e abilità tecniche ma, molto più,  è comunicare significati per la vita, amore per la verità, impegno di solidarietà, spirito di cittadinanza; educare è promuovere libertà vera e senso di responsabilità. Ancora: quale attenzione reale a questi aspetti della vita dei giovani vi è nelle cosiddette politiche giovanili? Quale attenzione e rispetto per i giovani vi è nelle attività private e imprenditoriali? Quale coinvolgimento e responsabilizzazione dei giovani stessi in ciò che così da vicino li riguarda? Quale rapporto con le famiglie? E – per le famiglie – quale impegno per i loro ragazzi, non ridotto a mero permissivismo e a un malinteso senso di protezione, che non fa crescere?”.

4. Vorrei soffermarmi ora, con particolare attenzione, su un problema, che se adeguatamente risolto, potrebbe diventare una notevole risorsa: quello degli immigrati. Secondo i dati forniti dall’Osservatorio Demografico Provinciale, i cittadini non italiani residenti sono arrivati nel 2007 a quota 22.545, il 7,6% della popolazione residente complessiva, con un incremento, sull’anno precedente, del 14% (2.766 persone). Le nazioni di provenienza sono 125, anche se la nazione con i componenti più numerosi è l’Albania, seguita dalla Romania e dall’Ucraina. Il passaggio da una società monoculturale a una società multiculturale solleva non poche questioni sociali ed etiche, e richiede una vera e propria cultura dell’accoglienza, che sappia coniugare il diritto alla sicurezza con il dovere della solidarietà e faccia apprezzare i valori genuinamente umani degli altri, al di sopra di tutte le difficoltà, per arrivare ad una autentica “convivialità delle legittime differenze”.         I cristiani si sentono impegnati a rispondere all’invito di s. Paolo: “Accoglietevi gli uni gli altri, come Cristo accolse voi, per la gloria di Dio”. “Nella Chiesa – ci ricorda il Papa nel messaggio per la 95.a Giornata mondiale del migrante e del rifugiato – non c’è posto per discriminazioni e distinzioni di razza”. Nell’Angelus del 31 agosto scorso Benedetto XVI ha richiamato i Paesi europei al dovere di “sviluppare di comune accordo iniziative e strutture sempre più adeguate alle necessità dei migranti irregolari”. Occorre peraltro una corretta politica migratoria che assicuri a tutti i migranti la certezza del diritto, evitando accuratamente ogni forma di possibile discriminazione e rigettando sentimenti e manifestazioni di xenofobia e razzismo. Grande attenzione va data all’unità familiare e alla tutela dei minori, spesso compromesse dai flussi migratori. Più in generale “occorre creare condizioni di accoglienza e di dignità per tutti coloro che rispettano le regole della convivenza e si impegnano per una reale integrazione”, come ebbe a dire il card. A. Bagnasco, Presidente della C.E.I.

Vorrei qui, in particolare, attirare l’attenzione sul fenomeno delle badanti che si prendono cura di persone anziane o disabili, o che esercitano il servizio di collaboratrici domestiche. Va notato che, assistendo un anziano o un disabile, le donne immigrate fanno risparmiare denaro pubblico alle istituzioni che dovrebbero offrire residenze sanitarie o almeno sussidi proporzionati per l’assistenza a tali persone. Inoltre le badanti, fornendo un’assistenza domiciliare, sono in grado di offrire una qualità di cura “a livello familiare” che le relative strutture pubbliche non possono prestare. Mi unisco perciò a quanti – a cominciare dalle famiglie degli anziani e dei disabili che usufruiscono del lavoro di cura da parte delle badanti – chiedono che venga accolta la richiesta della loro regolarizzazione, secondo la legge.

Come Chiesa diocesana, mentre continueremo a vigilare e ad impegnarci sul tema della prostituzione, della casa e dei giovani, terremo in particolare considerazione l’emergenza dell’immigrazione e l’aspetto specifico del servizio delle badanti.

Sono certo che, come in passato, per il bene della nostra città, per la qualità della vita e per la serena convivenza dei cittadini, si creerà una costruttiva collaborazione tra la Diocesi e le Istituzioni civili.

E di questo vi esprimo fin d’ora la mia più viva gratitudine.

Rimini, 14 ottobre 2008

+ Francesco Lambiasi