Ma nessuno la vide mai triste

Il segreto di Chiara

Omelia tenuta dal Vescovo, nella festa di santa Chiara d’Assisi

1. “Ma nessuno la vide mai triste“. Ho ritrovato questa pennellata in un ritratto a tutto tondo di Chiara d’Assisi che mi rileggo puntualmente ogni anno in occasione della sua festa, perché in poche pagine quella sorta di “medaglione” mi restituisce il profilo spirituale – e anche addirittura quello fisico – di Chiara, la “pianticella”, come lei stessa amava definirsi, di Francesco.

Ma ora ci dobbiamo chiedere: qual era il segreto di questa gioia, se Chiara si sottoponeva a penitenze aspre e incredibili, tanto che Francesco dovette intervenire dandole l’obbedienza di mangiare “almeno un’oncia e mezza di pane al giorno”? Ecco una breve litania di quelle durissime, sfibranti macerazioni: i suoi cilizi insopportabili, fatti di setole di porco, portati sulla nuda carne. E poi le lunghe notti passate in preghiera, prostrata in terra per ore e ore. E poi il poco sonno, giacendo su dei sarmenti (“e aveva al capo una pietra di fiume”). E poi ancora, il riservare a se stessa le incombenze più umili e disgustose (sosteneva che toccava proprio a lei “lavare i sedili delle inferme”) e voleva lavare e baciare i piedi infangati delle suore che tornavano dalla questua.

“Ma nessuno la vide mai triste”. “Se è vero – osservava il suo primo biografo, Tommaso da Celano – che una dura penitenza fisica genera di solito una depressione spirituale, l’effetto risplendeva in Chiara ben diversamente: in ogni sua mortificazione manteneva una sembianza gioiosa”. Ritorna la domanda: qual era il segreto di tanta gioia? La risposta è netta: la santità. Chiara visse un’esperienza di vita cristiana, senza compromessi, in piena fedeltà al suo Sposo e Signore, Cristo Gesù. Secondo una delle sue prime compagne, Filippa di Leonardo di Gislerio, ella “passò de questa vita veramente chiara, senza macula, senza obscurità de peccato, alla clarità de la eterna luce” (FF 2998). Chiara, dunque, non solo in vita ma anche in morte ha “inverato” il suo nome Chiara, per cui ha vissuto fino all’ultimo istante “chiara di nome, più chiara per grazia, chiarissima per santità”.

2.Dunque, la santità è il segreto della gioia di Chiara. Ma in che cosa è consistita la santità di Chiara? Nel dare sempre, dovunque e comunque, il primato a Dio. Al termine di un impegnativo itinerario di ricerca, si sentì chiamata a seguire il suo Signore, a rovesciare i criteri di valore e di giudizio, a cercare quel che prima fuggiva, nella consapevolezza che Gesù, da ricco che era, si fece povero per arricchire noi con la sua povertà. Nobile e ricca, scelse una vita povera e umile, e per realizzare il progetto di Dio su di lei fu costretta a una lotta durissima. Visse così un’esperienza di contemplazione, in intima unione con il suo Sposo e Signore, e fu sempre felice della scelta fatta.

Nella nostra civiltà occidentale, il primato di Dio sembra aver ceduto il passo al primato dell’io, e il valore della contemplazione è sempre più difficilmente compreso da un mondo che valuta tutto in termini di produttività e di profitto. In questo orizzonte complesso, Chiara addita un percorso esigente e liberante. Ella ci insegna quanto apprese da Francesco, suo padre e maestro: e cioè l’assoluto di Dio vissuto attraverso due dimensioni fondamentali: la fraternitas e la minoritas, ossia la fraternità o sororità nella vita comune, e la minorità, come appartenenza al ceto dei minores, lei che veniva invece dalla classe dei maiores, ossia dei nobili. La fraternità vuol dire avere come stella polare la parola di Cristo: “Uno solo è il vostro Maestro, e voi siete tutti fratelli” (Mt 23, 8). In una società, come la nostra, ad alto tasso di individualismo e ad altissimo rischio di violenza, questa è la profezia di una comunità di sorelle, posta nel cuore della città: la profezia dell’essere un cuore solo e un’anima sola come fraternità evangelica.

3. Ma cosa significa oggi vivere la minoritas? So bene che il concetto medievale di minoritas non combacia con il nostro concetto di minoranza. Sta di fatto che essere discepoli di Gesù oggi significa appartenere a una minoranza socialmente diversa, che pensa, parla e opera diversamente dalla maggioranza. Ciò espone al rigetto, alla discriminazione, alla persecuzione, e per sfuggire a queste minacce, i credenti corrono due rischi: o di venire omologati e di rinunciare alla diversità “cristiana”. Oppure di formare dei piccoli ghetti, chiusi in autodifesa, che assumono la logica della setta: isolata, rannicchiata, autocentrata. Credere invece significa “assimilare” la persona di Gesù, per essere il pugno di lievito che fa fermentare la pasta della società, per essere il sale che non rimane nella saliera, ma dà sapore a tutta la vita. Non autoreferenzialità, dunque, ma missionarietà, come continua a martellare papa Francesco: “Usciamo, usciamo per offrire a tutti la gioia del Vangelo”.

E questa è la missione che ci aspettiamo da voi, Figlie di santa Chiara: non l’uscire fisico – con i piedi – dal convento per andare a predicare il vangelo, ma il vivere qui e fare del vostro monastero un brano vivo di “quinto vangelo”, una sorgente di acqua limpida e fresca dove i missionari si possano dissetare, una piccola ma potente centrale di energia dove le forze in campo si possano ricaricare. E tutto questo, con l’ardore della vostra carità, con la profezia della vostra povertà, con l’attrattiva della vostra gioia e perfetta letizia.

Se dunque voi confermate di voler essere missionarie facendo rimare a rima baciata santità con felicità, allora accogliete queste parole di papa Francesco:

Questa è la strada della santità. Quando il Signore ci invita a diventare santi, non ci chiama a qualcosa di pesante, di triste… Tutt’altro! E’ l’invito a condividere la sua gioia, a vivere e offrire con gioia ogni momento della vostra vita, facendolo diventare allo stesso tempo un dono d’amore per le persone che ci stanno accanto. Se comprendiamo questo, tutto cambia e acquista un significato nuovo, un significato bello, un significato a cominciare dalle piccole cose di ogni giorno.

Rimini, chiesa di s. Bernardino, 11 agosto 2015

         + Francesco Lambiasi