Incontro allo Sposo

Il cammino della vergine consacrata

Omelia pronunciata dal Vescovo nel corso della consacrazione di Patrizia Sensoli nell’Ordine delle Vergini

Beati. E’ una parola che piove dal cielo e sgocciola gioia. E’ la primissima parola proclamata da Gesù nel suo primissimo discorso alle folle.

La potremmo rendere con “fortunati”, “felici”. Gesù la dedica ai miserabili di questo mondo, a quanti sembrano fatalmente condannati all’infelicità: i poveri, gli afflitti, gli affamati, gli oppressi, i perseguitati. Sono quanti rischiano di rimanere stritolati in una morsa infernale: più piangono e più piangeranno. Secondo Gesù invece è proprio ad essi che la felicità viene generosamente donata e viene da loro gratuitamente accolta.

1. Euforica utopia? Frustrante miraggio? No, il Maestro di Nazaret annuncia che la morsa fatale è stata spezzata: da un lato perché vi è entrato lui, con tutta la misura smisurata della sua divina felicità. Dall’altra perché questo Figlio di Dio non considera un tesoro geloso l’incalcolabile capitale di felicità di cui è titolare, ma intende condividerlo proprio con gli sfortunati di questo mondo.

E però, al riguardo, ci sono tre equivoci da sfatare. Il primo è che, secondo la logica di Gesù, beato-felice-fortunato non è un masochista che prova piacere nella propria sofferenza o nella situazione di indigenza che lo affligge. E’ piuttosto chi, sul modello di Cristo, si sente amato da Dio e si sa da lui abilitato a preferire il dono di sé alla ricerca illusoria e ripiegata di un benessere terreno. Qui si aggancia un secondo equivoco. Gesù parla di beatitudine, non di benessere. C’è una invalicabile diversità: il benessere è uno stare-bene fine a se stesso, dove il centro dell’esistenza è dio Io, con la conseguenza di vivere nell’autoreferenzialità più rannicchiata, e in fondo nell’egoismo. La logica del Vangelo invece è quella del decentramento da sé: il bene che si ha e che si è, gratuitamente ricevuto, viene gratuitamente ridonato agli altri. In questo primato del dono – e non del possesso – consiste la felicità che fa rima con santità. Ma – ed è il terzo equivoco – i santi ossia i cristiani veramente e pienamente beati non sono uomini e donne che scappano dalla vita, ma sono i discepoli di Gesù che fanno spazio a Dio. Non fuggono dalla polvere delle occupazioni e preoccupazioni di ogni giorno. Non si chiamano fuori dalla melma di situazioni vischiose e intricate. Non si rintanano in posti tranquilli in mezzo ai monti, o dentro a edifici recintati e protetti.

2. I cristiani beati sono poveri: felici dei beni che ricevono e più ancora di riceverli da Dio. Sono afflitti: si addolorano per il male del mondo e degli altri, più che del proprio, ma si lasciano consolare da Dio. Sono miti: rifiutano violenza, corruzione e prepotenza. Sono affamati e assetati della giustizia: la cercano sempre, per tutti e dovunque. Sono misericordiosi: sanno perdonare, sanno soccorrere e curare chi è in difficoltà. Sono puri di cuore: sono immuni da tutto ciò che indurisce e incattivisce il cuore, che lo inquina di avidità, di orgoglio e di gelosia. Sono operatori di pace: si impegnano a creare una convivenza armoniosa, nel pieno rispetto di ogni persona, specialmente di quanti patiscono ingiustizia, oppressione, violenza. Sono i perseguitati per la giustizia: affrontano con coraggio prove e contrarietà, quotidiane o eccezionali, pur di rimanere fedeli alla scelta di seguire più da vicino il Maestro, ingiustamente perseguitato.

3. Ma ora vorrei venire a te, carissima Patrizia, che sei rimasta abbagliata dalla bellezza del carisma della verginità e ora stai per ricevere il dono stupefacente della consacrazione nell’Ordine delle vergini. Il carisma che stai per accogliere è come un poliedro con quattro facce: essere figlia, sorella, sposa, madre.

Figlia: è la dimensione fondativa del carisma verginale. Nella tua regola di vita riconosci che “l’essere figlia riporta al battesimo e al dono della fede”. Concordiamo in pieno: la nostra dignità primaria non viene dal ruolo che esercitiamo nella Chiesa, ma dall’essere stati generati da Dio: “Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!” (1Gv 3,1). Una vergine consacrata vive perciò la spiritualità della gratitudine, e crede in un Dio che è Padre-Abbà. Non un padre-padrone, incombente e possessivo. Non un padre-padrino, autoritario e invadente, tutto dedito ad azionare le leve del potere. Non un padre-patrigno, sempre occupato a distinguere tra figli e figliastri. Certo, neanche un padre-paparino, pacioccone e buonista. Ma un vero padre-abbà, un padre-papà: misericordioso, forte e mite, dolce e audace .

Sorella. Questa ‘figura’ raccomanda l’impegno della condivisione, per cui la vergine consacrata si dedica alla cura di relazioni umane e fraterne, e si impegna nell’aiuto e nell’edificazione vicendevole, nella piena comunione, nel servizio sincero, concreto e gratuito, soprattutto degli ultimi e dei più poveri.

Sposa. E’ la dimensione centrale. Dice la totalità della donazione, e mostra la radicalità della scelta verginale. E’ un modo di amare “tirandosi da parte”. Di fronte a chi si sente attratto dalla donna-vergine e vorrebbe porla al centro della propria vita, lei ricorda: Non sono io il tuo centro, ma Dio. E se qualcuno vuole inserirsi nel centro della sua vita, lei lo richiama: Non è il tuo amore il centro della mia vita, ma l’amore che mi giunge da Dio. Così la verginità esalta, con una trasparenza luminosa, il nucleo incandescente di ogni amore, che è quello di essere sempre e comunque una parabola chiara e limpida dell’amore di Dio.

Madre. E questo sarà il compimento. Questo sarà il miracolo dell’amore verginale. E’ la fecondità del generare nuovi figli nella fede. Non da carne e sangue, ma per la potenza dello Spirito. Non temere, Patrizia. Sarai madre di una moltitudine di figli. Beata te, che hai creduto nell’adempimento della parola del Signore! Cara Sorella, il Signore non ti deluderà mai, e neanche tu, grazie alla sua grazia, lo deluderai mai: siine certa. Canta il tuo Magnificat e cammina!

Rimini, Basilica Cattedrale, 1 novembre 2017

+ Francesco Lambiasi