Natale: la rivoluzione della tenerezza

Solo il Dio della misericordia sconfigge la paura di Dio
Omelia nella Messa della Notte di Natale

Natale è la rivelazione della tenerezza di Dio, la trasparenza della sua commovente, sviscerata misericordia. Dire Natale è dire la penosa miseria degli umani, ma, prima ancora, è magnificare la preveniente, incontenibile compassione di Dio per il nostro niente. Ma Natale è anche la rivoluzione dell’onnipotente tenerezza del Dio di Maria di Nazaret, il quale: “ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili, ricordandosi della sua misericordia”.

1. La rivoluzione della tenerezza. Ormai sappiamo a chi vadano riconosciuti i diritti d’autore di questo aspro, dolcissimo ossimoro: a papa Bergoglio. Ne La gioia del Vangelo (n. 88) Francesco scrive testualmente: “Il Figlio di Dio, nella sua incarnazione, ci ha invitato alla rivoluzione della tenerezza”. Ma per misurare l’effettiva portata di questa rivoluzione e valutarne le immancabili, benefiche ricadute, dobbiamo operare un confronto con i prototipi messianici che circolavano al tempo della nascita di Gesù. Li possiamo intravvedere dietro il comportamento e le ideologie dei vari gruppi di quel tempo. Schematizzando, in prima approssimazione, li possiamo ridurre ai quattro modelli seguenti.

Il Messia del tempio. E’ il Messia sognato dall’alta aristocrazia sacerdotale di Gerusalemme e dai sadducei, i ricchi e potenti collaborazionisti dei romani. Dietro questa figura di Messia si intravvede in filigrana l’immagine di un dio insaziabilmente assetato del sangue di tori e di agnelli, venerato con sacrifici senz’amore, riverito con fastose cerimonie senz’anima, con complicati riti senza vita (cfr Os 6,6). Sarebbe questo il vero Dio? un pedante ragioniere tutto intento ad aggiornare la partita doppia del dare e dell’avere, un giudice accanito nel punire impurità rituali e perfino colpe incoscienti? Sì, incute terrore e tremore un dio-bankomat, venale e fiscale che riduce l’uomo a suo devoto cliente e vorace mercenario. Come non aver paura di un dio “neroniano”, violento e sanguinario?

Il Messia della legge. E’ il Messia vagheggiato da scribi e farisei, dietro il quale sta il dio dell’assoluto rigore morale, perseguito attraverso una meticolosa osservanza della legge mosaica. Ma se il Dio annunciato da Gesù di Nazaret fosse stato così, non avrebbe potuto essere il Dio misericordioso verso i peccatori: perché si sarebbe preoccupato più del sabato che dell’uomo; avrebbe preferito l’esteriorità all’interiorità, il dettaglio della legge a scapito del suo spirito. Ma allora una vita morale interpretata come un rigido sistema di precetti e divieti non avrebbe finito per gettarci in braccio a un doverismo asfissiante? Come non aver paura di un dio tanto inflessibile nel giudizio quanto implacabile nella condanna?

Il Messia della setta dei giusti. La regola della eletta Comunità di Qumran prescriveva con spietata intransigenza: “Pazzi, deficienti, ciechi, storpi, sordi e minorati: nessuno di questi può essere accolto nella Comunità, perché angeli santi sono in essa”. In una setta tanto asettica, quale spazio ci sarebbe stato per poveri, umiliati e oppressi, per malati, disabili e “scartati”, per pubblicani, peccatori e prostitute? Come non aver paura di un dio così rigido e frigido?

Il Messia della guerra santa. E’ il Messia di sicari e zeloti, i gruppi rivoluzionari del tempo, che si battevano per la liberazione dai romani. Ma chi si sarebbe sentito a suo agio nel combattere una guerra in nome di Dio, attraverso orribili atti terroristici e atroci stragi di civili, perpetrate anche ai danni di persone inermi e innocenti? No, Gesù non si presenta come un guerriero imbattibile, né come un asceta austero e intransigente, neppure come uno scrupoloso e noioso maestro della legge mosaica, e neanche come “un sommo sacerdote incapace di soffrire con noi per le nostre miserie” (Eb 4,15). Gesù non si rivela nello splendore del tempio, ma nella penombra di una stalla. Non si pone al vertice di un’accademia di dotti, ma preferisce rivelarsi ai piccoli. Non fonda una setta di duri e puri, ma si accompagna a peccatori e “irregolari”. Non viene in mezzo a noi come un V.I.P. o una star a calcare i grandi palcoscenici della storia…

2. Ciò che, nella vicenda del Natale, sconcerta fino a scandalizzare e intenerisce fino a commuovere, è questo fatto nudo e crudo: Dio si è presentato a noi come un piccolo bambino. Per ben tre volte nel giro di pochi versetti del vangelo di Luca si parla di questo “segno”: un neonato “avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”. Viene da chiedersi: cosa c’è di tanto straordinario in un segno tanto ordinario? Non avveniva così per tantissimi bambini che nascevano da mamme in travaglio, mentre si trovavano in campagna, con i mariti che di notte facevano la guardia al gregge? Ma se in un evento tanto ordinario da sembrare scontato, fosse proprio questo lo straordinario: e cioè che il Figlio di Dio era entrato nella storia dell’umanità come vi entra un qualunque figlio d’Eva?!

Ecco la rivoluzione della tenerezza: il Bambino Gesù, l’eterno Figlio di Dio, viene al mondo come tutti i bambini, senza “effetti speciali”, senza squilli di tromba e fuochi di artificio, senza messaggi a staffetta di corrieri, sguinzagliati per l’intero orbe dell’impero romano, come per il figlio dell’imperatore. Lui viene così, nella povertà e nel silenzio, per mostrarci che Dio, “prima” di essere onnipotente, è misericordioso. E’ amore inerme e indifeso, e può essere adorato dai Magi con umiltà e dai pastori con fierezza. E deve essere nutrito e amorevolmente accudito da mamma Maria, custodito da papà Giuseppe, tenuto tra le braccia da Simeone, benedetto da Anna, e gelosamente protetto dagli artigli di Erode.

Un Dio Bambino. La fragilità di un piccolo bimbo è di una evidenza lampante. Un niente potrebbe spazzarlo via da questo mondo: una notte passata all’addiaccio, due giorni di fame o di sete, perfino un semplice colpo d’aria. Una cosa è certa: un bambino non ci incute paura; ci contagia tenerezza.

Solo un Dio Bambino poteva liberarci dalla paura di Dio: una paura che, fin dalle origini, bracca l’uomo dopo il peccato consumato nell’Eden: “Ho avuto paura perché sono nudo”. I passi attesi, di un Dio che passeggia alla brezza del giorno, percepiti come passi di paura. Fratello, Sorella, Dio ti cerca dopo i tuoi tanti smarrimenti non per polverizzarti, non per svergognare la tua penosa nudità, ma per coprirla con le “tuniche di pelle” della sua premurosa misericordia.

Solo un Dio Bambino, che si può accarezzare, stringere, mangiare di baci può abbattere la paura di Dio. Strano protagonismo il suo: entrare nel mondo, imboccando le vie di tutte le periferie; abitare la terra non in postazioni di forza, ma di marginalità; fare storia non con i potenti e le loro azioni spettacolari, non con la debolezza della forza, ma con la forza della debolezza.

Solo un Dio Bambino può mostrare di essere onnipotente, ma dell’onnipotenza trasfigurata dalla misericordia. L’esperienza più normale di questa misericordiosa onnipotenza o onnipotente misericordia è quella di un Dio fragile, svestito della sua gloria, fasciato di silenzio, rivestito della nostra debolezza. La sua presenza va intercettata nella cronaca grigia di un quotidiano intessuto di gioia e di pena, di luce e di buio, di morte come seme di vita nuova.

Non è questa la grande speranza per tutti i miserabili del mondo? Dio è dalla loro parte. E se noi ci schieriamo dalla loro parte, anche lui si schiera dalla nostra. E si mostra per quello che veramente è: l’Emmanuele, il Dio-con-noi.

Rimini, Basilica Cattedrale, 25 dicembre 2015

+ Francesco Lambiasi