La pace ha il volto di Maria

Omelia del Vescovo per la Giornata Mondiale della Pace

         Nel suo racconto appena proclamato, l’evangelista Luca intercetta nel cuore dei pastori una gioiosa, incontenibile agitazione: “Andiamo fino a Betlemme e vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere” (Lc 2,15). Quindi l’evangelista ‘fissa’ quegli sconosciuti personaggi sul piede di partenza: “Andarono senza indugio”. Poi Luca li pennella appena arrivati: “Trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia”. La narrazione evangelica si conclude con l’abbrivio della ‘catena dello stupore’: i pastori riferiscono quanto hanno visto e udito, e tutti si stupiscono delle cose raccontate. Così l’onda lunga della tradizione, partita dai pastori, arriva stasera fino a noi. E noi siamo qui riuniti per sintonizzarci su quella precisa lunghezza d’onda.

1. Ora, orientati dall’evangelista, andiamo anche noi fino a Betlemme e tentiamo di fare una sorta di zoom su Maria, per sorprenderla tutta assorta in flagrante meditazione su quegli avvenimenti vertiginosi che lei si porta dentro, come ‘tatuati’ sul cuore. La scena che si dispiega sotto i nostri occhi ci permette di ‘fissare’ un dato incontrovertibile: dove c’è la madre del bambino, lì c’è la pace. Anche la pace, come la madre, ha un volto: “(Cristo) infatti è la nostra pace” (Ef 2,14). La pace costituisce il ‘cuore’ palpitante della grande, buona notizia del Natale. Sulle ginocchia della Madre siede “il principe della pace” (Is 9,5). Non stona pertanto, all’alba di un nuovo anno, contemplare Maria, la “umile e alta” Madre di Dio, come la “serva del Signore”, “la faccia che a Cristo più si somiglia” (Dante). A lei è stata affidata l’esaltante missione di ‘educatrice alla pace’. Nella sapiente pedagogia ‘mariana’ della pace possiamo scandire tre verità centrali.

La prima. Maria ci insegna che non c’è pace senza silenzio. Tra i tanti appellativi mariani, ne ho trovato uno di straordinaria suggestione: Maria, cattedrale del silenzio. E’ vero, stupendamente vero: Maria è come una cattedrale gotica che custodisce spazi di “sovrumani silenzi e profondissima quiete”, come cantava il poeta dell’Infinito. E’ vero: Maria è donna di poche parole. Nel Vangelo parla appena quattro volte. All’annuncio dell’Angelo. Quando intona il Magnificat. Quando ritrova Gesù nel tempio. E a Cana di Galilea. Nel vangelo di Giovanni, Maria parla appena una sola volta, appunto a Cana. Dopo aver raccomandato ai servi delle nozze di fare qualsiasi cosa il Figlio dirà, lei tacerà per sempre. Ma il suo non è un silenzio vuoto di voci, assenza di rumori, mancanza di fragorosi frastuoni. Il suo è un silenzio strapieno della presenza dell’unica Parola che conta. Un silenzio stracolmo, come un’anfora traboccante, dell’acqua viva della Parola “avvolta nel silenzio per secoli eterni” (Rm 16,25). Quella divina, umanissima Parola è il Verbo-fatto-carne nel suo grembo, il Verbo-fatto-Chiesa nel suo limpido cuore.

Sì, senza silenzio non c’è pace. Non è solo il silenzio delle armi. E’ il silenzio della contemplazione, dell’invocazione ardente, dell’umile, docile ascolto della voce del Signore che si ripercuote nel tabernacolo della coscienza. Non è il silenzio della complicità, di una diplomatica neutralità, di una rassegnazione supina e rinunciataria. In questa società agitata e convulsa, è indispensabile non farsi devastare l’anima dalla frenesia del ‘fare’. Occorre recuperare spazi abbondanti di silenzio, riconquistare oasi dissetanti per non finire scottati dagli ardori ad alta temperatura di quella smania compulsiva che ci fa accanitamente correre, competere, confliggere. Se non mettiamo uno stop allo stordimento di strepiti e schiamazzi assordanti che non smettono di affliggere l’anima, rischiamo di non riuscire più ad ascoltare la piccola e silenziosa voce dello Spirito del Risorto. Il silenzio dell’ascolto azzera alla radice la dirompente energia dei laceranti conflitti interiori. Una energia autodistruttiva, che, se non bloccata sul nascere, fatalmente poi si riversa sugli altri o, peggio, contro gli altri. Allora la pace nostra e altrui va a farsi benedire…

2. Il secondo messaggio di Maria è: non c’è pace senza coraggio. Certo, anche Maria ha avuto a che fare con la paura. Paura di non essere capita. Paura della cattiveria della gente. Paura di non farcela. Paura per la salute di Giuseppe. Paura per la sorte di Gesù. Paura di rimanere sola… Quante paure! Verrebbe quasi di dedicarle un santuario con il titolo: alla Madonna della paura

Del resto anche noi siamo attraversati da quell’umanissimo sentimento che è il segno più palpabile della nostra fragile, ferita umanità. Paura del domani. Paura per il figlio che non trova lavoro e ha già superato la trentina. Paura per la sorte della più piccola di casa che rientra sempre a notte inoltrata, e non le puoi dire niente, se no ti aggredisce come una gattina risentita. E poi paura della vecchiaia. Paura della solitudine. Paura della notte. Paura della morte… Maria ci insegna a non cedere al ricatto delle nostre mille paure, lei che non si è mai lasciate cadere le braccia, né le ha mai alzate nel segno rassegnato della resa. Anzi ha sempre affrontato gli ostacoli a viso aperto, grazie alla granitica fiducia nella forza del suo Signore, che “rovescia i prepotenti dai troni e innalza gli umili; ricolma di beni gli affamati e rimanda i ricchi a mani vuote”. Nel santuario intitolato alla Madonna della paura, Maria si merita anche una statua dedicata alla Madonna del coraggio.

Sì, senza coraggio non c’è pace. Se è vero che la pace si costruisce sul solido piano-terra della giustizia, allora non basta salire sull’attico dei principi e osare l’audacia di annunciare il vangelo della dottrina sociale della Chiesa. Occorre anche scendere per strada e rischiare la tenacia di denunciare l’antivangelo delle ingiustizie sociali dei nostri giorni. Occorre anche sostenere la lotta delle ‘madri-coraggio’ per proteggere i figli abusati. Occorre anche condividere il sacrosanto carico di tante donne impegnate a battersi contro le violenze domestiche, che possono purtroppo arrivare fino allo scempio del corpo della donna con il raccapricciante fenomeno del femminicidio.

3. In terzo luogo, alla scuola di Maria impariamo che non c’è pace senza accoglienza. Lei ha accolto nel cuore e nel corpo il Verbo di Dio. Prima nel cuore, perché ‘accogliere’ è un verbo che appartiene alla grammatica dell’amore. Dio non ha trattato Maria né lei si è mai sentita trattare come un mero contenitore, una sorta – mi si passi l’espressione – di ‘utero in affitto’. Ma proprio perché ha accolto il Figlio di Dio nel cuore e nel grembo, Maria ha accolto in Giovanni tutti i fratelli di Cristo che siamo noi. Sì, senza accoglienza non c’è pace. E se accogliamo in noi il corpo eucaristico di Cristo, non possiamo poi non accogliere le membra del suo corpo mistico nei nostri fratelli più poveri, quali gli immigrati, i profughi, i rifugiati. Ricordiamo l’invitante parola di Paolo ai Romani: “Accoglietevi gli uni gli altri come anche Cristo accolse voi” (15,7).

Ora permettetemi di chiudere con una preghiera del compianto vescovo Tonino Bello:

“Santa Maria, donna accogliente, disperdi, ti preghiamo, le nostre diffidenze. Facci uscire dalla trincea degli egoismi corporativi. Allenta le nostre ermetiche chiusure nei confronti di chi è diverso da noi. Abbatti le nostre frontiere: le frontiere culturali, prima ancora di quelle geografiche. E visto che non possiamo non accogliere gli stranieri nel corpo della nostra terra, aiutaci perché possiamo accoglierli anche nel cuore della nostra civiltà”.

Rimini, Basilica Cattedrale – 1 gennaio 2019

+ Francesco Lambiasi