In memoria di Massimo Venturini

Omelia per la Messa di suffragio

Lo so. Lo so bene. Più che di belle parole – che comunque rischiano di risultare per lo meno inadeguate, se non addirittura pedanti e stonate, in una situazione tanto sofferta e travagliata come la presente – abbiamo bisogno di silenzio. Abbiamo bisogno di tacere e adorare l’insondabile Mistero della vita. Siamo qui, Sorelle e Fratelli, per condividere insieme uno sguardo, e questo ci basti. Uno sguardo smarrito e implorante, rivolto a Gesù, trafitto sulla croce, per chiedergli una grazia sola, che lui non potrà certamente negarci. La grazia di lasciarci abitare dai suoi stessi sentimenti e di aiutarci a guardare a Massimo con gli occhi accesi dall’amore, senza se e senza ma, del divino, umanissimo cuore di Gesù.

Il Crocifisso ci trasmette un Dio che non è venuto in mezzo a noi per fare colpo, per farsi ammirare, ma per amarci e farsi amare, perché solo così ci può redimere e salvare dal grande naufragio. Non è venuto nel mondo per farsi e per farci comprendere. Ma per farci aggrappare alla sua croce, per afferrarci e lasciarci semplicemente trasportare da lui, su in alto, verso il grande regno della luce.

A lui non è bastato lavarci i piedi. Non è bastato neppure darsi corpo, sangue e anima per dirci e darci il suo amore. Una cosa ancora gli mancava: entrare nel tunnel della nostra morte, attraversarlo tutto, raggiungerci là dove saremo arrivati e farsi stringere a braccia spalancate, per trascinarci con sé e portarci tra le braccia del Padre: il suo fortissimo, dolcissimo Abbà.

Per tre volte sul Calvario Gesù si è lasciato aggredire dall’insulto crudele e ostile – dei capi del popolo, dei soldati, di uno dei due malfattori – che lo sfidava a scendere dalla croce con quel ritornello martellante e minaccioso: “Se sei il Figlio di Dio, salva te stesso. Se sei il Messia, compi un miracolo. Scendi dalla croce”. Ma lui, no, non è sceso dalla croce. Non ci è salito per scherzo o per finta. Non ci è salito per fare spettacolo. Ci è salito per essere con me, come me, tutto per me. Ci è salito perché anch’io possa essere con lui, come lui, per lasciarmi salvare da lui. Proprio perché ha rinunciato a salvare se stesso, lui può salvare tutti e ognuno di noi, quando per ognuno di noi tutti arriva l’ora dell’ultimo appuntamento: l’ora nona, il supremo istante della nostra morte.

Proprio perché non è sceso dalla croce, Gesù rimane in agonia fino alla fine del mondo Pascal). Il suo restare in croce lo rende capace di decifrare un urlo di dolore come una straziante implorazione di aiuto. Gli permette di tradurre un drammatico gesto di abbandono nel commovente bisogno di un tenero abbraccio. Lo abilita perfino a decodificare un grido di diniego come una preghiera terminale di salvezza estrema, definitiva.

Grazie all’evento della croce, nessuno è perduto per sempre. Nessuno potrà andare così lontano da non poter essere raggiunto dalla forza calamitante del suo amore misericordioso: “Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me”. Tutti, proprio tutti: attratti, stretti e abbracciati dal Crocifisso risorto.

Anche tu, Massimo, fratello caro. Adesso permettici di pregare per te e con te. Grazie.

Rimini, Chiesa della Sacramora, 23 novembre 2020

+ Francesco Lambiasi