Ogni uomo è mio fratello

La fraternità, via della pace

Omelia tenuta dal Vescovo nel corso della Messa per la Giornata Mondiale della Pace     

Parola maiuscola e fragile, fraternità è tra le parole più facili da capire, tra le più difficili da attuare. E papa Francesco quest’anno l’abbina a un’altra parola, anch’essa essenziale, preziosa, ma troppo spesso amara e drammatica: pace. Fraternità e pace: un binomio inscindibile, esigente e coinvolgente, che attraversa tutta la storia dell’umanità. Già nella Genesi, la fratellanza è considerata una realtà costitutiva dell’umano, ma è realtà povera, contraddetta dall’istinto del male, dipinto come un cane rognoso, “accovacciato alla porta” di ciascuno di noi, e di cui Abele è la prima vittima innocente. Qualche decennio fa, l’opinione pubblica fu colpita dall’accorato richiamo di Paolo VI: “Ogni uomo è mio fratello” (1971). Vi si coglieva l’eco della Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo: “Tutti gli uomini nascono liberi e uguali nella dignità e nei diritti; essi sono dotati di ragione e di coscienza, e devono comportarsi gli uni gli altri come fratelli”. Più vicino a noi, in occasione della sua morte, è stato rilanciato il grido pressante di Nelson Mandela: “Tutti siamo nati per essere fratelli”. Fratelli, dunque, si nasce, ma la fraternità non è un semplice dato anagrafico: è una vocazione. Fratelli si diventa.

1. Dov’è tuo fratello?

         Dovrei ora proporre una sintesi del messaggio di Francesco, per la Giornata della Pace. Mi piacerebbe seguire il papa nei sentieri invitanti e impegnativi da lui tracciati per mostrare come la fraternità riesca a sconfiggere efficacemente la povertà (nn. 5-6), come ci ottenga finalmente l’ambizioso risultato di spegnere ogni guerra (n. 7), come contrasti drasticamente la corruzione e il crimine organizzato (n. 8). Ma con il poco tempo disponibile rischierei di compilare un riassuntino talmente schematico e scontato da risultare superfluo e, forse, perfino banale. Non farei così un buon servizio né al papa né a voi.

         Preferisco invece effettuare una sorta di ‘ingrandimento’ di un passaggio decisivo nel messaggio papale, quello in cui Francesco ci prende per mano e ci guida nella rilettura di una pagina biblica fondamentale “per comprendere meglio la vocazione dell’uomo alla fraternità, per riconoscere più adeguatamente gli ostacoli che si frappongono alla sua realizzazione e individuare le vie per il loro superamento”. E’ la pagina di Caino e Abele, a cui il papa dedica un intero paragrafo (n. 2).

         Il racconto di Caino e Abele è di una incredibile densità emotiva. Narra la comparsa della fraternità sulla faccia della terra – in effetti è la prima volta, in assoluto, che nella Bibbia appare la parola ‘fratello’ – ma quella ‘saga’ vuole rispondere a una delle domande cruciali della storia umana: da dove viene la violenza? come mai un fratello diventa lupo per l’altro fratello? Lo sappiamo: Caino e Abele, come Adamo ed Eva, non sono personaggi storici, necessariamente esistiti. Sono degli archetipi, delle figure simboliche, in cui l’autore sacro retroproietta alle origini ciò che si presenta come esperienza generale della vita umana. Noi occidentali, quando vogliamo rendere ragione delle cause profonde di certi fenomeni, ricorriamo a simboli spaziali. Diciamo, per esempio: “alla base di questo fenomeno”, oppure: “alla radice di questo malanno”, o ancora: “al fondo di questa situazione”. Gli orientali invece adottano simboli temporali: “in principio”, “all’inizio”, “nei tempi primordiali”.

         Nella pagina di Caino e Abele, in forma narrativa, in chiave simbolica, con la rappresentazione di personaggi prototipici, si tenta una spiegazione del perché si scatena la violenza, questa tragica esperienza dell’umanità di ieri, di oggi, di sempre. Dopo la narrazione – anch’essa simbolica – della ‘avventura sventurata’ della prima coppia umana – l’Adamo e la Eva, ossia l’Uomo e la Donna – si passa alla rappresentazione emblematica della prima coppia di fratelli: Caino e Abele. I due sono ugualmente uomini, ugualmente figli, e sono pure reciprocamente fratelli. Ma tra i due fratelli si instaurano tre differenze. La prima è di ordine naturale: Caino è il primo, il maggiore, il figlio primogenito, con tutta la dignità che in antico rivestiva la primogenitura e con la sua conseguente superiorità sui fratelli minori. La seconda differenza è di tipo culturale: Caino è agricoltore, Abele è pastore. In verità noi sappiamo che i primi uomini non sono stati né pastori né contadini, ma cacciatori. Perciò la distinzione sta a dire che il racconto non ha pretese di storia obiettiva. La terza differenza tra i due fratelli è cultuale: “Trascorso del tempo, Caino presentò frutti del suolo come offerta al Signore, mentre Abele presentò a sua volta primogeniti del suo gregge e il loro grasso. Il Signore gradì Abele e la sua offerta, ma non gradì Abele e la sua offerta”.

         Qui non immaginate quanti fiumi di inchiostro sono corsi per assolvere il Padreterno da ogni accusa di favoritismo e di arbitrarietà. Ad esempio, secondo sant’Ambrogio – sulla scorta di 1Gv 3,12 – Caino, a differenza di Abele, avrebbe offerto in ritardo (“trascorso del tempo”) i frutti della terra e non le primizie, e quindi non sarebbe stato né sollecito con Dio, né generoso nelle offerte. La risposta più giusta, accreditata dai commentatori più autorevoli, è semplicemente la seguente: Dio preferisce Abele, perché è il minore. Infatti Dio è così: parte sempre dagli ultimi. Preferisce Giacobbe ad Esaù, Isacco ad Ismaele, Giuseppe ai fratelli più grandi. Anche Davide fu scelto, proprio perché era il più piccolo. E’ la logica del Magnificat: Dio rovescia i potenti, innalza gli umili; retrocede i primi in classifica, e gli ultimi li promuove in “serie A”.

         Ma a Caino questa logica non va giù. Non accetta la differenza. Si arrabbia con Dio, prova un rancore sordo e mostra livore in volto, fino ad uccidere il fratello e ad occultarne il cadavere sotto terra. Ecco perché la violenza è entrata nel mondo: perché non si sono accolte le differenze. Succede sempre così, e quando succede, allora, invece della convivialità delle differenze basata sulla comune identità filiale, si arriva ineluttabilmente al conflitto delle diversità. Al posto della collaborazione possibile, subentra la concorrenza fatale, si registra la più spietata competizione, fino alla più disumana, crudele contrapposizione.

2. “E voi siete tutti fratelli”

         Dopo Caino, la violenza ha registrato una escalation paurosa, tanto da toccare il tetto massimo con l’impennata di Lamech, il quale ha teorizzato la vendetta non fino a sette volte come per Caino, ma fino a settantasette volte.

         Gesù non solo ha azzerato la legge del taglione, ma ha detto a Pietro che bisogna perdonare non sette volte, ma settanta volte sette. E ha insegnato pure ai suoi discepoli: “Uno solo è il Padre vostro, e voi siete tutti fratelli” (cfr Mt 23,8s).

         Ora veniamo a Maria, di cui oggi celebriamo il titolo più importante, quello di Madre di Dio, in concomitanza con la Giornata della pace. Nella prospettiva di una autentica liturgia, che esce dal tempio ed entra nel tempo per sfociare nella storia, anche se non si può propriamente sostenere che la Giornata della pace abbia le sue origini nella festa della Madre di Dio, tuttavia occorre cogliere lo stretto rapporto tra le due ricorrenze. Un rapporto che potremmo sinteticamente fissare così: se Cristo porta la pace, sua Madre non può essere assente da questo dono del Figlio.

         Dall’annuncio di Gabriele e dal concepimento di Gesù, Maria ha imparato – e perciò ci può insegnare – che di Dio, di un Dio che si fa bambino, non c’è da aver paura. E’ piuttosto del nostro io possessivo, vorace, aggressivo che c’è da aver paura. Perché Dio è Amore e vuole solo la pace e la piena felicità dei suoi figli.

         Dalla nascita di Gesù, Maria ha imparato – e perciò ci può insegnare – che c’è modo e modo di annunciare la pace. C’è il modo di Augusto: quello di imporre la nostra pace agli altri. E c’è il modo di Cristo: quello di lasciarci imporre la pace da Dio, di imporla a noi stessi, di farla regnare nel nostro cuore, vincendo la cattiva radice da cui sprizza la scintilla di ogni discordia, si accende la fiamma di ogni conflitto, divampa l’incendio di ogni guerra: l’egoismo. Perché, se l’uomo vecchio non muore, l’uomo nuovo non nasce, l’uomo che è figlio della pace.

         Dalla crescita di Gesù e dal suo ritrovamento al tempio, Maria ha imparato – e perciò ci può insegnare – che alla pace si viene educati se si cresce nella convinzione di dover obbedire a Dio piuttosto che agli uomini, e che quando si curano gli interessi di Dio, tutto il resto ci viene dato in aggiunta. Perché la brama insaziabile delle ricchezze è la radice velenosa di tutti i mali.

         Dall’attività pubblica di Gesù, Maria ha imparato – e perciò ci può insegnare – che non si può separare la verità su Dio che salva dalla manifestazione del suo amore di preferenza per i poveri e gli umili. Perché i primi saranno ultimi, e gli ultimi primi.

         Dal processo a Gesù e dalla sua passione, Maria ha imparato – e perciò ci può insegnare – che il cristiano non è uno che si arrende all’ingiustizia, ma segue un’altra via per fare giustizia, sia nel privato che nel pubblico: la via della non-violenza. Perché chi di spada ferisce, di spada perisce.

         Dalla morte in croce di Gesù, Maria ha imparato – e perciò ci può insegnare – che “Cristo è la nostra pace, colui che ha fatto dei due popoli antagonisti irriducibili, ebrei e greci, un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia. Solo se si sbriciolano i muri, con le loro macerie si costruiscono i ponti. Perciò ogni apartheid è escluso alla radice.

         Dalla risurrezione di Gesù e dalla Pentecoste, Maria ha imparato – e perciò ci può insegnare – che il lievito di pace immesso da suo Figlio nella pasta della storia sostiene la speranza di una famiglia umana non più formata da popoli dominatori e popoli dominati, da oppressori e oppressi, ma composta da una umanità riconciliata in modo che tutti siano una cosa sola. Perciò non c’è più il vicino e il lontano, l’ebreo e il pagano, il privilegiato e l’escluso.

         Benedetta Maria, tra tutte le donne! Benedetto il frutto del suo grembo, Cristo nostra pace! Benedetto il Signore che, mediante Maria, guida i nostri passi sulla via della pace!

Rimini, Basilica Cattedrale, 1 gennaio 2014

+ Francesco Lambiasi