Il pastore immagine viva di Cristo sposo

Le quattro note della carità pastorale

Omelia tenuta dal vescovo in occasione della Messa crismale
Mi confesso sinceramente e ve lo confesso a cuore aperto: a questa celebrazione non riesco proprio ad assuefarmi.  In tanti anni di presbiterato e nei non pochi di episcopato la messa crismale ha sempre rappresentato per me una occasione felice per ritornare al brivido santo della mia/nostra ordinazione sacerdotale. Tra poco voi, carissimi fratelli presbiteri, rinnoverete le promesse sacerdotali che in quel giorno benedetto avete formulato davanti al vescovo e a tutto il popolo santo di Dio. Come non commuoverci perché ad anni di distanza possiamo riconoscere con candido stupore che il Signore non si è ancora stancato di noi? Lo sappiamo: in passato forse si è esagerato nell’isolare la figura del presbitero dall’intero popolo di Dio fino a posizionarlo in una altezza vertiginosa, in cima ad una piramide alla cui base si collocavano i ‘semplici’ (?) battezzati, mentre si rivendicava una aristocratica superiorità del clero rispetto al laicato cristiano.

1. Vorrei perciò soffermarmi sulla dimensione sponsale della carità pastorale del presbitero, partendo da questa semplicissima affermazione del magistero più recente: il donarsi di Cristo alla Chiesa si colora di quella dedizione originale che è proprio dello sposo nei riguardi della sposa (vedi PdV 22). Cristo infatti “ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei (…) al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata” (Ef 5,25-27).

Come lo sposo nei riguardi della sposa è chiamato a rivivere l’amore di Cristo sposo nei riguardi della Chiesa sposa, così la vita del presbitero deve essere illuminata e orientata da questo imprescindibile tratto sponsale, che gli chiede di essere capace di amare la gente con cuore nuovo, grande e puro, con autentico distacco da sé, con dedizione piena, continua e fedele, e insieme con una specie di gelosia divina, con una tenerezza che si riveste delle sfumature dell’affetto materno, capace di farsi carico dei ‘dolori del parto’, finché Cristo non sia formato nei fedeli.

In concreto sono quattro le note dell’amore sponsale di un uomo e una donna, le stesse che devono connotare anche l’amore di un pastore per la porzione di gregge che gli è affidata: gratuità, fedeltà, fecondità, accoglienza. Scorriamole velocemente, una ad una, come vengono declinate sul versante dell’amore tra un uomo e una donna, da una parte, e, dall’altra, sul versante della vita del presbitero.

Ma prima ancora vorrei fare un’avvertenza. La riflessione che vengo a proporre non vuole essere riservata solo ai presbiteri e agli sposi cristiani. Oggi infatti è prima di tutto la festa del sacerdozio battesimale, perché Cristo “comunica il suo sacerdozio regale a tutto il popolo dei redenti” (pref.). E pertanto vorrei che nel percorso indicato si sentissero coinvolti anche i diaconi, le sorelle e i fratelli della vita consacrata, tutti e ciascun membro del popolo santo di Dio.  Poiché se è vero che il sacerdote, fondamentalmente, è sempre un cristiano, è altrettanto vero che il cristiano, fondamentalmente, è sempre un sacerdote. Il dramma esplode quando il sacerdote dimentica di essere un cristiano, e il cristiano dimentica di essere un sacerdote. Il primo cade nell’eccesso del potere. Il secondo cede all’abdicazione del dovere.

2. La prima nota dell’amore sponsale è la gratuità: l’amore genuino non contabilizza quanto investe e quanto ricava. Non calcola mai: offre tutto e sempre gratis e dona a fondo perduto. Nel matrimonio l’aprirsi totalmente e irreversibilmente all’altra o all’altro diventa così il modo per ritrovare se stessi. E’ quanto lascia intendere Paolo quando dice allo sposo che “chi ama la propria moglie ama se stesso” (Ef 5,28). Quando una persona sceglie l’altra per donarsi a lei, imita l’amore divino. Nessun rapporto di coppia reggerebbe se entrambi si preoccupassero solo di incassare. Non si dà solo per ricevere o per poi riprendere. Anzi noi stessi sperimentiamo che il nostro amore è più vero e più forte quando è appagato di aver donato. Quando pensiamo di aver ricevuto con abbondanza solo perché abbiamo dimostrato a qualcuno il bene che gli vogliamo. Come l’amore degli sposi, anche l’amore del pastore per il suo gregge sarà un amore totalmente gratuito. Il pastore sceglie di amare con cuore vergine non tanto per non impegnarsi in una vita a due o per sottrarsi alle responsabilità di una famiglia. Ma per amare più intensamente Dio e i suoi figli. Per dare un segno che, anche senza una persona che risponda al tuo amore, è possibile amare, dando e trovando gioia. Per dire che si può riempire una vita prendendosi cura di chi semplicemente ha bisogno, anche se non ha legami di affetto o di sangue con te.

Proprio perché gratuito, l’amore di un uomo e una donna sarà anche fedele. Senza se e senza ma, ma sarà amore sempre e comunque, “nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia”. La fedeltà si mostra nel perdono più forte dell’offesa, nel bene più forte del male, nell’amore più vitale di tutto ciò che mortifica, a immagine dell’amore di Cristo, che è morto per noi, “mentre eravamo ancora peccatori” (Rm 5,8). Anche l’amore del pastore sarà immancabilmente un amore fedele. Non si sceglie la verginità per non legarsi a nessuno, per ripiegarsi sul proprio impenetrabile io. Ma per lasciarsi afferrare  dall’amore incessante e assoluto di Dio. Per legarsi sempre e comunque a filo doppio con la storia dei suoi figli e delle sue figlie.

Proprio perché gratuito e fedele, l’amore di due sposi sarà anche fecondo. A immagine e somiglianza dell’amore divino, l’amore sponsale ha una capacità generativa, procreatrice: suscita la vita, la cura con delicatezza, la coltiva con passione, la serve con tenerezza e vigile premura. Così è per l’amore del pastore. Certo, la sua sarà una fecondità non contabilizzabile, diversa da quella del concepire un figlio o una figlia. Perché la capacità generatrice della sessualità umana non è l’unica fecondità. C’è una fecondità spirituale che genera e rigenera figli e figlie alla Chiesa, che si prende cura della vita altrui più della propria, che sostiene e accompagna con sollecitudine il cammino di ogni figlia/o di Dio, soprattutto di quanti sono più piccoli e indifesi. Non dimentichiamolo mai: mentre per salvare un file basta un clic, per salvare la nostra vita è stata necessaria la morte di Gesù.

Da ultimo, proprio perché gratuito, fedele e fecondo, l’amore sponsale non può non essere accogliente verso tutti. Un uomo e una donna, se vogliono che il loro amore sia immagine di quello divino, non possono chiudersi dietro la porta di casa, bensì maturano una spinta ad aprirsi sulla Chiesa e sul mondo. L’amore cristiano non tollera esclusioni e confini. Così anche la carità pastorale permetterà e stimolerà il presbitero a non barricarsi in canonica o a crogiolarsi nel giro ristretto di pochi intimi, ma, al contrario, a mantenersi aperto a tutti, ad abbracciare proprio tutti. Senza esclusioni e senza preferenze. Senza preclusioni e senza predilezioni. Fino a poter dire: “Mia parrocchia, vasto mondo”. “Nel cuore della Chiesa, mia madre, io sarò l’amore”, ha scritto Teresa di Gesù bambino, ed è stata una missionaria vera, dalla grata della propria clausura.

Sorelle e fratelli tutti, pregate per noi pastori. Perché la perfetta letizia del dono inimmaginabile che ci è stato comunicato con l’imposizione delle mani, dilaghi dal nostro cuore di carne, e contagi tutti coloro che ci accostano, sorpresi di trovarci in flagrante, intensa commozione. Pregate perché nessuna tristezza ci spenga il sorriso sulle labbra. Perché nessuna delusione pastorale ci faccia disperare nella possibilità, offertaci dalla Grazia, dei ricominciamenti più impensabili. Perché nessuna stanchezza apostolica appanni la luce dei nostri occhi che hanno contemplato il volto del Signore.

E che Dio benedica noi sacerdoti che viviamo da cristiani. E benedica voi cristiani, che vivete da sacerdoti.

Rimini, Basilica cattedrale – 17 aprile 2019

+ Francesco Lambiasi