Maria maestra di cura

Omelia del Vescovo per la 54.a Giornata Mondiale della Pace “La cultura della cura come percorso di pace

Oggi la liturgia ci fa guardare a Maria. La vediamo incoronata con il titolo più squillante e vertiginoso che le sia stato mai conferito: Madre di Dio. Lei è la Madre di Gesù, l’unigenito Figlio di Dio, il quale però è anche il primogenito tra molti fratelli. Certo, nei nodi ingarbugliati della vita, negli snodi più travagliati della storia noi guardiamo alla Madonna, a Maria di Nazaret. Ma è ancora più giusto e più dolce lasciarci guardare dalla Madonna, da Maria, nostra madre.

1. Lasciamoci guardare da Maria. Quando ci guarda, lei non vede dei peccatori. Vede dei figli. Ce lo ha ricordato poco fa san Paolo (cf. Gal 4,4-7). La nascita di Gesù ha operato la nostra rinascita. Noi non siamo più schiavi, né succubi né dipendenti, ma figli. E se siamo figli, siamo anche eredi del regno di Dio. Non siamo più relegati in una insopportabile servitù o in una triste subalternità né in una desolata minorità. Ma con Cristo e come Cristo, siamo figli legittimi e maggiorenni. Siamo figli adulti, corresponsabilmente coinvolti nell’offerta di vita nuova che Dio ci ha donato in Gesù.
Ecco l’inimmaginabile sorpresa. L’impareggiabile dono. Il gratuito, impagabile ‘regalo’ di Natale: Gesù ci ha s-velato Dio come suo Padre e ce lo ha ri-velato come Padre nostro. Sul Calvario ci ha donato Maria sua Madre come Madre nostra, quando le ha detto: “Donna, ecco tuo figlio!” e al discepolo amato che, in quell’ora suprema, tutti ci rappresentava ha detto: “Ecco tua madre!”.
Il mistero della divina maternità di Maria ci riguarda tutti e tutti ci raccoglie nel dolce nome di figli. E’ così che siamo diventati suoi. Da allora lei tiene anche noi tra le braccia e nel cuore. Soffre per ogni nostro pianto. Corre a ogni grido d’aiuto. Ti solleva quando hai inciampato e sei caduto. Cura le tue ferite. Ti cerca su tutte le strade perché ti sei smarrito. E ti aspetta, ti aspetta sempre. Anche se te ne sei andato di casa, sbattendo la porta.
Maria è madre. Una vera madre, fatta così: si prende sempre cura di noi, suoi veri figli. Non può non farlo. E’ madre di un figlio che “non si prende cura degli angeli, ma di noi si prende cura” e “non si vergogna di chiamarci fratelli” (cf. Eb 2,16.11). E’ così che Maria, alla scuola del Figlio, ci tramanda la cultura della cura. Una cura fine e forte. Viscerale e vigorosa. Niente tenerume, ma tenerezza e misericordia e fedeltà di roccia. Questa è la cultura della cura.

2. Lasciamoci guardare da Maria. Ci sarà capitato di sentire o di leggere di qualche giovane spacciatore ammazzato per strada, la cui mamma, alla vista del figlio morto, singhiozzava: affranta: “Eppure, da piccolo era un bambino buono”. Maria non ci vede mai come figli sbagliati o ‘fallati’, ma come figli benedetti dal Padre del Signore nostro Gesù Cristo “il quale ci ha benedetti con tutte le benedizioni dello Spirito Santo” (Ef 1,39).
Essere guardati come figli benedetti significa essere guardati come figli amati. Amati e chiamati da Dio nostro Padre e da Maria nostra madre. Amati e scelti, a prescindere: senza se e senza ma. E’ vero: c’è tanto male nel mondo. C’è gente che muore di fame, di freddo, di guerra, di malattia. C’è tanta ferocia in giro, tanta miseria, tanta solitudine e amara depressione. Ci sono torture, femminicidi, omicidi, infanticidi, aborti. Ci sono tradimenti, falsità, menzogne. Ci sono bambini-soldato, un osceno commercio di armi, deforestazioni devastanti, un ammorbante inquinamento. E adesso ci mancava solo questa catastrofica pandemia.
Tutto vero. Viene da chiedersi: ma allora dov’è, dov’è questa ‘benedetta’ benedizione? La sensazione di essere maledetti, di abitare in un mondo maledetto, di vivere in un tempo maledetto colpisce ancora. Facilmente. Troppo facilmente. Del resto non è più facile credere che siamo maledetti piuttosto che benedetti? Ma santa Maria si prende cura di noi, e ci aiuta a prenderci cura gli uni degli altri. A benedirci gli uni gli altri. Questa è la cultura della cura.

3. Lasciamoci guardare da Maria. E’ la prima donna del Nuovo Testamento ad essere stata benedetta. Lo fece quel giorno Elisabetta, quando l’accolse con un grido di stupore: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!”. Mentre ci ricorda sottovoce che siamo figli suoi benedetti e prediletti, Maria ci ispira un irresistibile desiderio di benedire tutti i fratelli e tutte le nostre sorelle. Perché tutti i benedetti benedicono. E tutti invocano di essere benedetti.
Lo sguardo di Maria ci è necessario. E’ lo sguardo della Madre. Lo sguardo delle madri.
“Un mondo che guarda al futuro senza sguardo materno è miope. Aumenterà pure i profitti, ma non saprà vedere negli uomini dei figli. Ci saranno guadagni, ma non saranno di tutti. Abiteremo la stessa casa, ma non da fratelli. La famiglia umana si fonda sulle madri. Un mondo in cui la tenerezza materna è relegata a mero sentimento potrà essere ricco di cose, ma non ricco di domani” (Francesco).
Maria ci vede come figli e intravede in noi abissi bisognosi di tenerezza. Ci sollecita a vivere da sorelle e fratelli: tutti! Questa è la cultura della cura. Percorso di pace necessario, possibile, benedetto. Per questo anno che inizia: oltre 2000 anni dopo che la notte di Betlemme fu infranta da un vagito. Quel primo vagito del Figlio di Dio nel tempo che diede inizio al tempo dei figli di Dio.

E la pace del Natale coincise con il Natale della pace.

Rimini, Basilica Cattedrale, 1 Gennaio 2021

 + Francesco Lambiasi