In memoria di Fabio Giorgetti

Omelia del Vescovo nella Messa esequiale

Carissima sorella Monica, buona e gentile sposa di Fabio, carissimi figli, Luca e Valeria, carissima mamma e babbo di Fabio, carissimo Don Giampaolo e comunità tutta di s. Mauro Pascoli, sono venuto per condividere, qui, da vicino, il vostro sconfinato dolore e per spartire con voi tutti la vostra tenera e tenace speranza.

Mi accosto alla vostra angoscia con il silenzio commosso del cuore e con l’ascolto disarmato della fede. Fede viva nel primo che ha diritto di parola in questa nostra smarrita, sgomenta assemblea: il Signore, Gesù, il nostro Fratello buono, forte e dolce, crocifisso e risorto. E’ lui che ancora una volta ci ha parlato con il vangelo dei talenti, proclamato poco fa.

Noi lo crediamo: Gesù è venuto in mezzo a noi per aiutarci a non sbagliarci su Dio. E ci ha appena pennellato il volto del suo Abbà. Dio non è un padre-padrone. E’ il Padre buono che vuole l’uomo, alleato, partner, amico. Un Dio della partecipazione e del dono si è donato a noi. A tutti e a ciascuno di noi. Nel senso che non se ne sta là e al di là, solo e solitario, irrimediabilmente estraneo alle nostre spesso aggrovigliate vicende, beatamente distaccato dalle nostre sconcertanti storie “terra-terra”, come un boss gelido e ripiegato. Ma intreccia misteriosamente la nostra vita alla sua, la mette a parte del suo pensiero, la interpella, ne richiede la collaborazione, ne sollecita la risposta adeguata e responsabile. Le consegna i suoi beni – i preziosi talenti – e la rende decisiva. Si tratta di un coinvolgimento essenziale che nasce dalla grazia, il gratuito dono di Dio, il quale dona gratis l’uomo a se stesso. Gli consegna, cioè, non un inerte deposito – da custodire gelosamente in un buio bunker blindato – e da restituire intatto a suo tempo, con tutti gli interessi. Ma chiama ogni suo figlio con la possibilità, l’aiuto e il vincolo di una collaborazione all’altezza del dono.

La risposta a un dono d’amore non può che essere l’amore. Un dinamismo instancabile. Un pulsare vitale. Un affaccendarsi volenteroso, cordiale, generoso. Un impegno che cerca, tenta e ritenta, “ci prova” e riprova. Un ardimento che rischia il dono sulla difficile frontiera del donarlo a sua volta, l’unica via che lo fa crescere e fruttificare, che lo moltiplica all’infinito. E’ quanto ci ha appena ricordato san Paolo con il suo squillante inno alla carità: “La carità è paziente e generosa. La carità non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia di orgoglio. La carità è rispettosa, non cerca il proprio interesse, non cede alla rabbia, dimentica i torti. La carità tutto scusa, di tutti ha fiducia, tutto sopporta, mai perde la speranza” (1Cor 13). Il vangelo della carità ci restituisce il profilo fedele di questo fratello buono, generoso e disponibile, sempre pronto a correre per prestare aiuto, per collaborare a favore dei poveri, per mettersi a servizio di chiunque avesse bisogno. La carità di Fabio è stata la carità della porta accanto, “della saracinesca accanto”, del centro-Caritas accanto.

Mi rendo conto che tutto questo acuisce a dismisura il nostro dolore, ma provoca anche la nostra speranza. Riaccende il nostro desiderio di riabbracciarlo ancora, perché non tutto finisce qua né può irrimediabilmente finire quaggiù.

2. Ma, vi dicevo in apertura, io sono venuto qui anche per condividere da vicino la vostra lancinante sete di speranza.

Gesù oggi mi ha preceduto ed è qui per dirci: “Non temete! Io sono con voi!”. La sua vicinanza, la sua presenza a noi in quest’ora buia e fredda, ce la può assicurare solo Gesù. In effetti tra tutti i grandi fondatori di grandi religioni, Gesù è l’unico che è morto in croce per amore di tutti noi. Ed è l’unico che è risorto, per farci vivere una vita non da mortali, da morituri e moribondi, ma da persone, donne e uomini, chiamati all vita pr sempre. Anzi, già risorti. L’ultimo giorno della storia di Fabio è stata la festa della Trinità. E questo è il grande segreto della vita di Dio che Gesù ci ha svelato. E’ la luce che ci fa vedere cosa c’è dentro Dio, di che cosa è fatto Dio, che cosa fa Dio.

Adesso noi lo crediamo: dentro Dio c’è l’amore, Dio è fatto d’amore, Dio ama poiché è la sorgente dell’amore. Ma c’è di più, per noi: dentro la Trinità, il Figlio si chiama Gesù, che significa “Il-Signore-salva”. E’ il Dio fatto uomo al quale il Padre affida l’uomo come ciò che ha di più caro, e che riporta al Padre l’uomo fatto partecipe della sua stessa gloria, alleato e associato alla sua stessa vita.

Adesso noi sappiamo cosa è avvenuto per Fabio l’altro ieri. Quando ha varcato la soglia della morte, Gesù era là ad attenderlo. Lo ha abbracciato e lo ha accompagnato dal Padre-Abbà, e ha gridato: “Eccolo, Padre buono: è Fabio. Era tuo e lo hai dato a me. Ora io lo porto a te, perché sia anche lui con noi e con tutte le persone che lo hanno amato, alle quali ha voluto bene e a cui ha fatto tanto del bene”.

Ma intanto noi, fratelli e sorelle? Noi riprendiamo a dire ‘vita’ e continueremo a dire ‘morte’. Ed è vero. Ma una verità più grande ribalta i termini. Ne rovescia il significato. Lo spacca dentro, aprendolo a un ‘più’ infinito. Non c’è morte per chi crede. Certo, la morte non è cancellata, ma viene trasfigurata. La vita vera e senza fine ci viene dalla Pasqua di Gesù, dalla sua morte e risurrezione. Poiché per la sua morte è morta la nostra morte. Per la sua vita è viva la nostra vita.

E noi saremo salvi. E vivremo. Per sempre.
E’ Parola del Signore!
Lode a te, o Cristo!

San Mauro Pascoli – 15 giugno 2022 

+ Francesco Lambiasi