Lettera del Vescovo per don Giuseppe Celli

A tutti i Presbiteri e p.c. a tutti i fedeli della Diocesi

Carissimi tutti,
vi scrivo a notte inoltrata, ormai alla fine di questa II Domenica di Pasqua, perché ho una consegna indifferibile da condividervi. Questa mattina, dopo esserne stato espressamente richiesto da lui stesso l’altro ieri, mi sono recato da don Giuseppe CELLI per la celebrazione dell’unzione degli infermi. Al termine, mentre ci stavamo salutando, mi ha affidato un ‘ultimo’ messaggio per tutti noi, Confratelli nel presbiterio.

Sono qui per parteciparvelo. Ma prima permettetemi di raccontarvi il contesto in cui ho promesso di onorare quella consegna. Ho incontrato don Giuseppe perfettamente lucido e sereno. Molto sereno. Dopo la confessione, in un colloquio ‘cuore a cuore’, mi ha ripetuto – come per condividere un’ultima volontà – quanto mi aveva già confidato qualche sera prima. Ve lo ritorno testualmente:

Caro Vescovo, rileggendo tutto il rotolo del mio cammino, io posso solo ringraziare il Signore di tutto e per tutto della mia vita. Non ho da recriminare né da rimpiangere nulla, nulla… Non so quanto manca al ‘capolinea’, ma sento di stare agli ultimi chilometri… Ti prego di ringraziare i Confratelli per la stima e l’affetto con cui mi hanno circondato… Chiedo scusa per quanto non ho fatto a beneficio della ‘famiglia’ del presbiterio… Certamente ne ho ricevuto di bene, più di quanto non ne abbia fatto… Ringrazi i nostri preti in particolare perché non solo mi hanno sostenuto con le ‘chemio’ delle loro preghiere, ma mi hanno anche aiutato a pregare”.

Alla fine ci siamo detti un cordiale “Arrivederci”. Con la mascherina, ma senza alcuna maschera. Rientrando in episcopio, mi sentivo rimbalzare a cascata frammenti di parole già sentite e ripetute tante volte, ma mi risuonavano in cuore come per la prima volta:

Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Si è più felici nel dare che nel ricevere. Anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Rimanete nel mio amore.
Io vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà, e nessuno potrà più togliervi la vostra gioia. Noi portiamo un tesoro in vasi di creta
”.

Quest’ultima parola – vasi di creta – mi ha fatto lampeggiare davanti agli occhi del cuore una immagine, che, pensando a don Giuseppe, mi piacerebbe contemplare con voi. Forse avete sentito parlare qualche volta del kintsugi (=”riparare con l’oro”). È una pratica giapponese che consiste nell’utilizzo di oro liquido per la  riparazione di oggetti in ceramica (in genere vasellame) per saldare assieme i frammenti. Ogni ceramica riparata presenta un diverso intreccio di linee dorate unico e irripetibile per via della casualità con cui la ceramica può frantumarsi. La pratica nasce dall’idea che dall’imperfezione e da una ferita possa nascere una forma ancora maggiore di bellezza esteriore e interiore.

Forse è proprio così. Siamo dei “capolavori”: vasi fragili, e anche frantumati, ma riparati con la polvere d’oro della fiducia del ‘Pastore innamorato’, che fino all’ultimo non si stanca di fidarsi di noi. Siamo un po’ come Tommaso, o ancora di più: beati, perché innamorati e chiamati a credere senza vedere. Eppure a far vedere Lui risorto e vivo in noi.

Gradite un rinnovato augurio di una vera, bella, buona Pasqua

Rimini, 19 aprile 2020

+ Francesco Lambiasi